Roma più vicina al mondo

Roma più vicina al mondo Roma più vicina al mondo (Segue dalla 1' pagina) vanti sul cattolicesimo è confermata proprio dalla scelta di un polacco siila cattedra di Pietro. Si elegge non soltanto il rappresentante di una Chiesa, nel corso degli ultimi secoli, costantemente minacciata e spesso perseguitata, ma si eleva alla suprema cattedra vaticana l'interprete di una visione integrale del cattolicesimo, non solo come teologia (e il cardinale Wojtyla è un teoloog di classe) ma anche come disciplina (e certo poche diocesi come quella di Cracovia olirono un esempio di immedesimazione fra « gregge » e « pastore », contro tutti i fermenti di autonomismo o di revisionismo dilaganti nella Chiesa contemporanea). Nella grande crisi di identità, che investe il mondo moderno, il Papato ha bisogno di un punto di riferimento. Il Papa italiano, con tutti gli scetticismi e le tendenze al compromesso della nostra terra, non bastava più. Il Papa polacco costituisce un'indicazione, e quasi un «alt». Non nella distinzione, un po' schematica e logora, che ha riopposto anche in queste settimane « destra » e « sinistra », anche con l'aiuto troppo disinvolto, o troppo ricercato, dei mezzi di comunicazione di massa, usati da certi cardinali come dagli aspiranti alla presidenza del Consiglio. Ma nella riaffermazione dei punti irrinunciabili del magistero cattolico, di quel « depositum fidei » portato talvolta a confondersi o a smarrirsi nel contatto con l'aggressiva civiltà consumistica. Esponente di un cattolicesimo povero, il cardinale di Cracovia porta nei Palazzi Apostolici un'impronta inconfondibile, una severità scabra e perfino drammatica, sconosciuta ai predecessori. Chi ha sentito le stentate, faticate parole rivolte alla folla di piazza San Pietro — una folla cui certo non è sfuggita la grandiosità del trapasso da un papa italiano a un papa non italiano — non ha mancato di ripensare a quella che è stata la tragedia del catloliecsimo polacco nell'ultimo trentennio, la sua miracolosa capacità di difesa e di sopravvivenza. Certo l'arcivescovo di Cracovia rappresentava una linea, sul piano politico, più moderata o, diciamo meglio, più «realistica» rispetto a quella del primate Wyszynski (anche per la differenza di età); il compromesso in atto in Polonia, quello che ho chiamato una volta u queste colonne il « concordato indiretto », è opera essenzialmente sua. Ma non inganniamoci, la duttilità dell'arcivescovo di Cracovia era esclusivamente «lattica». Il suo rigore nei princìpi — i grandi princìpi in discussione nel contenzioso fra il regime e la Chiesa polacca, la libertà di stampa, la libertà di associazione e di proselitismo, la libertà di riunione — non si è mostrato mai in nulla inferiore a quello del grande antagonista di Gomulka. Nessuna tendenza all'irenismo, o alla rinuncia. Nessuna debolezza verso i cattolici dissidenti del gruppo « Pax ». Nessuna indulgenza a patteggiamenti sulle questioni di fondo, soprattutto in rapporto all'educazione dei giovani. Si ricordi la lunga, tenace marcia dei cattolici polacchi, guidati da Wiszynski e da Wojtyla, per la disseminazione di migliaia di « punti catechistici » in Polonia: una formula sostitutiva dell'insegnamento religioso nelle scuole, ma tale da consentire egualmente ai giovani di studiare la religione, fuori dalle pubbliche istituzioni, all'ombra della Chiesa e della famiglia. Più di dieci anni fa, una delle grandi amarezze di Paolo VI fu il «no» risoluto e anche sgarbato del governo polacco alla sua offerta di recarsi in Polonia, per il millennio del santuario di Czestochowa. Papa Montini ne provò un dolore, che neppure la sua consumata esperienza diplomatica riuscì ad attenuare. Nonostante quella ferita, il corso dei rapporti fra Chiesa e Polonia conobbe, all'indomani degli Anni Settanta, un costante mi¬ glioramento, riuscì perfino ad assestarsi in formule di convivenza più che armistiziale. La visita del «premier» Gierek in Vaticano nel dicembre 1977, proprio nello estremo autunno del pontificato paolino, sancì il nuovo corso che corrispondeva ai tenaci sforzi della «linea Casaroli». In quei giorni risuonarono gli omaggi dei «leaders» comunisti polacchi alla grandezza del Pontefice, colpito da interdetto un decennio prima. Sotto questo profilo l'ascesa di un vescovo polacco alla cattedra vaticana non si presta a interpretazioni politiche strumentali, in un senso o nell'altro. Un solo dato appare con certez¬ za: se il distacco fra Italia e Pontificato è destinato ad accentuarsi con un Papa proveniente, com'egli ha detto, da un Paese lontano, il rapporto fra il mondo comunista e il mondo cattolico è destinato a conoscere una complessità, tale da sottrarsi ogni facile classificazione, a ogni superficiale schematismo. Certamente, con un Papa come Wojtyla, nessun esponente della politica italiana, neanche di matrice cattolica, potrebbe pensare di scaricare sul Vaticano le scelte che fosse incapace, in un senso o nell'altro, di compiere. Una certa epoca della storia italiana, comunque, è finita. Giovanni Spadolini

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