I giudici del Vajont ordinano un'inchiesta sull'ingegnere suicida

I giudici del Vajont ordinano un'inchiesta sull'ingegnere suicida Ripreso all'Aquila il processo per la sciagura di 5 anni fa I giudici del Vajont ordinano un'inchiesta sull'ingegnere suicida il Tribunale attende una relazione dalla polizia giudiziaria di Venezia - Un avvocato di parte civile rileva che la morte dell'ing. Pancini è « strana e misteriosa »: « Egli aveva sempre sostenuto di essere innocente, aveva prenotato l'albergo all'Aquila e preparato le valige: che cosa lo spinse all'ultimo momento al gesto disperato? Forse temeva di compromettere qualcuno» - Nella breve udienza di ieri, sono proseguite le costituzioni di parte civile (Dal nostro inviato speciale) L'Aquila, 2 dicembre. Il Tribunale che deve stabilire se Longarone ed altri sei paesi sono stati distrutti da un cataclisma naturale impossibile a prevedersi o se, invece, la sciagura è da attribuirsi agli errori e alle imprudenze degli uomini, ha deciso di accertare perché uno dei costruttori della diga sul Vajont, l'ing. Mario Pancini, si è tolto la vita, improvvisamente ed inaspettatamente, alla vigilia del processo. Il problema è stato prospettato ai giudici questa mattina, alla ripresa del dibattimento, dall'accusa privata, che dalla morte dell'ing. Pancini ritiene di poter trarre qualche elemento per fornire la prova che gli otto imputati (ing. Nino Biadene. ing. Dino Tonini, prof. Roberto Marin, prof. Augusto Ghetti, ing. Francesco Sensidoni, prof. Pietro Frosini, prof. Curzio Batinì ed ing. Almo Violin) non sono affatto estranei, come sostengono, alla sciagura avvenuta la notte del 9 ottobre 1963. Il Tribunale ha lasciato chiaramente intendere che è suo proposito indagare, ed in modo completo, sul suicidio. Non per il momento, però: infatti, per i giudici l'ing. Mario Pancini è soltanto un imputato « assente ». Pi-ima arrivi — ha spiegato il presidente del Tribunale — il certificato di morte, poi la indagine verrà compiuta. Mario Pancini si è ucciso la mattina del 24 novembre, avvelenandosi con il gas nella cucina del suo appartamento a Venezia. I suoi avvocati lo stavano aspettando alla stazione per partire alla volta dell'Aquila. Lo avevano lasciato la sera precedente e nulla in lui faceva pensare alla tragedia. Alla stazione lo attesero inutilmente. Dopo avere preparato la valigia, l'ing. Mario Pancini si chiuse nella cucina, tappò con strisce dì carta ogni fessura della finestra e della porta, aprì il rubinetto del gas, si sedette davanti ad un tavolo e attese la morte. « Questo suicidio — ha osservato stamane l'avv. Giuseppe Maienza costituitosi parte civile per conto di taluni danneggiati — si presenta in termini molto strani, o che comunque sarà opportuno chiarire. Mario Pancini non si è ucciso in un momento di sconforto che lo ha travolto improvvisamente. Mario Pancini, per quanto imputato, per quanto oppresso dalla morte di 2 mila persone nella sciagura del Vajont, aveva sempre sostenuto che la sua coscienza era tranquilla. Il processo rappresentava per lui l'unico sistema per dimostrare a tutti di esser innocente. Anzi, aspettava il dibattimento come una liberazione, ed aveva predisposto tutto per difendersi davanti a voi, giudici del Tribunale. Era persino venuto all'Aquila una settimana prima di morire, aveva prenotato l'albergo, aveva preparato un lunghissimo memoriale, aveva preso appuntamento con i suoi legali per fare il viaggio da Venezia all'Aquila. Sennonché improvvisamente la mattina del 24 novembre si è ucciso. Quale è stato il motivo che lo ha indotto a compiere un gesto tanto disperato? ». Non è senza un motivo che l'accusa privata ha chiesto al Tribunale di dare una risposta a questo interrogativo. L'avv. Maienza ritiene che l'ing. Pancini possa avere spiegato in una lettera le ragioni del suicidio e che, comunque, queste ragioni possano in qualche modo avere delle ripercussioni sulla posizione degli altri imputati: potrebbe essersi ucciso perché oppresso dal rimorso di avere provocato indirettamente, collaborando alla costruzione della diga, la morte di 2 mila persone; potrebbe essersi tolto la vita per non rivelare dei dettagli che avrebbero compromesso chi ha sempre respinto, invece, ogni responsabilità. I difensori non hanno fatto alcuna opposizione. Il Pubblico Ministero, dott. Armando Troisi, pur mostrandosi scettico su eventuali risultati positivi (k se la magistratura veneziana avesse accertato qualche elemento utile per noi, lo avrebbe subito comunicato »), ha detto di non essere contrario alla indagine. II Tribunale ha stabilito di acquisire la documentazione ufficiale sulla morte dell'ing. Pancini ma di chiederla ufficialmente soltanto in un se¬ ctlplldasècrhen condo momento: quando sarà arrivato all'Aquila il certificato dal quale risulta che l'ing. Pancini è morto. In ogni modo si ha l'impressione che il suicidio dell'ex capo dell'Ufficio studi della Sade che ha costruito la diga del Vajont sia destinato a rimanere avvolto nel mistero. A tarda sera, all'Aquila, è rimbalzata la eco delle dichiarazioni rilasciate oggi a Venezia dal sostituto Procuratore della Repubblica, che ha indagato sul drammatico episodio: « Si è trattato di un normale suicidio — ha detto e non è stata trovata al¬ cuna lettera giustificativa. Che abbia preparato la valigia per andare all'Aquila, significa soltanto che l'ing. Pancini ha deciso di uccidersi all'ultimo momento: forse si è trattato di un raptus, anche se nessuno lo possa affermare con certezza ». Una udienza rapida anche quella di oggi. Dopo la decisione del Tribunale di chiedere a Venezia perché l'ing. Pancini si è ucciso, il cancelliere ha ripreso, come aveva fatto nelle tre udienze della scorsa settimana, a registrare le richieste di coloro che intendono costituirsi parte ci¬ vile contro i tre responsabili civili (l'Enel e la Montedison come proprietario e costruttrice della diga sul Vajont e il ministero del Lavori Pubblici che controllò i lavori) e contro gli otto imputati. Il mimerò è aumentato anche se in modo inferiore al previsto (non è da escludere la possibilità di un accordo per liquidare subito i danni) e fra gli altri oggi si è costituita l'Azienda autonoma dei telefoni di Stato, la quale chiede il risarcimento per la distruzione di tutti gli impianti nella zona di Longa- rom- Guido Guidi L'intervento dell'avv. Maienza ieri al processo per il disastro del Vajont (Tel. Ansa)