Una profonda crisi travaglia la tradizionale cultura valdese di Giorgio Martinat

Una profonda crisi travaglia la tradizionale cultura valdese 31 mìturni*aiti ite»!ffffftfjofo protestunte del f*letitoftte Una profonda crisi travaglia la tradizionale cultura valdese Un sintomo della decadenza: scompare il perfetto sistema scolastico vecchio di secoli Ora si parla di chiudere anche il Liceo che formava i quadri dirigenti - Rimane però quella forza religiosa che ha sorretto la comunità nei duri periodi delle persecuzioni (Dal nostro inviato speciale) Torre Pcllice, gennaio. Forse il liceo valdese di Torre Pellice dovrà essere chiuso. Si discute, in questi giorni, del suo destino. Le iscrizioni diminuiscono di anno in anno e si accresce parallelamente, fino a diventare insostenibile, l'onere finanziario. I pareri sono divisi: c'è chi vorrebbe conservarlo, chi trasformarlo in un istituto professionale, chi sopprimerlo in omaggio al principio della scuola laica. Qualunque sia la sua sorie, la crisi che lo travaglia è un sintomo di quella, più ampia, che coinvolge tutte le strutture sociali del piccolo popolo valdese. Qualcuno parla di una generale decadenza della loro cultura ed è certo che da più di un ventennio è in atto, nelle valli, un processo di livellamento che sta cancellando la civiltà originale e caratteristica fiorita nel quadrilatero di montagne aspre e boscose fra l'Alta Valle del Po, il Delfinato e la Valle di Susa. Era stato, per quattro secoli dalla pace di Cavour fino alla seconda guerra mondiale, un ghetto: chiuso prima nei ferrei decreti di Emanuele Filiberto e dei suoi sabaudi successori, poi nell'isolamento geografico ed economico. Ma, paradossalmente, mentre l'aria chiusa del ghetto stagnava sull'Italia della Controriforma, quest'angolo protestante e puritano del'Pie- iiiUlUC elei aperto ai soffi più vigorosi della cultura europea. Fin dal secolo decimosettimo, il divieto di intraprendere le libere professioni e di percorrere le carriere militari e accademiche imposto ai valdesi li aveva spinti a cercare contatti con il grande commercio olandese, inglese e svizzero e ad assorbirne ìó spirito calvinista che stava dando l'avvio alla nuova società borghese e liberale. La proibizione di frequentare scuole pubbliche aveva disperso gli studenti delle valli nelle grandi università dei paesi riformati; lo stesso Sinodo, l'annuale assemblea popolare che democraticamente delibera sui problemi della comunità, aveva posto 1 contadini indomenicati, che scendevano dai remoti villaggi alpini, a fianco degli alti dignitari delle Chiese protestanti europee e americane. Il risultato era stai o la progressiva elevazione delle valli valdesi a un livello culturale europeo. Già centotrent'anni fa questa comunità di ventimila montanari disponeva di un perfetto sistema di istruzione pubblica, con scuole in ogni villaggio per minuscolo e sperduto che fosse, una biblioteca circolante in ogni chiesa e, a Torre Pellice, un liceo ad indirizzo umanistico quando, nelle campagne italiane, non era ancora entrato l'alfabeto. Poteva accadere, in una baita alpina, di scorgere, accanto alla Bibbia, l'Odissea e l'Eneide e sentire un montanaro dagli zoccoli infangati, che aveva appena deposto una gerla di letame, citare Omero in greco e Virgilio in latino. Tutti parlavano almeno tre lingue: l'italiano, il francese, e il « patois » che conservava intatta la dignità letteraria dell'antica « langue d'Oc ». Ora le scuole sono phiuse e si discute la sopravvivenza del liceo che ha formato, per molte generazioni, i quadri dirigenti valdesi. Il francese va scomparendo; il « patois » è sempre più corrotto; l'italiano, che sulle labbra dei più anziani suona ancora perfetto, un po' arcaico e toscaneggiante come quello dei testi scolastici della fine del secolo, in bocca ai giovani è scorretto e imbastardito. Si sta dimenticando la pratica del la lettura biblica quotidiana il linguaggio solenne dei prò feti è sostituito da quello dei rotocalchi: « Si è spenta — mi dice il prof. Armand-Hugon, insegnante al liceo — la fierezza di appartenere a una minoranza d'elite, e con essa l'amore per la cultura ». Il pastore Gino Conte aggiunge: « Cento o cinquant'anni fa i contadini e i minatori delle valli, poverissimi, sostenevano sacrifici inimmaginabili per mandare i figli al liceo e avviarli alle professioni liberali. Ora il tenore di vita è incomparabilmente più allo, ma si cerca soprattutto un precoce inserimento nel mondo del lavoro, con una rapida qualificazione profes¬ vqc sionale. Per questo il vecchio liceo classico è in crisi ». E' una trasformazione inevitabile, non dissimile da quella di tutta la campagna italiana, e non meriterebbe certo una attenzione particolare se non rischiasse di cancellare una minuscola civiltà autoctona, che avrebbe ancora molti titoli per essere conservata. Riuscirà a sopravvivere? La domanda si lega a un'altra: sono in crisi i valori religiosi che, per secoli, sono stati il fondamento di questa civiltà? La pongo al pastore Paolo Ricca, che mi dà una risposta negativa: « La crisi riguarda soltanto i valori etici, in cui quelli religiosi si esteriorizzavano. Sono i valori della società liberale e borghese di derivazione ottocentesca che vengono messi in discussione ovunque, non soltanto nelle nostre valli ». Molti sintomi sembrano dargli ragione: resta vivo lo spirito religioso con cui i valdesi ricercano una nuova scala di valori sociali a cui possa applicarsi il loro impegno morale. Basterebbe citare le esperienze del pastore Vinay che nella più profonda Sicilia, a Riesi, guida una comunità di studio e di lavoro; del pastore Bouchard tra gli operai di Cinisello Balsamo nella cintura milanese; di Agape, il centro ecumenico di Prali che da anni è un punto di incontro per giovani di ogni razza, nazionalità e confessione religiosa. E si potrebbero aggiungere anche episodi minori, ma indicativi: la polemica sorta per la costruzione del nuovo grande tempio di Villar Perosa ne è un esempio. E' sintomatico il fatto che sia una parte stessa dei parrocchiani a metterlo in discussione, sostenendo che le strutture ecclesiastiche tradizionali non siano più adatte ai nuovi tempi. Traspare, nei loro argomenti, una dimensione messianica che Paolo Ricca riassume con queste parole: « Ogni cultura, ogni sistemazione sociale sono soltanto un accampamento nel deserto, che si edifica e si abbandona lungo il cammino millenario verso la riconciliazione fra Dio e il creato ». Per il piccolo Israele delle Alpi, come è stato chiamato, è forse più facile assorbire ed assimilare i contraccolpi della tempesta che scuote le strutture tradizionali della società proprio grazie a una antica tradizione di tolleranza e di spirito critico. Forse riusciranno a conservare la forza religiosa che li ha sorretti in secoli di persecuzioni anche nella nuova grande città che un teologo ha chiamato « della morte di Dio ». Giorgio Martinat

Persone citate: Bouchard, Cavour, Emanuele Filiberto, Gino Conte, Hugon, Paolo Ricca, Torre Pcllice

Luoghi citati: Cinisello Balsamo, Israele, Italia, Prali, Riesi, Sicilia, Susa, Torre Pellice, Villar Perosa