Americani e russi negli Stretti di Igor Man

Americani e russi negli Stretti LA TURCHIA INQUIETA HA LA PORTA DI DUE MARI Americani e russi negli Stretti I cacciatorpediniere Usa stanno rientrando dal Mar Nero nel Mediterraneo; la loro crociera si è svolta nelle polemiche ma senza incidenti I turchi seguono con preoccupazione i movimenti delle due flotte nelle acque del Bosforo, in un periodo delicato per la politica nazionale - Fedele alla Nato ed anticomunista, la Turchia riceve aiuti economici dall'Urss e cerca l'appoggio sovietico per Cipro -1 partiti di opposizione chiedono una revisione degli accordi sulla presenza militare americana nel paese, e una riduzione delle spese per tenere sotto le armi mezzo milione di uomini La presenza di una forte squadra sovietica nel Mediterraneo è oggi uno del problemi internazionali più importanti, per le ripercussioni strategiche e per le conseguenze politiche; lo sentono soprattutto 1 paesi rivieraschi, come l'Italia. La tensione nel Medio Oriente, le notizie di aiuti militari cinesi all'Albania, la crociera « dimostrativa » del cacciatorpediniere americani nel Mar Nero hanno dato particolare attualità alla politica navale russa ed al problema degli Stretti. « La Stampa » ha Incaricato Igor Man di condurre un'inchiesta sull'intervento sovietico nel Mediterraneo; essa incomincia con un articolo dal Bosforo, porta del Mar Nero, passaggio obbligato per le navi russe. (Dal nostro inviato speciale) Istanbul, 12 dicembre. Il Dyess e il Turner, i due cacciatorpediniere della VI Flotta, hanno passato il Bo¬ sforo stamane alle 8,30, diretti a velocità ridotta verso il Mar di Marmara. Il celebrato « mar color del zaffiro » era d'un grigio più grigio delle fiancate delle due navi, che si intravedevano a mala pena, sfumate com'erano dalla nebbia. A Istanbul fa freddo; le « acque temperate » che han fatto delirare i mostri sacri della letteratura dì viaggio, da Perthusier a LamarUne, sono gelide; ì pochi marinai americani in coperta, che solo attraverso potenti binocoli ì diplomatici e gli addetti navali riuscivano a scorgere, ben poco avranno visto deZZUmmelunià, la « madre del mondo ». Domattina il Dyess e il Turner dovrebbero rientrare nel Mediterraneo; la loro breve crociera in Mar Nero s'è conclusa senza incidenti. Le navi sovietiche si sono limi'^te a sorvegliare da lontano i due cacciatorpediniere, un caccia russo ha costantemente tallonato di poppa il Dyess e il Turner ad una distanza variante dalle due alle nove miglia. Mig hanno sorvolato «a qualche ripresa» le unità americane, ma da un'altezza di tremila metri, fin dal loro ingresso' lunedì, nel Mar Nero. Insomma, l'Urss ha reagito « con operazioni di routine », come notano gli osservatori diplomatici, a quella che la Pravda e le Izvestia avevano definito « una gravissima provocazione ». Ancora ieri la crociera del Dyess e del Turner bloccava le prime pagine della stampa locale, stamane nessuno ne parla; il fatto del giorno sembra esser la partita di calcio perduta ieri sera dalla nazionale turca contro l'Irlanda del Nord. Nei giorni scorsi, tuttavìa, l'inquietudine manifestata dai commentatori non era stata poca ed è prevedibile che i giornali torneranno presto sulla fugace apparizione americana nel Mar Nero, sia pure in termini meno drammatici, non foss'altro perché essa si presta a far da falso scopo a quello che appare come l'obiettivo primario: la revisione degli accordi che autorizzano la presenza delle unità statunitensi in Turchia. Due scrittori politici fra i più incisivi, Cetin Altan e Azìz Nesìn, rispettivamente su Aksam e Gunaydin, nel criticare la «sterile pericolosa contromisura americana», hanno addirittura rispolverato il caso delle navi tedesche Goeben e Breslau, che, passati gli Stretti, bombardarono porti russi precipitando la Turchia nella prima guerra mondiale. « Al giorni nostri gli eventi si succedono nel mondo con estrema rapidità. Il Medio Oriente è diventato davvero una polverièra. Il problema degli Stretti è di nuovo all'ordine del giorno c la nostra economia è sull'orlo della crisi. Presto o tardi, la Turchia pagherà tutti i "saccheggi" subiti da quarantacinque anni a questa parte», scrive Altan, e Azìz Nesin deplora quanti sostengono che la crociera americana fosse « necessaria », e conclude: « Comunque sia, il problema delle navi che attraversano i nostri Stretti, toccandoci da vicino, va discusso apertamente, tralasciando interessi che non siano quelli nazionali ». L'Aksam (circa duecentomila copie) è un giornale di sinistra e appoggia il giovane partito operaio, che si autodefinisce socialista. Il suo redattore capo, ilhami Soysal, per aver criticato il capo di Stato Maggiore dell'esercito e il servizio segreto, venne prelevato dalla sua abitazione e picchiato a sangue. Ne