Giappone: decollo dei consumi dopo vent'anni di austerità

Giappone: decollo dei consumi dopo vent'anni di austerità Una conferenza a Torino sugli scambi italo-nipponici Giappone: decollo dei consumi dopo vent'anni di austerità Il reddito per abitante ha raggiunto il livello italiano - Aumentano le paghe e le spese dello Stato - E' il momento per promuovere le nostre esportazioni - Buone prospettive, dopo l'accordo firmato a Tokio in questi giorni Il momento per promuovere le nostre esportazioni in Giappone è favorevole. Le paghe, quindi il tenor di vita, stanno salendo. Lo Stato si prepara ad aumentare le sue spese, finora molto limitate, anche per la difesa, soprattutto se, terminando la guerra nel Vietnam, si ridurrà la presenza americana nel sudest asiatico. Per il Giappone è l'ora del « decollo » della domanda interna, dei consumi di massa. Da vent'anni il Giappone s'era imposto l'austerità, per ricostruire ex novo le industrie distrutte dalla guerra o che alla guerra avevano prima orientato la loro produzione. Ha stretto la cintola, lavorando molto e consumando poco; lo Stato ha tenuto la mano leggera sulla leva fiscale (ha potuto farlo, trascurando lavori pubblici, assistenza sociale, difesa); i sindacati, fino a ieri almeno, si sono accontentati di paghe basse e di ancor più modeste clausole normative (ferie, pensioni, malattie). Risultato: quest'anno il prodotto nazionale lordo giapponese aumenterà di un altro dieci per cento, raggiungendo 132 miliardi di dollari, il terzo nel mondo, dopo Stati Uniti e Urss, prima della Germania Occidentale. Nel prodotto pro-capite il Giappone si allinea all'Italia sul livello di circa 1200-1250 dollari (750-780 mila lire); nel reddito per abitante (un po' inferiore perché occorre dedurre gli ammortamenti) si porta, come il nostro paese, sulle 600-660 mila lire. I dati della tabella che pubblichiamo svelano altri « segreti » di questo sviluppo. Nell'insieme, un quadro, tuttavia, che non è più una sorpresa, anche se non ancora noto a tutti nei particolari. Quel che del Giappone si conosce poco e su cui giustamente l'ing. Enrico Minola, vice-presidente della Confindustria, ha centrato ieri la sua conferenza, all'Unione Industriale di Torino, è il commercio con l'estero. Intanto va eliminato il vecchio cliché di un Giappone che « mira unicamente ad aggredire con i suoi prodotti a basso prezzo i mercati esteri ». Oggi si deve guardare al Giappone anche come ad un grande mercato di cento milioni di consumatori, dove c'è bisogno di un'infinità di prodotti e dove i prezzi sono abbastanza elevati per permettere agli operatori stranieri di svolgere un'efficace concorrenza, una volta trovati opportuni canali di penetrazione. In questo campo l'Italia ha molto cammino da fare: su un totale d'importazioni del Giappone di 12 miliardi di dollari, nel '67 quelle provenienti dal nostro Paese sono un pugno di dollari, 50 milioni. Tra i Paesi industriali nell'interscambio con il Giappone siamo appena al nono posto: quello della Gran Bretagna è cinque volte il nostro (553 milioni di dollari contro 121), quello dell'Olanda è quasi il doppio: 227 milioni. E per questi Paesi non vale evidentemente l'eventuale obbiezione che « il Giappone è troppo lontano ». I veri motivi dei nostri scarsi rapporti commerciali con il Giappone li ha indicati l'ingegner Minola, reduce dall'aver guidato in novembre una missione economica che ha firmato a Tokio un accordo commerciale. I motivi sono: scarsa conoscenza reciproca (ma soprattutto da parte italiana); una ancor troppo vasta gamma di voci per le quali l'Italia mantiene verso il Giappone un regime restrittivo; il particolare sistema vigente in Giappone per le esportazioni che sono monopolizzate, salvo per le grandi imprese, dalle Trading Companies. Si tratta di società che acquistano le merci giapponesi dai produttori e s'incaricano di piazzarle all'estero, compensando eventuali perdite su alcuni mercati con i guadagni su altri, cosa che un singolo operatore non può fare. Una di queste difficoltà, le restrizioni doganali, è stata in parte rimossa con l'accordo d'agosto: le voci soggette a limiti sono scese da 104 a 58 da parte italiana, mentre il Giappone faciliterà le importazioni per una ventina di voci. Per la conoscenza del mercato giapponese, sarà necessario che le maggiori industrie e l'Istituto ita- liano per il commercio estero aprano uffici di penetrazione almeno a Tokio e a Osaka (dove si prepara la grande esposizione internazionale del '70 che dovrà vedere una nostra qualificata e vasta partecipazione). Quanto alle Trading Companies, occorrerà convincerle a lavorare non solo nel senso delle esportazioni giapponesi, ma anche in quello delle importazioni dall'Italia. Spetta ora al nostro Gover¬ no, ha concluso l'ing. Minola, ai nostri operatori economici, cogliere il momento buono per trasformare le possibilità in una solida realtà, nell'interesse di ambedue i Paesi. E l'invito ai qualificati rappresentanti dell'economia in ascolto, è stato caldamente ripetuto dal sen. Bosso, presidente dell'Unione Industriale di Torino, nel chiudere l'interessante incontro. Mario Salvatorelli II "segreto" dello sviluppo dell'economia giapponese DATI A CONFRONTO jGIAPPONE ITALIA Percentuale popolaz. attiva sul totale * ! 51% 38% Percentuale investimenti sul prodotto naz. 34% 20,8% Perc. consumi privati sul prodotto naz. i 52% 64% Perc. consumi pubblici sul prodotto naz. 9% 14% Perc. pressione fiscale sul prodotto naz. 13,3% 22% Perc. oneri sociali sul prodotto nazionale : ** 11,7% * Gli abitanti sono 100 milioni in Giappone, 52 in Italia. ** Non e conosciuta esattamente ma e molto modesta.

Persone citate: Bosso, Enrico Minola, Mario Salvatorelli, Minola