L'uomo è protagonista della nuova teologia

L'uomo è protagonista della nuova teologia L'uomo è protagonista della nuova teologia Dio è amore: questa è una tesi classica della teologia- cristiana tradizionale. In un passo famoso del De Trinitate, sant'Agostino scrisse che l'amore fra gli uomini « non solo deriva da Dio ma è Dio stesso ». E nella teologia medievale (compresa quella tomistica) lo Spirito Santo è inteso come il rapporto d'amore che lega non solò le due prime persone della Trinità, padre e figlio, ma la Trinità stessa con gli uomini.' Ora proprio questa tesi della teologia tradizionale è stata assunta come punto di partenza da una teologia del dissenso che, pur dichiarandosi cristiana, mette in dubbio o addirittura nega il concetto centrale di ogni teologia, quel lo di Dio. Ateismo e cristianesimo non appaiono più a molti teologi termini inconciliabili. Se dal cristianesimo si elimina tutto ciò che è mito, allegoria, metafora; se lo si libera dal linguaggio primitivo o grossolano proprio dei tempi in cui i suoi documenti fondamentali furono scritti; se non si cerca in esso né la conoscenza dell'uomo né quella del mondo che oggi sono offerte dalla scienza e dalla filosofia, l'insegnamento fondamentale del cristianesimo si può ridurre a questo: dove c'è amore c'è Dio, e dove non c'è amore non c'è Dio. La nuova teologia trova le sue fonti più vicine nell'opera di due teologi protestanti tedeschi: Rudolf Bultmann, che si propose di « demitologizzare » la Bibbia, e Dietrich Bonhoeffer (ucciso dai nazisti nel 1945) che difese un cristianesimo « senza religione ». Essa si è poi diffusa specialmente nella chiesa anglicana e il libro del vescovo Robinson, Honest to God (1963, tradotto in italiano col titolo Dio non è così, Firenze 1965) ha contribuito potentemente a renderla popolare; mentre ha •trovato le sue forme estreme in America soprattutto negli scritti di Van Buren e di Altizer. Le divergenze fra i nuovi teologi, le loro incertezze su punti 'fondamentali e le loro contraddizioni si possono ora vedere, brevemente per quanto non ordinatamente, riassunte da un brillante giornalista del New Yorker, Ved Mehta, nel libro Teologi senza Dio ora tradotto presso Einaudi. La domanda che emerge dal lavorìo di elaborazione concettuale e dalle accese controversie è questa: che cosa rimane di Dio nella nuova teologia? E' più facile vedere quello che non rimane. La caratteristica fondamentale di Dio nella teologia tradizionale è la trascendenza: Dio è al di là del mondo e di tutte le cose create, al di là anche dell'uomo che può bensì sentirne la presenza nell'intimità della coscienza ma solo in quanto guarda, al di là di sé, alla Verità che dall'alto lo illumina. Dio è bensì causa prima, origine e fine di tutte le cose, ma la sua causalità non si identifica con quella del mondo, sebbene anche questa dipenda da lui. La possibilità del miracolo, cioè di un intervento straordinario della causalità divina nell'ordine delle cose naturali, deve rimanere aperta da questo punto di vista: la rivelazione, l'incarnazione del Cristo, la grazia, la formazione di una comunità dei fedeli come regno di Dio sulla terra, costituiscono gli effetti principali della causalità straordinaria di Dio, che imprime così un nuovo corso alla storia del mondo. Ora proprio a questa trascendenza, a questa causalità da cui dipendono la natura e la storia ma che non è essa stessa naturale o storica, è diretta la negazione più o meno implicita negli altri teologi ma crudamente espressa dalle parole di Altizer « Dio è morto Dio è morto, s'intende, come realtà trascendente, come causa prima, come principio di spiegazione del mondo naturale ed umano; e quando se ne parla (ammesso che se ne possa parlare), si deve intendere col suo nome soltanto ciò che di più profondo c'è in noi, la radice del nostro impegno, ciò che prendiamo sul serio senza riserve. Questo