La vecchia Francia e l'«affaire Delon» di Michele Tito

La vecchia Francia e l'«affaire Delon» La vecchia Francia e l'«affaire Delon» (E' un momento di crisi, nella società e nel costume: le donne vogliono entrare nell'Accademia) (Dal nostro inviato speciale) Parigi, febbraio. Oggi'se appreso che, quando fu ucciso, Stevan Markovic stava scrivendo un libro su Alain e Nathalie Delon. L'inizio ricorda il Tacito delle Storie: « Mi accingo a raccontare la storia di una coppia la cui ascesa è stata spettacolare ma le cui dissolutezze... y è tutto quel che si sa del memoriale. Nei cabarets di Pigalle dicono che ogni scandalo deve venire al momento giusto per l'uomo giusto. La tecnica del mistero calcolato deve isolare la coppia Delon nella pratica morbosa dei piaceri proibiti; su tutti gli altri, i grandi del regime e gli avventurieri, le donne e i ricattatori, un velo si stende poco alla volta. La vecchia Francia si difende. La settimana scorsa tutta Parigi è accorsa alla prima di gala dell'ultimo film interpretato da Delon, ha piscina. Fino ad allora malato, l'attore ha recitato per i suoi amici di un tempo una parte magistrale: una stanchezza patetica, un viso pallido e smunto, un'aria raccolta, perfino pensosa; e un sorriso, appena appena accennato, fatto tutto di inerme smarrimento. Nessuno avrebbe potuto resistere. Vi ha resistito il «tout-Paris:», hanno resistito gli amici e i complici delle ville in campagna e della Costa Azzurra: tutti hanno realizzato il miracolo di una presenza festosa e di un gelido distacco. Parafrasando Malraux che descriveva De Gaulle negli anni del ritiro di Colombey, l'agente di Delon ha detto che per l'attore « è cominciata la traversata del deserto ». E' la disavventura di un parvenu. Ma quanti stanno attraversando il deserto? Lo scandalo ha come distrutto le ultime illusioni; ha ' creato la paura dell'amicizia e delle commistioni. Ritrovandosi solo, ogni gruppo si sente più debole, senza speranze e già da tempo senza nostalgie. Isolato è Edgar Faure, per la sua « insolenza y nella pretesa di c prevedere il presente », che appartiene solo a De Gaulle; isolato è Couve De Murville, che tutti temono e di cut tutti raccontano le storie più assurde, per la sua pretesa di fare l'inglese; isolato è Pompidou, che è troppo saggio ma non è amato dal Generale. Isolata è l'elite intellettuale ripetutamente sconfitta in politica, ripetutamente messa al muro della sua indigenza: ora scrittori, artisti e scienziati, una volta invidiati, appartengono alla categoria inferiore degli « intelligenti indigenti ». I grandi funzionari dello Stato, una volta rispettati e contesi, ammessi anche nelle grandi famiglie dei banchieri, sono ora temuti e respinti. Costituiscono la legione dei fanatici riorganizzatori, odiati come gli « uomini del re » dopo che Debré, loro patrono, non è più primo ministro. Dei 1500 usciti dall'alta scuola di amministrazione in venti anni, 900 sono a Parigi: che vuol farne Debré? E' ai margini, ormai priva di vero prestigio sociale, YArmée: cinquemila ufficiali hanno lasciato l'esercito negli ultimi anni; i generali vivono appartati e i tenenti sposano impiegate di provincia. Si dissolvono nuclei, si sciolgono antiche alleanze e tramontano il prestigio c la potenza. Ma non è questa la crisi. La crisi sta nel fatto che ciascuno ha paura di tutti gli altri. Un famoso gangster, Bernard Madeleine, ha raccontato alle Assise di Marsiglia, nel dicembre scorso, la propria vita, la propria riuscita e la propria delusione: « Con le donne, il gioco e la violenza son diventato qualcuno. Sono entrato nelle migliori case di Parigi, Lione