In Francia tutti chiedono che la Chiesa sia rinnovata

In Francia tutti chiedono che la Chiesa sia rinnovata Un'inquietudine ehe si fa sempre più viva In Francia tutti chiedono che la Chiesa sia rinnovata Ma i suggerimenti sono contrastanti - C'è chi insiste per un ritorno al passato e chi contesta tutto, a cominciare dall'autorità gerarchica - Il domenicano Le Guillon scrive: « Siamo davanti ad una disfatta del pensiero cristiano » -1 vescovi non si scoraggiano e cercano le vie perché la Chiesa vada «incontro ai poveri, ai tecnici, ai lontani» (Dal nostro inviato speciale) Parigi, 31 gennaio. Che cosa prepara la Chiesa di Francia? Una mina innescata sotto la tradizionale autorità gerarchica, come assicura il gesuita Bruno Ribes direttore di «Etudes»? O soltanto la faticosa ricerca di nuove strade per recare il Vangelo in un mondo lontano e distratto, come pensa mons. Dominique Pichon, direttore dell'Inlormazione religiosa dell'episcopato? L'orizzonte si presenta vago: non ha netti confini — come iri Olanda — fra maggioranza progressista e minoranza conservatrice o viceversa. Nessuno è in grado di contare le forze proprie o altrui. Alle centomila firme sinora raccolte dal settimanale destrorso «France Catholique» fra intellettuali e gente comune per confermare la fedeltà a Paolo VI, si contrappongono le contestazioni dei preti di « Echanges et dialogue», i fermenti di circoli intellettuali e di organizzazioni cattoliche, le diffuse critiche all'enciclica « Humanae vitae». In mezzo stanno 1 dieci milioni di praticanti su quaranta milioni di battezzati: apparentemente passivi, disinteressati alle «querelles» impregnate del sottile narcisismo culturale che in Francia non manca mai. Un po' tutti parlano di necessario rinnovamento: ma gli uni reclamando il rispetto del passato, gli altri con propositi sempre revisionistici e, talora, iconoclasti, ma vi sono sparuti gruppi di estremisti a destra e a sinistra. I primi invocano scomuniche, pugni di ferro, messa in latino. I rivoluzionari si battono per il ribaltamento sociale nel nome del Vangelo. L'abbé Robert Daveziès guida una pattuglia di « compagni » che dicono di voler distruggere la società e la Chiesa. A suo tempo sostenitore dei «fellagas» algerini, e per questo imprigionato, l'abbé Daveziès ha pubblicato in questi giorni un libro, « La rue dans l'Eglise ». Vi ha riunito le risposte dei « camarades » a un suo sondaggio. Il prototipo dei responsi è: « Il migliore servizio che possiamo rendere alla Chiesa è distruggerla ». Il domenicano M.-J. Le Guillon ha scritto sconfortato in « Evangile et revolution »: « ... Si è sviluppata una teologia della rivoluzione... Siamo davanti ad una vera disfatta del pensiero cristiano ». Ma queste posizioni appartengono a frange minime; si comprende però che un portavoce di «Echanges et dialogue » abbia tenuto a precisare che l'abbé Daveziès, membro del movimento, «non ne è affatto l'ispiratore». «L'Olanda discute di teologia e di dogmi, ma dentro la Chiesa — dice padre Ribes —; là le teste pensanti sono poche e guidano una maggioranza compatta che partecipa alla vita liturgica. Da noi molti cervelli e scarso seguito. Si contesta non la dottrina, ma il modello vigente di autorità nella Chiesa. La protesta purtroppo si risolve spesso nell'abbandono della Chiesa istituzionale: non della fede». Il maggio francese ha scosso i cattolici più impegnati anche nel campo religioso e non solo civile. Secondo Ribes l'enciclica contro la regolazione artificiale delle nascite è caduta come una repressione in un ambiente psicologico schierato contro ogni forma di imposizione. « Se non si provvede a risolvere il