si può anche esprimere dicendo che, dopo la morte di Dio, non è rimasto che Cristo. Ma che cosa è Cristo se la sua filiazione da Dio è una pura metafora? Quel che Ponzio Pilato espresse dicendo « ecce homo ». ' Cristo è l'Uomo, cioè il modello e il paradigma della vita umana, il criterio per comprendere ciò che l'uomo è, la norma di ciò che deve essere. Cristo è per eccellenza l'uomo che è vissuto per gli altri, che ha posto su nuova base il rapporto tra l'io e il tu, che ha mostrato il potere creativo dell'amore. Solo nell'amore o per l'amore Cristo è Dio o divino: cioè veramente uomo, come tutti gli uomini devono essere. Ci si può chiedere allora che cosa i nuovi teologi- intendono per amore. E qui si vede su-, bito che il termine è inteso nel significato più vasto, per cui comprende le cose più disparate: non solo la fraternità fra gli uomini, la sparizione delle disuguaglianze, l'aiuto offerto al prossimo; ma anche l'amore sessuale, definito qualche volta come « santa comunione », senza condanna pregiudiziale dei rapporti prematrimoniali, dell'omosessualità o della fornicazione in genere. Alcuni dei nuovi teologi pongono anche come legittimi oggetti d'amore i beni o i piaceri mondani di cui gli uomini desiderano naturalmente godere. Altri ritengono che il criterio del bene e del male non possa essere insegnato dal cristianesimo (o da altra religione qualsiasi) e va affidato alla libera scelta di ogni uomo. La nuova teologia è, nel suo fondo, un movimento verso un'etica nuova, o meglio verso l'abbandono o la riforma radicale dell'etica tradizionale. Panteismo umanistico: così si potrebbe chiamare il puntodi vista filosofico verso cui convergono le speculazioni dei nuovi teologi. Panteismo perché, con la negazione della trascendenza, si abolisce ogni separazione tra Dio e il mondo e si tende alla loro unificazione. Umanistico perché il mondo di cui essi parlano, non è quello naturale ma quello dell'uomo. E' soltanto nell'uomo e attraverso l'uomo che Dio, come amore o impegno personale o esperienza mistica o quotidiana, vive, si realizza e agisce. Che un panteismo umanistico di questa fatta possa dirsi « religioso » o c cristiano *, è un problema che non interessa molto i nuovi teologi e che potrà essere discusso (come già è discusso) da altri teologi. Ciò che interessa rilevare è che, mentre questo panteismo non è molto originale, perché le sue fonti sono facilmente riconoscibili nel panteismo classico e nell'esistenzialismo moderno, esso possiede una forza d'urto straordinaria nei confronti di tutte le confessioni cristiane tradizionali e si può prevedere che contribuirà a modificarle potentemente. In primo luogo, difatti, esso serve a togliere importanza e signi¬ ficato ai catechismi nuovi e vecchi, alle dichiarazioni dogmatiche, alle professioni di fede. In secondo luogo, si presta a diminuire o addirittura ad annullare il divario fra il cristianesimo e le religioni orientali, che sono in buona parte d'ispirazione panteistica, e rendere così possibile un dialogo spregiudicato tra uomini provenienti dalle tradizioni religiose più disparate. In terzo luogo, infine, la nuova teologia non conserva che il nome della vecchia, perché in realtà non è altro che un'antropologia e un'etica, cioè una dottrina intorno al significato dell'uomo e ai suoi compiti nella società. Questo è veramente il punto centrale. Nonostante l'incoerenza e i contrasti, le pretese ingiustificate di novità e le gravi -oscillazioni concettuali, la nuova teologia è un altro segno che ormai il problema filosofico fondamentale, l'unico di cui valga la pena di occuparsi o di cui ci si può occupare con una certa speranza di successo, è quello dell'uomo e del suo pósto nel.mondo. Nicola Abbagnano

Persone citate: Dietrich Bonhoeffer, Einaudi, Mehta, Nicola Abbagnano, Ponzio Pilato, Robinson, Rudolf Bultmann, Van Buren

Luoghi citati: America, Firenze