Rivive col «Gelindo» un'antica tradizione

Rivive col «Gelindo» un'antica tradizione lire spettacolo ai Gobetti Rivive col «Gelindo» un'antica tradizione In scena un personaggio del presepe che parla piemontese - Interprete Gipo Farassino Rinasce il teatro piemontese? Il Gelindo, presentato al Gobetti da un'associazione appositamente costituita e dallo Stabile torinese, vorrebbe essere il primo passo, come ha ricordato Carlo Trabucco prima della recita, « per ridare vita a un'attività teatrale di pretto carattere regionale ». Impresa difficile: a Torino il teatro in dialetto, tranne qualche fiammata (alcuni spettacoli del Teatro delle Dieci, un buon Coni Piolet dello Stabile, i tentativi e i propositi di Macario, e perché no? l'attività amatoriale della « Piccola ribalta » di Armando Rossi), langue da decine di anni, anche prima della morte di Carlo Casaleggio, ultimo e glorioso rappresentante del teatro piemontese « inventato » nel 1859 da Giovanni Toselli contro il parere di un Brofferio e di un Bersezio. La scelta del Gelindo, sacra rappresentazione della Natività probabilmente del Seicento, starebbe ad indicare che si vuole procedere con cautela, tenendosi ben stretti ad una tradizione popolare un po' stremata, è vero, ma non del tutto spenta se ancora oggi si usa l'espressione « A ven Gilind » per ricordare l'avvicinarsi del Natale. Che pòi si sia preferito un cammino più comodo agli impervii sentieri di un repertorio ancora da riscoprire ma forse più aderente ai tempi di ferro in cui il teatro vive, è un altro discorso che il carattere di circostanza di questo primo spettacolo e gli insegnamenti che se ne potranno trarre consentono di rimandare a un'occasione, si spera, prossima. Ecco intanto il simpatico Gelindo, con il suo cappelluccio stinto, l'ampia mantellina, le brache corte, la giubba rossiccia (e non gli manca neppure l'agnellino vivo intorno al collo), ecco questo antenato campagnolo del più popolare Gianduja scendere, a dispetto della cronologia e della geografìa, dalle colline del Monferrato con la famiglia e i servi per rendere omaggio al Bambino. Sono scenette vivaci e realistiche, alle quali si addice il dialetto, che hanno arricchito il nucleo primitivo di origine certamente colta e forse limitato alla sola adorazione dei pastori: il primo incontro con Giuseppe e Maria, i dialoghetti con i vicini, il colloquio con i Magi, che parlano in lingua come la Sacra Famiglia, il racconto della strage degli innocenti. Per rappresentare II Gelindo, meglio di un palcoscenico neppure molto grande, si adatterebbero una piazza, il portico di una chiesa, il cortile di un palazzo. Ma già, fa freddo. A Gualtiero Rizzi, regista e scrupoloso riduttore del testo (ha anche trascritto in torinese l'alto-monf errino del protagonista), non è rimasta che la soluzio ne di utj presepio vivente con i « luoghi deputati » di sapore medievale suggeriti dalle scene di Eugenio Liverani. Entro questo limiti, lo spettacolo è pulito, decoro so, piacevolmente iconografi co (i costumi di varie epo che s'ispirano a noti dipinti), ma anche un po' raggelato con quei pastori distanti dal pubblico al quale essi, e spe cialmente Gelindo, tuttavia ammiccano e si rivolgono. Il diaframma tra ribalta e platea potrebbe romperlo Gipo Farassino se il cantautore torinese, ancora agli inizi come attore, riuscisse sempre a trasferire nella recitazione l'immediatezza e l'aggressività con cui esegue le sue canzoni: stoffa ne ha, possiede anche una maschera efficace, sa divertire. Intorno a lui, con due anziani e valenti attori di Casaleggio (Gabri Gemelli e Federico Goletti), recitano Piera Cravignani, Lia Scutari, la Sonni, l'Esposito '- molti altri. E anche ballano una briosa monferrina (coreogiafie di Sara Acquarone) e cantano musiche di vari secoli rielaborate dal maestro Goitre per voci, coro e strumenti vari. Molti applausi pei tutti e da stasera le repliche. a. bl.

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