problema dell'autorità, nella Chiesa entrerà la violenza, naturalmente senza lanciare il pavé contro i vescovi », conclude in forma paradossale. Contro l'autorità, quale si manifesta, sono anche i 621 preti che firmarono il documento rivendicativo di « Echanges et dialogue », ora fiancheggiati in molte diocesi da confratelli simpatizzanti. Un loro portavoce spiega che essi non discutono la dottrina (anzi l'accettano in blocco) e neanche il concetto di autorità apostolica. Rifiutano l'attuale forma di autorità gerarchica chiedendo ai vescovi un rapporto di « comunione e non di subordinazione ». Vogliono riforme dello statuto clericale « ora insopportabile », libertà di scegliersi un lavoro, riflettono tuttora indecisi sul celibato che, probabilmente, gradirebbero volontario, sollecitano il diritto di impegno politico o sindacale. I vescovi hanno aperto un dialogo con il movimento, senza riconoscerlo, ma am¬ mettendo la fondatezza di alcune questioni, tt L'Arcivescovo di Parigi ci ha ricevuto già tre volte e proprio ieri ci ha nuovamente invitato. Se non ci fosse lui le cose andrebbero male». I seicentoventuno hanno relazioni con sacerdoti contestatori del Belgio, dell'Inghilterra, dell'Olanda, della Spagna e dell'Italia. Il loro incontro nazionale dell'I 1 e 12 gennaio ha sollevato grande interesse. Il New York Times offri, per assistervi, diecimila franchi, ossia un milione e duecentomila lire. « Naturalmente abbiamo rifiutato » termina il portavoce. Mons. Pichon, riflettendo le idee dell'episcopato, concorda sull'urgenza di una nuova pastorale. « Altrimenti la Chiesa non esiste, — dice —. Che cosa possono fare due preti in parrocchie con trenta mila anime? Che cosa, in città dormitori disumanizzanti, dove di giorno restano solo le massaie mentre gli uomini e molte donne vanno a lavorare altrove? Come può essere pi-esente la Chiesa nel mondo operaio se Hi Francia non possono esistere i cappellani di fabbrica? Per questa ragione-al. è ricorsi ai preti operai, non per una moda. Le fabbriche sonò le Università dei lavoratori» ha scritto mons. Ancelle, ora ausiliario di Lione, dopo essere stato prete operaio per cinque anni. Mons. Pichon nega che la pratica religiosa sia oggi inferiore a quella'di centpcinquant'annì or sono. « documenti scoperti dal canonico Boulard dimostrano che era flebile anche allora. Ma nel ceto operaio la Chiesa sconta ancora la secolare collusione con le classi dominanti ». Come esempio d'una efflca* ce pastorale, tenuto conto dei tempi, cita san Grignon De Monfort che, nel '600, seppe cristianizzare la Vandea, anche adattando le canzoni da osteria ad inni sacri che si cantano tuttora. « La fede entrò così nel patrimonio vivo del popolo e la Vandea vuol dire cattolicesimo per anto¬ nomasia». Quarantamila sacerdoti secolari in Francia sono anche troppi a parere del prelato, si tratta di distribuirli meglio. Le vocazioni diminuiscono di quattrocento, cinquecento ogni anno, ma non precipitano; il celibato volontario non ne risolverebbe la crisi, che si riscontra anche fra i protestanti dove i pastori possono sposarsi. Pichon è d'accordo, anche i preti dovrebbero lavorare, ma entro certi limiti, per guadagnarsi da vivere e soprattutto per togliere un ostacolo psicologico al loro ministero. « La Chiesa deve trovare la vìa di andare fra la gente che a differenza di un 'tempo non è più portata dalle condizioni storiche e civili verso la Chiesa ». Il piano dei vescovi francesi è racchiuso in questo slogan: « Una Chiesa per i più poveri, per i tecnici, per ì più lontani». Ma come? Lamberto Fumo Il presidente De Gaulle saluta la folla nell'attraversare Rennes (Telefoto Ansa)