Una "Gangster story,, parigina

Una "Gangster story,, parigina SULLO SCHERMO Una "Gangster story,, parigina « La banda Bonnot » rievoca le imprese di un gruppo di utopisti anarchici, nei primi anni del secolo - Compivano rapine per ribellarsi contro la società (Vittoria) — La banda Bonnot, come ricordano i non più giovani, fece molto parlare di sé, in Francia e altrove, negli anni 1911-1912, quando la violenza sociale ancora si versava nella sua purezza, senza cercare esempi, alibi o giustificazioni negli urti militari tra gli Stati. I suoi componenti, che furono anche i primi a combinare la delinquenza coli'automobilismo allora nascente, quantunque ladri falsari rapinatori di banca e assassini, differivano dai malfattori comuni per un grande fine che nella loro coscienza li assolveva: il trionfo dell'utopia anarchica, attuato mediante la ribellione sistematica indiscriminata e permanente contro la società borghese. Non è a dire quanto un film come questo giunga commercialmente opportuno nell'odierno clima della « contestazione ». Ma bisogna riconoscere che il regista francese Philippe Fourastie e i suoi collaboratori, pur riservandosi una certa libertà anacronistica nei dialoghi (assai pregevoli, di Marcel Jullian), non sono mai entrati nel tono a- pologetico. V'è bensì una cert'aria di martirologio (nella scena del processo e in quella della fine del capobanda), quale del resto lambisce più 0 meno tutti i « grandi vinti » dello schermo; ma i fatti commessi da Bonnot e soci, scusate le nobili illusioni che li hanno mossi, restano quelli che sono, cioè atroci. D'altra parte la polizia, per quanto ridicolizzata da bombette e baffi, si muove per linee sicure, applaudite dal popolino di Parigi e provincia, fra cui quegli anarchici dal grilletto facilissimo hanno spesso mietuto vittime innocenti. Il difetto del film è se mai una certa freddezza d'archivio. Si è tolto largo profìtto da giornali e settimanali del tempo, da documenti istruttori e processuali. Caratteri e psicologie sono ricalcati dal vero con buona approssimazione; di che è spia anche una certa povertà di carica nel « soggetto », che allinea prima i misfatti e poi 1 castighi, indugiando sull'ultimo, quello di Bonnot, che nella casa circondata dai poliziotti e dagli zuavi, muore come un cane e in compa-muòre | 1 gnia di un cane, ma con l'animo di Bruto, inneggiando al suo ideale. Nemmeno dalle due donne, Maria la belga e Venere la rossa, che mettono le lunghe sottane nell'ingranaggio anarchico, si sviluppa alcunché di simile a un romanzo. Tanta asciuttezza, mentre conferisce al film omogeneità stilistica e un tono pressoché squisito di «stampa» del tempo, lo tiene per un altro verso in una certa tetraggine che confina con la freddezza. Qui dà nell'occhio la differenza da Gangster Story (cui questa comproduzione franco-italiana visibilmente s'ispira): Fourastie, diversamente da Penn, non ha saputo liberare il truce racconto in una luce di giustificazione poeti ca. Forse gli conveniva farsi anarchico anche lui (a puri fini artistici, s'intende), invece che tenere, come ha fatto, la prudente posizione dell'archivista simpatizzante. Ottimi Bruno Cremer, il protagonista, e Jacques Brel (il fanatico Raymondì; e intelligente sempre, anche nella mo | dica parte, Annie Girardot. 1. p.

Persone citate: Annie Girardot, Bonnot, Bruno Cremer, Jacques Brel, Marcel Jullian, Penn

Luoghi citati: Francia, Parigi