Come fallì il «Valle Susa»

Come fallì il «Valle Susa» L'ARRESTO DI FELICE RIVA A MILANO Come fallì il «Valle Susa» II tracollo del grande complesso cotoniero nel 1965 - Migliaia di operai rimasero senza lavoro - L'inchiesta accertò 44 miliardi di passivo - Il processo forse ai primi di marzo: imputate altre 16 persone (Dal nostro corrispondente) 1 Milano, 3 febbraio. Il ragioniere Felice Riva, ex vice presidente ed amministratore delegato del Cotonificio « Valle Susa » — arrestato stanotte dai carabinieri su mandato di cattura emesso dal magistrato inquirente — doveva comparire il 10 febbraio prossimo alla VII sezione del Tribunale penale di Milano, presieduta dal dottor Giudici: il processo per bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito è stato rinviato e si terrà, forse, ai primi di marzo. Con il giovane ex presidente del « Milan » siederanno a piede libero sul banco degli imputati — per rispondere di bancarotta semplice — altri sedici amministratori del grosso complesso. Si tratta dell'ex presidente del Consiglio d'amministrazione Roberto Meyer; l'ex vice presidente Carlo Casale; i consiglieri Roberto Rossi, Alois Bucher, Raffaele Lampugnani, Peter Marxer, Giovanni Mosca, Vittorio Riva e Donato Giulio Riva (rispettivamente fratello e cugino del ragionier Felice), Silio Tamaro, Enrico Tetaz, Pierenzo Turiani, Giacomo Spadacini ed i sindaci Giuseppe Lanfranconi, Gaetano Patti e Fernando Sismondi. Quando il 5 ottobre 1965 il Cotonificio « Valle Susa 11 venne dichiarato fallito, il rag. Felice Riva ricopriva da tempo le cariche di vice presidente, consigliere delegato e direttore generale dell'azienda. Il complesso, con oltre ottomila operai suddivisi in una dozzina di stabilimenti, era uno dei maggiori d'Italia nel settore cotoniero. Felice Riva l'aveva ereditato nell'aprile 1960, alla morte del padre, Giulio. Secondo la relazione del curatore del fallimento, il giovane Riva — assumendo la direzione del complesso — intraprende, «con imprudenza», un «massiccio programma di rammodernamento degli impianti», profondendovi miliardi. Quando poi il « Valle Susa » si trova a fronteggiare diverse difficoltà « viene deliberato di prendere partecipazioni in ben trentaquattro società per azioni». Inoltre «vengono allontanati o si allontanano dirigenti di provata capacità per inserire giovani collaboratori ai quali, ammesso che fossero in possesso di tutte le altre qualità occorrenti, mancava di certo l'esperienza necessaria per condurre gli affari di un complesso così importante ». Fra tante responsabilità, Felice Riva trova anche il tempo di occuparsi, come presidente, del « Milan-Calcio 11. Nel 1962, mentre la crisi si profila ormai minacciosa, il giovane Riva annuncia al Consiglio d'amministrazione (e viene applaudito) che il « Valle Susa » ha raggiunto la capacità produttiva di 85.000 chili di filato al giorno e di 150.000 metri di tessuto. Nell'ottobre 1965 il tracollo. E dall'inchiesta emergono dati sconcertanti, sintetizzati in due cifre: 44 miliardi di pas¬ sivo; 32 miliardi di presunto attivo. Di qui sorge e si concreta l'accusa di «aver distratto, occultato e dissimulato beni ed attività sociali, portando l'azienda al fallimento ». In particolare al Riva si attribuisce il reato di aver distratto due miliardi e mezzo a favore di altre società da lui controllate; di aver riscosso un miliardo e 689 milioni dall'ttltalviscosa », dalla « Rhodiatoce 11 e dalla « Chàtillon » senza versarli nelle casse sociali (o, quanto meno, senza farli risultare sui libri contabili); di avere infine « incanalato » centinaia di milioni dovuti al « Valle Susa » in una società finanziaria sotto il suo diretto controllo. L'ultima, pesante accusa al ragionier Riva è quella di essere ricorso al credito quando ormai la situazione dell'azienda era irreparabile e di aver dissipato buona parte del patrimonio del « Valle Susa » « in azioni manifestamente imprudenti ». Ai sedici imputati a piede libero la sentenza di rinvio a giudizio attribuisce il rea¬ to di bancarotta semplice per « aver tenuto o fatto tenere libri e scritture contabili prescritte dalla legge in maniera irregolare e incompleta, tra l'altro a seguito delle omesse registrazioni false inerenti alle operazioni illecite attuate o fatte attuare da Felice Riva ». Secondo il magistrato inquirente, infatti, l'industriale aveva carta bianca e poteva agire illegalmente all'interno della società soltanto « a seguito dell'inosservanza da parte degli amministratori e dei sindaci degli obblighi in materia di tenuta delle scritture contabili derivanti a ciascuno dalle cariche sociali ricoperte ». Così, attraverso queste azioni condotte con imprudenza e dolo, uno dei più fiorenti cotonifici italiani venne dissestato e degli ottomila operai che vi trovavano lavoro soltanto cinquemila, oggi, prestano ancora attività in alcuni stabilimenti del complesso che, com'è noto, ha ripreso parzialmente con la gestione dell'« Eti » (Ente tessuti italiani). g. m.

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