Seneca interessa come l'avanguardia
Seneca interessa come l'avanguardia Una discussa "Fedra,, allo Stabile di Roma Seneca interessa come l'avanguardia II regista Ronconi ha offerto una lettura particolarmente vibrante dell'opera nella traduzione di Sanguineti - Una minoranza lo accusa di mistificazione culturale - « Soluzione finale » di Augias, un lavoro di ricerca (Dal nostro inviato speciale) Roma, 3 febbraio. Al Valle, nel pomeriggio di un giorno feriale. Il teatro è gremito di signore e di ragazzi e ragazze appena usciti da scuola, o da qualche corteo, molti ancora con i libri sulle ginocchia o sui parapetti dei palchi che avvolgono questa tetra e antiquata sala (ma fra un anno, assicurano, si riaprirà il rinnovato Argentina). Si recita Fedra di Seneca, secondo spettacolo dello Stabile di Roma dopo una discussa commedia della Valeri. Anche la tragedia senechiana suscita polemiche, ma per ragioni opposte a una sua frivolezza (ci mancherebbe altro, con Seneca!) e, invero, assai meno fondate: il direttore Pandolfi e il regista Ronconi sono accusati di «mistificazione culturale» da un «comitato di difesa teatrale» sorto fra alcuni, sembra pochissimi, dei diecimila abbonati che, più fortunato di altri confratelli, vanta quest'anno lo Stabile romano. L'attenzione con cui lo spettacolo è seguito e gli applausi calorosi che l'accolgono impediscono di considerarlo un insuccesso. Dimostrano, se mai, che i giovani affrontano senza batter ciglio — la riverenza per i classici? — il nobile tedio che, più di altre opere dell'antichità, pesa sulla rappresentazione di una tragedia scritta non per il teatro. E l'addebito mosso al regista di essersi ispirato a certi schemi del cecoslovacco Svoboda (e che grave colpa, sarebbe poi?) si rivela subito inconsistente: questo ripido piano inclinato, spoglio e di un candore abbagliante, che costituisce tutta la scenografia, può intendersi una variazione della scala sulla quale, nel Riccardo III, il Ronconi muoveva ambizioni e passioni. Seneca è di moda, non da oggi. Presentando la sua efficace traduzione di Fedra (edizione Einaudi), Edoardo Sanguineti sottolinea il profondo significato di un paradosso per cui da « opere destinate alla lettura... è nata, in gran parte, l'idea tragica del teatro moderno ». Ci si poteva aspettare che Ronconi, cultore attento di quel teatro elisabettiano che di Seneca ha subito il potente influsso, si sfrenasse nei più cupi barocchismi per descrivere l'impetuoso e non contraccambiato amore di Fedra per il figliastro, e il furore che la spinge alla vendetta prima, accusando falsamente Ippolito di violenza, al suicidio poi, quando il giovane incontra l'orrenda morte invocata su di lui dal padre. Al contrario, il regista ha raggelato la tragedia in una sorta di declamazione, di « lettura » appunto, con gli attori quasi sempre immobili sui ripiani e nelle nicchie ad essi assegnati. E tuttavia la passione, la brutalità, l'orrore di cui il testo è impregnato, proprio perche compressi, prorompono con più foga dalla rigida cornice e avvincono suo malgrado lo spettatore. Quanto alla noia, provvedono ad arginarla anche l'intelligente brevità dello spettacolo, poco più di un'ora e un quarto senza intervallo, e l'impeccabile recitazione di Lilla Brignone (Fedra) soprattutto, e di Massimo Foschi (Ippolito), ma anche di Santuccio, umbratile Teseo reduce dagli Inferi, di Anita Laurenzi, Mariano Rigillo e Marzio Margine. Intendiamoci, non si tratta che di una diligente edizione. Eppure, questa Fedra stilizzata e accademica rischia di apparire più fresca e più viva dell'altro spettacolo che lo Stabile offre in questi stessi giorni all'Arlecchino: Soluzione finale con cui Corrado Augias è al di sotto delle sue precedenti prove sebbene il programma, terroristicamente ma oscuramente, lo proclami « l'unico giovane scrittore del teatro italiano alla rigorosa ricerca di un personale spazio drammaturgico ». (Ma chi sono allora, per citare i primi nomi che vengono in mente, Lerici Wilcock Scabia Quartucci?). Il fatto è che questa « farsa », la definizione è dell'autore, ambientata in un luogo astratto tra la clinica e il manicomio, si rifa magari al teatro dell'assurdo con un'ennesima denuncia della miserevole sorte che tocca a « chi si ribella alle Sacre Tavole della Regola » ma, più irresistibilmente, richiama alla memoria i Personaggi di Pirandello e, ancor prima, del grottesco. Persino nei costumi come il vestito rosso, Anni Venti o Trenta che siano, che Angela Cavo indossa caratterizzando la parte della Signora con un puntiglio e un'ironia che non difettano neppure nei suoi bravi compagni. Che cosa rimane? Un'interessante ricerca sul linguaggio, ma più ingegnosa che feconda di risultati, e la scandita regìa di Sandro Sequi che imprime alla rappresentazione un ritmo burattinesco: appunto, Marionette che passione! Ma resta soprattutto l'impegno dello Stabile di continuare in questo stesso teatro, preso in gestione per nove anni, un'attività di ricerca e di studio con la collaborazione di un gruppo, artisticamente autonomo, di giovani attori e registi che, oltre alle novità italiane, metterà in scena testi stranieri particolarmente stimolanti. Fra i prossimi titoli, Ping Pong di Adamov e I visionari di Musil. Alberto Blandi
Luoghi citati: Argentina, Fedra, Lerici, Lilla Brignone, Roma
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