Un amore triestino del giovane Joyce di Lorenzo Mondo

Un amore triestino del giovane Joyce Il racconto inedito «Giacomo Joyce» Un amore triestino del giovane Joyce Esistono fortunate scoperte, papiri da sabbie nilotiche o manoscritti da aste venali, che sembrano obbedire al capriccio e insieme all'indulgenza di un dio, così sorprendente è la capacità di durata delle fragili parole che vi sono impresse. Si è appena parlato del ritrovamento delle lettere giovanili di Baudelaire, ed ora è la volta del Giacomo Joyce dell'autore di Ulisse. Nel testo italiano, tradotto da Francesco Binni, e riprodotto in facsimile, sono soltanto 17 pagine a stampa, ritmate da spazi bianchi, ma rivestono un grande significato per se stesse e per l'intero corpus joyciano. Richard Ellmanu, uno dei più agguerriti studiosi di Joyce, ricostruisce nell'introduzione la storia esterna ed interna del manoscritto che è, ad un tempo, racconto lirico, poemetto in prosa, taccuino di confessioni. Esso risale agli anni triestini dello scrittore e fu concluso probabilmente nell'estate 1914. Conservato dal fratello Stanislaus, finì successivamente nelle mani di un collezionista che ora ha deciso di renderlo noto. E' il documento di una passione scontrosa e umiliata dello scrittore trentacinquenne per una sua giovane allieva, certa Amalia Popper, scomparsa nel 1967. Il loro incontro risale al 19071908 e si prolunga idealmente fino al 1935, quando la Popper tradusse alcuni racconti dublinesi del suo lontano insegnante di inglese. Fin dall'inizio la donna impone la sua lineare e sofisticata figurina liberty: « Chi? Un volto pallido circondato da una pelliccia densa di profumo. Un modo di muoversi timido e nervoso. Si serve dell'occhialetto »; ma riempirà di sé; .tutto il breve concentratissimo decorso del poemetto, come una fitta maglia intessuta dai sensi meravigliati e protesi di Joyce. Un battito di palpebre come ali di farfalla rimanda ai tacchetti risonanti su gradini di pietra; i fiocchi delle scarpine, simili agli speroni piumati di un volatile, evocano i suoi eccitati gridolini di gallinella; il casto profumo si confonde con « l'ombra d'argento opaco » del suo corpo segreto. ' Joyce, predestinato alla sconfitta, manda all'assalto trepidi madrigali, sepolti in conversazioni erudite o nelle pagine di Dedalus che affida al giudizio saputo della ragazza. L'audacia, come accade ai timidi, è prerogativa della solitudine. E' allora che egli immagina di affiorare come amoroso fantasma nello specchio dell'allieva mentre si abbiglia per andare a teatro; che si protende dal loggione verso il mondo inattingibile della platea dove lei siede regale; che dà sfogo per le strade notturne di Trieste al suo dolore: «Piano ora Jamesy! Non hai mai camminato di notte per le vie di Dublino singhiozzando un altro nome? ». Nello scritto compaiono una risaia vercellese, i portici medievali di Padova brulicanti di meretrici, la penombra d'una chiesa parigina. Ma lo sfondo e l'aria che vi circola, sono quelli di Trieste. Il titolo di Saba Trieste e una donna renderebbe a meraviglia il tono di queste pagine, dove così , viva è la compenetrazione tra la figura dell'amata e le immagini della città. Il senza patria Joyce registra con stupore e simpatia i riscrtimcnti antiasburgici dei triestini; ma più indugia sui vicoli gremiti di mercatini, sulla tristezza del cimitero ebraico dove si sfanno gli avi dell'amata, sulle erte terrazze della città: « Aria pura sulla strada dell'altopiano. Trieste si sta a malapena svegliando: sulla folla di tetti bruni testudiformi la prima fredda luce del sole; una moltitudine di prostrati scarafaggi attende una liberazione nazionale n. Ma lo seduce anche la cultura di Trieste, la sua anima appartata e inquieta, se è vera l'ipotesi ' suggestiva dell'Ellmann che qui abbia coniato per Joyce « l'idillio dell'età di mez¬ zo » narrato da Svevo nelle pagine di Senilità. Giacomo Joyce ha avuto il privilegio di nascere, protervo e incoerajbile come un amore di adolescente, tra la prima stesura di Dedalus ed i primi progetti sull'Ulisse, ed all'uno e all'altro libro fornirà evidenti imprestiti. E' una delle ragioni della sua importanza. Ma più importa rilevare che mai come qui Joyce, il grande eversore di miti e linguaggi, appare tanto scoperto e indifeso nella sua umanità. Tra l'impetuoso e prometeico ro¬ manticismo di Stephen Dedalus e la grigia fallimentare odissea di Lcopold Bloom, ricorderemo d'ora in avanti anche la chiusa lapidaria del «Giacomo Joyce»: Congedo: Amami, ama il mio ombrello. L'apparente levità del sorriso non è forse immune dall'autocompatimento e dal misantropico furore. Non esistono più inciampi sulla via dissacratoria dell'Ulisse. Lorenzo Mondo JAMES JOYCE: Giacomo Joyce, ediz. Mondadori, pag. 86, lire 2000.

Luoghi citati: Dublino, Padova, Trieste