e Marsiglia. Ho amici illustri dappertutto, lo ho conosciuto le grandi famiglie dei miliardari ». « Dove sono i vostri amici? » domandò il presidente. E Madeleine: « Non lo so, non capisco y. E il presidente, amaro: « Abbiamo tutti paura, Madeleine; nessuno di noi ha amici y. E' la paura dell'ignoto nel vuoto politico. Il regime lan¬ cia la campagna per la t regionalizzazione » del Paese; si accendono polemiche sul culto giacobino dell' accentramento, e una società si organizza per vivere in una Francia decentrata. Lo smarrimento sopraggiunge quando si apprende che De Gaulle ha spiegato ai prefetti cos'è la regionalizzazione: «Faremo una grande cosa, faremo una Francia in cui voi avrete più poteri, quanti non ne avete mai avuti ». Paura del sopravanzare dell'irreale. Più che dell'affaire Delon, Parigi è scandalizzata per ciò che è accaduto durante il viaggio di De Gaulle in Bretagna, ma ne parla sottovoce. Ve in Bretagna una recrudescenza del movimento autonomista. Autonomista e contestatario. La vecchia fedeltà gollista , è incrinata, prima del viaggio di De Gaulle, che si annunciava difficile, in Bretagna, il Canard Enchainé aveva pubblicato alcuni versi in dialetto bretone scritti da un certo Charles De Gaulle, poeta del secolo scorso. Il Canard raccontava che si trattava di uno zio del Generale, ma scherzava: si trattava di un signore parigino che s'era trasferito in Bretagna usando lo pseudonimo di De Gaulle. Parlando a Quimper, il Generale ha detto di avere avuto uno zio bretone e ha recitato pubblicamente i versi pubblicati dal Canard. I bretoni si son commossi, di autonomia per il Generale non si parla più; e la politica ufficiale ignora ormai il problema. Il vecchio segretario perpetuo dell'Accademia di Francia, Maurice Genevois, combatte una battaglia ogni giorno più dura per il prestigio dell'Istituto. Con distaccata malinconia parla di questi tempi, degli scandali, dei problemi da affrontare: « Sono di Orléans, sono nato in una Francia più vicina al XVI secolo che al XX. Ho il culto di alcuni valori, che non sono precisamente quelli che vengono contestati oggi dai giovani. Ma in questo mondo che l'Accademia conosce, che gli accademici frequentano, l'alta società, v'è come un bisogno di sfida e di rinnegamento. E' tutto diventato falso e inquietante, in questi: ultimi anni ». E' un sintomo. L'Accademia di Francia, il più solido, forse il più prestigioso istituto, non è più accusata d'essere conservatrice. Premia Brassens per la poesia, accetta nuovi membri che certo non sono conformisti; sostiene, discreta ma efficace, una cultura che non è più sulla difensiva e indaga le vie nuove della conoscenza; è mossa dal dubbio. Ma il suo problema più impellente, quello che la metta alla prova dei tempi, è il problema, agitato da illustri personaggi del regime, dell'ingresso delle donne sotto la « cupola s. Malraux e Louise de Valmorin ne fanno una questione di principio, la duchessa di La Rochcfoucauld ne fa una questione personale: vuol essere la prima « immortale » di Francia. La vecchia gloriosa Accademia che non si era posto il problema perché non erano emerse donne con titoli sufficienti, è come sgomenta. Resiste, ma teme: lo scandalo Delon dà un momento di respiro all'Accademia. Poi, se la battaglia sarà perduta, i soli titoli di nobiltà nella « haute » parigina saranno due: quello, incerto, della protezione di una signora influente e quello, antico e sicuro, il più rispettato, dell'appartenenza al club dei miliardàri. Lì finisce il deserto. Michele Tito r i I Alain Delon è rimasto solo, i suoi amici «illustri» l'hanno abbandonato (Telefoto)