Faticoso compromesso per salvare l'Euratom di Sandro Doglio

Faticoso compromesso per salvare l'Euratom Sei mesi assicurati all'Ente atomico Faticoso compromesso per salvare l'Euratom La Francia rifiutava di pagare le sue quote: gli altri cinque paesi si sono accollati parte degli oneri di Parigi - Per ora la sorte dei 2850 tecnici dell'ente non è minacciata (Dal nostro corrispondente) Bruxelles, 21 dicembre. Il fallimento dell'Euratom è stato provvisoriamente evitato. Dopo il compromesso raggiunto stanotte a Bruxelles, il Mec ha sei mesi di tempo per studiare e approvare un nuovo programma di ricerche ed esperienze da svolgere in un certo numero di anni. Dovrà, in altre parole, scegliere e definire nuovi obiettivi e creare nuove strutture affinché i centri comuni di ricerca dell'Euratom possano svolgere un lavoro efficace e utile. Creando nel 1957 il Mec, i sei Paesi avevano dato vita contemporaneamente all'Euratom, che doveva essere uno strumento in comune per effettuare ricerche tecnologiche e scientifiche e realizzazioni pratiche nel settore dell'energia nucleare: finora si è fatto poco e, secondo gli osservatori, lo si è fatto male. La minaccia di chiudere l'Euratom, di abbandonare i centri comuni di ricerca (il più grande è quello di Ispra, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore), di dover licenziare i 2850 tecnici e scienziati che hanno accettato di lavorare per l'Europa invece che per interessi privati o nazionalistici, è stata per il momento allontanata. Per giungere al compromesso Italia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo hanno dovuto accettare di' sopportare una parte dell'onere finanziario che, secondo i trattati comunitari, toccherebbe alla Francia. Parigi non ha voluto pagare che il 50 per cento delle spese che le competono. Questa situazione abnorme segna una svolta pericolosa nella storia dell'integrazione europea: se oggi la Francia non accetta di pagare, con il pretesto che non la interessano, certe ricerche che tutti gli altri Paesi vogliono effettuare, non si vede perché — domani — qualche altro Paese non potrebbe rifiutare per esempio di pagare le spese, ben più imponenti, per certi settori dell'agricoltura, che vanno quasi esclusivamente a vantaggio dei francesi. Ciò sarebbe la fine della Comunità, il tramonto dell'idea europea. I prossimi sei mesi dovrebbero quindi essere di capitale importanza per il Mec, anche se nell'arte dei rinvìi e delle formule di compromesso i governi europei sono purtroppo maestri, come insegna l'esperienza di Bruxelles. Chiamati a discutere il programma di ricerche comuni dell'Euratom per i prossimi anni — settore, va sottolineato, già di per sé di vitale importanza per k- nostra economia — i ministri dei sei Paesi dovranno in realtà rispondere all'interrogativo di fondo: vogliamo continuare a fare l'Europa? Quale Europa si vuole costruire? Il problema non è di stabilire se pagare 10 o 20 o 100 milioni di dollari, non è di scegliere tra un progetto di reattore e uno studio sull'acqua pesante. Il problema è politico. Tutto è fermo, o quasi, in questa Comunità che dovrebbe invece procedere a passo di corsa. Si accumulano le spese per mantenere in vita un'agricoltura malata, ma di fronte alle proposte di riformare le strutture tutti protestano e accampano pretesti per rinviare le decisioni. Dopo dieci anni di Mercato comune, proprio quando si realizza l'unione doganale, si manifestano paurosi squilibri finanziari e monetari fra gli Stati, ma ancora non ci si è messi seriamente al lavoro per trovare una soluzione europea: ognuno fa per sé, spesso a spese dei partners. I sei mesi di tempo che i ministri stanotte si sono concessi per tentare di risolvere il problema della cooperazione e della ricerca atomica possono essere l'ultima delle tante occasioni che gli europei hanno avuto in questi anni. Si deve decidere finalmente, nella pratica, se vogliamo unirci o se preferiamo continuare, in un mondo di colossi, a restare chiusi nei nostri interessi nazionali e settoriali. Sandro Doglio