Il Presidente legge in tribunale i nomi dei 1899 morti del Vajont di Guido Guidi

Il Presidente legge in tribunale i nomi dei 1899 morti del Vajont Mezz'ora di silenzio per ascoltare l'agghiacciante elenco Il Presidente legge in tribunale i nomi dei 1899 morti del Vajont Fra le vittime, 311 bambini, 839 donne - Cinque degli otto imputati erano in aula: si sono alzati in piedi Terminata la costituzione delle parti civili (sono 2022) - L'accordo fra l'Enel e i sopravvissuti per il risarcimento dei danni non è definitivo: si attendono le decisioni di Longarone, Castellavazzo, Erto-Casso (Dal nostro inviato speciale) L'Aquila, 9 dicembre. Dopo sette udienze, oggi il presidente del Tribunale ha annunciato che il dibattito deve considerarsi « aperto ». Ma in realtà il processo per la sciagura provocata dalla frana della diga del Vajont non è cominciato: e dalla notte — 9 ottobre 1963 — in cui i comuni di Longarone, Castellavazzo, Erto-Casso sono stati distrutti dall'inondazione, sono ormai trascorsi cinque anni e due mesi. Infatti, anche la settima udienza, come quelle precedenti, è stata impegnata, dall'inizio alla fine, in formalismi inutili, superflui: la lettura, volutamente solenne, ad esempio, delle imputazióni, non escluse quelle relative all'ing. Mario Pancini, che essendosi tolta la vita sedici giorni or sono per il Tribunale non è ancora morto, perché nessuno lo ha ufficialmente comunicato; la lettura, che nelle intenzioni almeno avrebbe dovuto essere solenne (e che nella realtà non lo è stata affatto) del lungo ed agghiacciante elenco delle vittime: 1899 morti (311 ragazzi inferiori ai dieci anni, 839 donne e 749 uomini), 95 feriti lievi, 49 feriti gravi e 2 feriti gravissimi. E per la prima e la seconda lettura di documenti ben noti a tutti, sono state necessarie circa tre ore. Poi, rinvio a domani. La macchina della giustizia, in sostanza, si muove con una lentezza esasperante. Domani soltanto avrà inizio la discussione dei primi problemi procedurali, ma soltanto a fine gennaio il Tribunale farà conoscere la propria decisione, tenendo conto che il dibattimento sarà interrotto per circa un mese, dalla metà di dicembre. Sempre più cupa su tutto continua a gravare l'ombra della prescrizione. Sarà sufficiente, infatti, che gli eventuali responsabili della sciagura ottengano la concessione delle attenuanti generiche perché, nell'aprile 1971, i reati di frana, inondazione e di omicidio colposo siano prescritti. Ed è impossibile ritenere che, fra due anni e quattro mesi, la vicenda giudiziaria sia conclusa attraverso i tre gradi di giudizio: Tribunale, Corte d'appello e Cassazione. Dopo due settimane di assenza oggi sono tornati in aula gli imputati: cinque su otto. I tre funzionari del ministero dei Lavori Pubblici che hanno controllato i lavori della diga sul Vajont: prof. Francesco Sensidoni, prof. Curzio Batini e prof. Pietro Frosini, sono rimasti a casa. Gli altri — ing. Nino Biadene, ing. Dino Tonini, ing. Roberto Marin, prof. Augusto Ghetti e ing. Almo Violin — si sono limitati a fare semplice atto di presenza. Sono rimasti in piedi, impassibili, per circa mezz'ora soltanto quando il cancelliere ha cominciato a leggere l'elenco di coloro che hanno perso la vita nella sciagura: voleva essere, il loro, un atto di omaggio. Ma dopo mezz'ora si sono seduti: nell'aula nessuno stava ascoltando il cancelliere, neanche i giudici, impegnati invece a conversare ad alta voce con i difensori, ad eccezione dì un avvocato di parte civile e del sindaco di Longarone, dott. Protti, che hanno perso tutti i familiari ih quella terribile notte. In ogni modo anche attraverso questi formalismi si è chiuso un capitolo: quello delle richieste di costituzione di parte civile. Sono — è stato annunciato dal cancelliere — 2022. E tra queste, all'ultimo momento, vi è anche quella del comune di Belluno dove, in seguito alle acque e al fango caduto dal Vajont, andò distrutto il quartiere di Borgo Piave. E' affiorato poi un problema delicato ed importante: l'accordo per il risarcimento del danno è tornato in alto mare. Sarà ancora discusso in privato fra il consorzio di coloro che hanno perduto tutto nella sciagura e l'Enel: ma il discorso diventerà sempre più difficile. I comuni di Longarone, Castellavazzo ed ErtoCasso non hanno fatto sapere ancora se intendono rinunciare alla costituzione di parte civile e quindi consentire all'Enel di liquidare il risarcimento ai privati. Le previsioni del sindaco di Longarone, dott. Protti, e dell'ex-sindaco Terzo Arduini, non sono ottimiste. L'Enel — ha annunciato oggi ufficialmente il prof. Gian Domenico Pisapia (che, con il prof. Umberto Gualtieri e l'avv. Pietro Lia, assiste l'Ente per la nazionalizzazione dell'energia elettrica) — ha messo a disposizione dei danneggiati un fondo di 10 miliardi, pur essendo convinto di non avere alcuna responsabilità penale per quanto accaduto. Ha chiesto però che i tre Comuni e le aziende industriali ritirino le loro pretese perché la liquidazione del risarcimento non superi la cifra globale di dieci miliardi di lire. Ma la risposta di Longarone. Castellavazzo ed ErtoCasso non è ancora arrivata e tarderà ad arrivare: i Consigli comunali, infatti, non si sono ancora riuniti e nella migliore delle ipotesi prenderanno in esame la proposta soltanto nella prossima settimana. Domani cominceranno le prime discussioni fra accusa e difesa in aula: l'argomento per ora è limitato soltanto alla costituzione delle parti civili. Gli imputati chiederanno al Tribunale che sia tolto allo Stato fo per lo meno ad alcuni ministeri) il diritto di assumere il ruolo dì accusatore. Oggi, il ministero dell'Interno ha sostenuto di avere subito un danno di cinque miliardi e 150.000 lire per l'assistenza fornita ai sinistrati, che si vanno ad aggiungere agli altri 14 miliardi circa chiesti da altri ministeri nei giorni scorsi. Ma la difesa — e per tutti interverrà il prof. Conso — ritiene che si tratti di una richiesta, almeno in parte, senza fondamento. Guido Guidi