Bergman e Fellini

Bergman e Fellini MXCOXTUO FUA UVE UGGISTI Bergman e Fellini L'amore sarà il tema de! film che Ingmar Bergman e Federico Fellini gireranno insieme, forse entro l'anno. Tema vago, tanti sono i significati, le forme e i livelli che l'argomento può assumere. Nell'annunciarc il singolare progetto di lavoro in comune, i due registi sono stati del resto avari di notizie. In altra occasione, Bergman ha dichiarato che il nucleo originario di un'opera sorge in lui in modo molto impreciso: una frase casuale o una battuta di dialogo, un tenue fatto indipendente da qualsiasi particolare situazione. Si tratta, aggiunse, di impressioni fuggevoli che, pur scomparendo in un attimo, lasciano uno stato d'animo e mentale prodigo di fertili associazioni e immagini. « E' un filo colorato che esce dal buio sacco dell'inconscio. Se si comincia a dipanarlo, e lo si fa con cura, ne uscirà un intero film. Il risultato dipende dalla mia capacità di espressione grafica ». Anche Fellini ha affermato, c più di una volta, di essere reticente nel riferire un soggetto, specie se in fase di elaborazione; che il racconto di un film non è un film, mancandogli movimento e ritmo propri della vita. « Le mie idee maturano molto lentamente. Raccolgo nella memoria delle immagini, le seleziono e trovo ridicolo parlare di un qualcosa che esisterà solo nella sua trascrizione visiva ». Così Fellini si è limitato a dire che Duetto d'amore — questo il titolo provvisorio dell'annunciato lavoro con Bergman — sarà come una passeggiata notturna di due uomini che si confessano e discutono sulla concezione dell'amore. Tn tale reticenza dinanzi alle opere ancora da realizzare, un primo tratto in comune dei due registi, così diversi eppure con alcune affinità fondamentali'. Li unisce innanzitutto una identica concezione del cinema e del cineasta: èssi si considerano degli « stregoni » che eseguono giochi di prestigio con un apparecchio magico, fondato sull'illusione dell'occhio umano. Forse è proprio la straordinaria facoltà di evocatore di immagini che Bergman più ammira in Fellini. « Ancor oggi rammento a me stesso con infantile eccitazione che in realtà io sono uno stregone », annota. Unisce entrambi gli autori, in pari tempo e ancor più, un analogo atteggiamento dinanzi alla « religiosità », alla solitudine e alla incomunicabilità.' La sola cosa che valga, dice Bergman con O'Ncill, l'unico argomento intorno al quale mette conto lavorare, è il rapporto dell'uomo con il soprannaturale. Rapporto che si è latto sempre più arido e difficile nella sua opera, sino a raggiungere il « lutto del cielo»: il «silenzio», l'abbandono del mondo da parte di Dio. La Grazia, il miracolo, la redenzione sono al centro di molti film di Fellini: alla fine i protagonisti riescono ancora, sia pure man mano con maggiore fatica, a comunicare con l'Ente Superiore. Non è difficile immaginarsi il regista italiano in mezzo ai « ribelli » dell'Isolotto fiorentino, fervido simpatizzante di don Mazzi e del nuovo catechismo. Alla base della religiosità dell'uno e dell'altro autore si avverte un desiderio di rinnovamento e addirittura di contestazione dinanzi a forme arretrate e conformistiche. Nello sviluppo di Bergman, il padre — pastore protestante — ebbe di certo un'« importanza cruciale »: non solo in se stesso, ma perché gli creò, come Bergman stesso contessa, un mondo « contro il quale rivoltarsi ». Il rifiuto della società italiana contemporanea, o di certi nostri ambienti sociali e familiari, è il risultato di una educazione mediterranea sbagliata e medievale, afferma Fellini. Per gli educatori della sua generazione, ricorda ad esempio, la sessualità era qualcosa di maledetto, demoniaco; ed essendo la donna l'incarna¬ zione di quella, rappresentava il peccato, il male. Con La dolce vita Fellini assunse per la prima volta, in tale ambito critico, elementi di novità avvicinandosi alle origini dell'esistenzialismo, ' a una posizione se non uguale analoga a quella presa da Kierkegaard un secolo prima. Il film è l'affresco di un'Italia degli anni Sessanta in fastosa decadenza, anche e in particolare nei suoi valori trascendentali. La statua del Cristo lavoratore che vola, portata da un elicottero, sopra la Capitale corrotta, vuole sottolineare che la religione ha perso la sua antica vitalità. L'intervento di Fellini, e più direttamente quello di Bergman, richiamano la lotta da Kierkegaard condotta per la purificazione del cristianesimo. Attraverso il giudizio negativo sul conformismo religioso e quanto esso contiene di aberrante, Fellini e Bergman, sulla falsariga appunto del teologo e filosofo danese, intendono riportare la religione — cattolica, il primo; protestante, il secondo — alla primaria e originale forma di regolatrice di vita. In questo loro atteggiamento, constatano e prendono in esame la crisi della fede (troppo spesso intesa in senso soltanto confessionale) e la crisi dell'amore, il deterioramento della coppia. Questa, nella società odierna — rileva Fellini — è « nella stragrande maggioranza dei casi una microcellula terribilmente anacronistica ». Il personaggio di Giulietta degli Spiriti, afferma, vuole riassumere le caratteristiche di un certo tipo di moglie italiana cattolica: coartata, repressa e quindi anormale. Esistono da noi milioni di Giuliette, il cui sviluppo psichico è rimasto del tutto incompleto: l'educazione che tende a proporre una visuale idealizzata, angelica — -piega Fellini —, soffoca gli elementi della vita istintiva, i quali perdono il loro aspetto naturale, si sviluppano in modo occulto sotto forme aberranti. Tra le differenze nelle affinità, emerge — oltre alla connotazione degli stili, del linguaggio, e alla resa espressiva — la natura della religiosità nei due registi: specificata- | mente intellettuale nello svedese, più sentimentale ed emotiva nell'italiano, anche se Fellini rimanda in certi film alla psicoanalisi (come in Giulietta, appunto, o in Otto e mezzo), al pari del Bergman di Persona o dell'Ora del lupo. « Il problema religioso, per me, è di tipo intellettuale: il proble¬ ma del rapporto tra la mia mente c la mia intuizione », afferma Bergman, per il quale l'arte ha perso il suo impulso creatore di fondo allorquando fu separata dalla fede. Nel contesto di queste affinità nelle differenze, sarà interessante verificare il risultato, concettuale ed espressivo insieme, della conversazione tra i due registi, l'uno nordico e l'altro latino, su un tema così ampio, contraddittorio e problematico come l'amore. Il loro colloquio forse dialettico e teso tra mente e cuore, la loro confessione, possono assumere un particolare interesse e peso in un momento in cui sembra che il tempo sia « tutto e l'uomo niente, niente di più che lo scheletro del tempo ». E in un momento in cui lo stesso Henry Miller rifiuta di essere considerato « un pioniere della letteratura erotica » e afferma che i giovani d'oggi hanno ottenuto la promiscuità, ma non la liberazione. Guido Aristarco

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