scaturì un processo tuttora in corso. Il partito operaio organizzò, nel giugno scorso, una manifestazione anti-americana in occasione dell'ultima visita dì sei navi della VI Flotta (tra cui una portaerei) ad Istanbul. Alla dimostrazione aderirono gli studenti del Politecnico, vi furono scontri fra gli americani che stavano per sbarcare e i dimostranti: alcuni marinai vennero gettati in mare. All'alba seguente la polizia irruppe nell'università; uno studente, socialista, rimase ucciso. Seppure non in proporzioni allarmanti, per citare un giudizio occidentale, l'antiamericanismo è piuttosto diffuso, e a tutti l livelli, in Turchia. La sinistra definisce interessati gli aiuti americani e vorrebbe che il governo spendesse «più per la nazione che per servire gli interessi stranieri ». In Turchia esistono ventimila villaggi senza servizi, isolati dal resto del Paese cinque mesi su dodici, mentre il bilancio militare assorbe oltre il 4 per cento del reddito nazionale. Anche da posizioni più moderate, da parte, ad esemi pio, del partito repubblicano popolare di Ismet Inonu, ora all'opposizione, si critica la «elefantiasi militare » della Turchia: un esercito di cinquecentomila uomini privo di armamenti e di attrezzature logistiche moderni (tra l'altro, i soldati non ricevono soldo) viene considerato un grave impedimento allo sviluppo del Paese. Sul giornale Millyet, Inonu ha fatto scrivere da un suo deputato: « E' necessario che la Turchia finisca d'essere una riserva di soldati per la Nato. A noi basta un esercito capace di difendere i confini della patria ». In realtà, questi vecchi temi è stata la crisi di Cipro del dicembre scorso a riproporli. La Turchia è rimasta delusa dall'atteggiamento dei suoi alleati, che nell'affare di Cipro non le hanno dato quel sostegno polìtico al quale riteneva di aver diritto; e la delusione può aver deciso la Turchia a cercare relazioni più amichevoli con l'Urss e con alcuni paesi dell'Europa Orientale. Certo, la Turchia persegue una politica fermamente anticomunista e l'uscita dalla Nato non si pone neanche in discussione (specie dopo Praga); tuttavia sette progetti industriali sovietici sono già in cantiere: fra di essi un centro siderurgico capace di produrre 1 milione 500 mila tonnellate di acciaio l'anno e la più grande raffineria di petrolio della Turchia da costruirsi proprio in prossimità di Smirne, a pochi chilometri, cioè, dalla grande base americana della Nato. I crediti che Mosca offre al governo di Ankara sono a lunghissimo termine e con un tasso di interesse incredibilmente modesto; soprattutto i sovietici appoggiano ì turchi nel voler l'indipendenza di Cipro (unita alla Grecia, l'isola diventerebbe automaticamente un nuovo punto di forza della Nato). Gli Stati Uniti non possono ovviamente troncare il dialogo turco-sovietico, né fidare, per interromperlo, nella propria superiorità di mezzi, che consentirebbe loro di fornire alla Turchia aiuti più consistenti. Comunque sia, né sovietici né americani sono in grado di offrire alla Turchia, come agli altri Paesi dell'area mediterranea, unilaterali prospettive dì sviluppo tali da scongiurare il riaccendersi di conflitti latenti, l'esaspe¬ rarsi delle tensioni in atto nel Mediterraneo. La presenza della Russia nel « Mare Nostrum » non potendosi oramai considerare più un fatto transitorio, ne viene che solo un comune accordo fra le due massime potenze può impedire l'estendersi delle crisi più insidiose: Israele, la Grecia e Cipro, Malta, il Nordafrico già francese, Gibilterra. Ma nessun accordo sembra più possibile all'inségna del bipolarismo, secondo questi osservatori. La guerra dei sei giorni avrebbe dimostrato infatti la debolezza dèlia Nato, con la tendenza degli Stati Uniti a intervenire direttamente. Di conseguenza, essi dicono, si impone un ripensamento generale nella politica di intervento nel settore mediterraneo, attraverso un collegamento ed una integrazione della politica degli Stati Uniti e dei Paesi europei, soprattutto in termini politici ed economico-commerciali. I parlamentari dell'Ueo, Unione Europea Occidentale, hanno di recente proposto un vasto e complesso programma di azione incentrato « su una organizzazione mediterranea dello sviluppo»; hanno suggerito dì istituire «un registro internazionale degli armamenti ». e di «ristudiare, alla luce della nuova situazione politica e dei progressi tecnologici, le Convenzioni di Costantinopoli e di Montreux, rivedendo quindi tutta l'attuale politica degli Stretti ». La stabilizzazione dell'area mediterranea — concludono questi osservatori — non si può sperare di attingerla per delega. L'Europa non può dunque stare a guardare, aspettando che il destino si compia. Igor Man

Persone citate: Cetin Altan, Igor Man, La Porta, Nesin, Soysal, Turner