Non basta un'Accademia per fare dei buoni film

Non basta un'Accademia per fare dei buoni film Cinema impegnato e di consumo Non basta un'Accademia per fare dei buoni film Pochi se ne sono accorti, ma da qualche settimana è sorta, a Roma, l'Accademia italiana del film. Intende promuovere c sostenere, dice lo statuto, serie e concrete attività culturali a favore del cinema nazionale, recare ad esso un meditato contributo sul piano del progresso artistico, dei problemi estetici e critici, della libertà di espressione. Sulla falsariga delle già esistenti « Acadcmy of Motion Picture Arts and Sciences » e « British Film Academy », anche la nostra è una corporazione di produttori e cineasti, di ogni partecipante all'opera cinematografica: dal regista allo sceneggiatore, dal soggettista al fotografo, dall'attore ai tecnici. « Tutto il cinema in difesa del cinema ». Il film italiano, affermano i fondatori dell'associazione, soffre di discordia e un organismo che, appunto come quello hollywoodiano o londinese, riunisca gli esperti più qualificati al fine di una diretta, cordiale collaborazione, può essere strumento validissimo per guarirlo. L'Academy hollywoodiana è conosciuta solo per gli Oscar che annualmente assegna a film realizzati nel Nordamerica, a singoli autori c tecnici; e la nostra, tra le attività in programma, annuncia subito l'istituzione di riconoscimenti — già definiti Oscar italiani —, che i soci daranno, in forma solenne, alla produzione nazionale per orientare il pubblico e la produzione stessa. Che cosa abbiano che fare gli Oscar con il progresso artistico e scientifico del cinema, è noto. Essi sono quasi sempre serviti al lancio pubblicitario di film e divi. Dalla nascita a oggi, \'Academy Award non è mai andato, a esempio, a Chaplin o a Strohcim, né come attori né come registi. Anche se la nostra Accademia afferma che i suoi premi saranno ben diversi, nella loro natura, da quelli americani, rimane assai problematico e dubbio come essi possano orientare, in senso positivo, il gusto del pubblico e la produzione stessa. Spetta ai critici, se mai, un tale compito; i cineasti, e i produttori, non possono essere veri giudici di se stessi. Quali siano i film che i produttori ritengono più meritevoli di sostegno, di essere indicati all'approvazione del pubblico e addirittura all'odierno apparato industriale, tutti sanno. Non certo il cinema-arte o il cinema d'autore o comunque anticonformista. Significative le adesioni al nuovo organismo da parte appunto dell'in dustria cinematografica. L'Accademia difenderà la cultura — sottolineano anche i fogli dei produttori e degli esercenti —; preoccupati d'altra parte di certi odierni fenomeni, si domandano se essa potrà porre fine alla contestazione « per assicurare al cinema un'era di responsabili aggiornamenti e di feconda collaborazione ». In verità il nuovo organismo si presenta tutt'altro che unitario, non rappresenta il film italiano nella sua interezza. Esso respinge, direttamente o indirettamente, e per la sua stessa natura, una parte non esigua di autori. Nell'elenco dei soci sono assenti i Taviani e gli Orsini, i Bellocchio e i Samperi, i De Seta e i Bertolucci, i Mingozzi, i Faenza, i Frezza e molti altri giovani o non più tanto giovani: Pasolini ad esempio. Non sono costoro elementi qualificati? Nato all'insegna della contestazione che si limitava a minare le strutture già esistenti di un cinema quanto mai vivo e vitale in nome della presunzione e della superficialità — commenta un foglio romano —, il 1968 si avvia di fatto, contrariamente ad ogni aspettativa, ad un l'elice epilogo grazie appunto all'Accademia. « Dalla fase disgregativa, si passa così alla fase costruttiva dando vita a una crociata ». Dunque di una crociata si tratta, di una guerra contro gli « infedeli », gli « eretici » i « novatori », per il recupero e la sopravvivenza di un cinema spesso logoro e vecchio, mercantile e niente affatto vi vo e vitale, come le cifre delle presenze nei cinematografi in continuo regresso dimostrano. « L'Accademia serve a lottare contro le prepotenze dei capelloni, il disordine provocato dai contestatori-», dichiara Sylva Koscina. « A furia di fare film impegnati, pare che alcune categorie di persone », incalza Nino Manfredi, «iì siano impegnate ad allontanare il pubblico dal cinema, con storie prive di interesse, con tirate politiche, con strani film che sono noiose lezioni filosofiche ». Per quanto discutibili possano essere, c più d'una volta anche velleitari, i film dei « ribelli » e degli « eretici » sono superiori e più interessanti rispetto a Straziami, ma di baci saziami con il « qualificato » Manfredi o ai prodotti di pura confezione dell'accademica Koscina. Al lume delle affermazioni dei due divi — membri fondatori dell'Accademia e appartenenti al comitato esecutivo della stessa — si può anche intravedere cosa racchiudano le parole di Gian Luigi Rondi, ideatore del consesso: « Abbiamo deciso di unirci e dì fare dell'Accademia una specie di persuasione occulta, in difesa del cinema italiano, dell'arte del film e della sua libertà di espressione, ma mai contro il pubblico ». Un grande e nodale equivoco è alla base della neo-istituzione, che insiste più volte sui suoi fini culturali: « Non essendo il nostro un ente sindacale e politico, il suo primo scopo è la cultura ». Ma quale cultura? Occorre rispondere chiaramente alla domanda, avendo la parola, per l'uso e l'abuso che se ne fa, perso ogni significato. Cultura vuol dire l'insieme delle cognizioni che uno possiede, il complesso della vita intellettuale di un popolo in una determinata epoca. Essa quindi si presenta in forme e a livelli diversissimi e contrastanti: può essere avanzata o retrograda, positiva o addirittura reazionaria, e con elementi dell'una e dell'altra forma, a seconda dei vari individui o gruppi, civiltà e modi di vita cui corrisponde. Anche le dichiarazioni di Manfredi o della Koscina rispecchiano una data cultura, o l'affermare che un film deve colpire allo stomaco il pubblico — ideale di un noto produttore —, o il qualunquismo di Salce ne La pecora nera. Ma c'è anche, tra le tante sue forme, la cultura che, come nel caso di De Sanctis, significa nuova intuizione della vita capace di offrire un originale e diverso modo di vedere e sentire la realtà. E infine, come afferma Cantoni, se chiamiamo politica, in senso lato e aperto, la partecipazione alle cose del mondo, la vita attiva nella comunità, assumendone i reali problemi, dalla politica la cultura autentica non può/mai prescindere. Guido Aristarco Contadini e muli nei pressi di Gela. Tra poco incroceranno le motociclette e le automobili degli operai che rincasano dagli stabilimenti petrolchimici. Ma i due mondi sono incomunicabili, e la piccola oasi di benessere rende più stridente il contrasto con la Sicilia immobile che si credeva cancellata per sempre

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