Il lucido moralismo di Carlo Stuparich

Il lucido moralismo di Carlo Stuparich La cinsi di una generazione Il lucido moralismo di Carlo Stuparich Questa nuova presentazione di Cose e ombre di uno, di Carlo Stuparich (la prima edizione, a cura del fratello Giani, risale al 1919, la seconde, ampliata, al 1933), se esce fra gli echi commemorativi della «Grande guerra», della quale egli fu una delle figure più luminose, va però ben oltre l'occasione, riproponendo un libro che non solo quella figura ci restituisce nella sua interezza spirituale, ma che è fra i più ricchi e rappresentativi della letteratura di quegli anni. Gli scritti e le lettere che lo compongono, e che vanno dal 1912 alla vigilia dell'eroica morte di Carlo al fronte (30 maggio 1916), testimoniano infatti — come dice Giani nella bella prefazione — «la crisi cerebrale e psichica di tutta una generazione d'avanguardia». Che è poi, grosso modo, la generazione della Voce. Giunto a Firenze dalla nativa Trieste sulla fine del 1913, a diciannove anni, Carlo Stuparich, ingegno di forte tempera morale, formatosi all'incrocio del romanticismo germanico con l'insegnamento del De Sanctis (e del Mazzini), riflette, del fermento vociano, soprattutto l'esigenza di scavare, di fare chiaro in sé. Dapprima con la guida dell'idealismo gentiliano, cui allora si era volto anche il Prezzolini, animatore della Voce; quindi, insoddisfatto, ma senza accusare, come altri, la filosofia, bensì la propria incapacità di darsi un « contenuto », di vivere « realmente » la vita, col cercare di immettersi nel flusso esistenziale, sorvegliandosi tuttavia con lucido senso critico e autocritico. L'esame di coscienza, così frequente tra i vociani da sembrare un genere letterario, diventa in Carlo Stuparich « esame di esistenza ». Un'autodefinizione da cui balza evidente quel che lo distinse dai coetanei, anche più sinceri: l'impegno, l'ansia drammatica, e quasi diremmo religiosa, che accompagna quella ricerca di sé attraverso gli altri; e non soltanto nei momenti più incerti, di scontento o di solitudine, ma anche quando l'animo è più disteso, e più disposto ad accogliere la vita: che, nonostante il pessimismo insito nella sua radice romantica, egli ama (come amerà, per la fortissima carica umana, anche quella di guerra). Tutto ciò, nella varia vicenda degli stati d'animo, degli umori, delle circostanze e delle stagioni, è consegnato in queste pagine: sia nelle poesie e nelle prose liriche, peraltro ancora oscillanti fra modi nuovi, già suoi, e modi che risentono dell'impressionismo vociano; sia nei pensieri, e soprattutto nel bellissimo epistolario, nel quale, fra tanto sollecito o amoroso far posto agli altri — primissimi la madre e il fratello Giani, suo confidente supremo, — quello che tuttavia domina la scena è lui che si esplora e si confessa. Una confessione per nulla narcisistica (lo stesso irredentismo - interventismo, essendo per lui un fatto naturale, non viene mai sottolineato), ma che ha, anche stilisticamente, il calore e il ritmo delle cose nate da pienezza d'animo, da una costante presenza — per dirla, appunto, col De Sanctis — dell'uomo nello scrittore. Arnaldo Bocelli CARLO STUPARICH: Cose e ombre di uno, con un'appendice di inediti - Ed. Sciascia - pagine XXII-308, lire 3600.

Persone citate: Arnaldo Bocelli, Carlo Stuparich, De Sanctis, Mazzini, Prezzolini, Sciascia

Luoghi citati: Firenze, Trieste