Finalmente in scena «Orgia» di Pasolini atto di protesta contro la «normalità»

Finalmente in scena «Orgia» di Pasolini atto di protesta contro la «normalità» Il debutto teatrale dello scrittore allo Stabile di Torino Finalmente in scena «Orgia» di Pasolini atto di protesta contro la «normalità» H dramma viene recitato in un «deposito d'arte» d'avanguardia - Un marito e una moglie, legati da un torbido rapporto, ragionano della loro anormalità; la conclusione è tragica - Protagonista Laura Betti, regista lo stesso autore Pier Paolo Pasolini, uno dei nostri intellettuali più inquieti, più vivi e più d'ingegno, si è volto al teatro. Poeta, narratore, saggista, autore cinematograflco, e in ogni campo ha lasciato un'impronta, da tre anni scrive anche drammi. I suoi rapporti con il teatro sono di odio e amore: odio per una tradizione che egli vorrebbe scavalcare rifacendosi direttamente al « teatro della democrazia ateniese » (in parole povere, i tragici greci); amore per un « teatro di parola », che egli contrappone a quelli « della chiacchiera» (da Shakespeare a Cecov, o meglio, i loro ripetitori) e « del gesto e dell'urlo » (l'avanguardia, oggi). Primo e contraddittorio frutto di queste teorie, imprecise e confuse ma riscattate da un sincero anelito di verità e di novità, è Orgia che lo Stabile torinese presenta da ieri ai suoi abbonati. Cerchiamo di darne un'idea, avvertendo che la materia del dramma è scabrosa e sovraccarica di temi che un flusso ininterrotto di parole (soprattutto nei lunghissimi monologhi: «il più teatrale — sostiene Pasolini — degli eventi teatrali ») complica, mescola, confonde e, proprio per l'ansia di chiarezza, finisce col rendere oscuri. Tre personaggi soltanto, mai più di due in scena, chiusi in una stanza tra un letto e una sedia. Oltre le nude pareti di questa tana, o bozzolo, pare di udire il brusio di un'umanità ottusa e conformista e le voci di una natura — la luna, una campagna e un fiume lontani — indifferente e matrigna, contro le quali due « diversi » si ribellano. Sono un marito e una moglie, incatenati da un rapporto sadomasochistico le cui radici sembrerebbero affondare (ma il testo è un groppo inestricabile di ricordi, sogni, ossessioni) in un'in, fanzla nemmeno molto infe; lice e nell'incapacità di adat-. I tarsi a una vita ndrinàlértepV pure i due devono aver tentato di vivere in pace col mondo se hanno avuto due figli e se ora, mentre lui s'accinge a legare con una corda la moglie per sfogare su di lei e con lei i loro istinti di autodistruzione, pacatamente e minuziosamente ragionano della loro anormalità. In questi due primi « episodi » di Orgia la violenza fisica si mostra appena, se ne coglie se mai l'eco nel terzo episodio in cui, placata la tempesta dei sensi (e in che modo!), i due coniugi si riaffacciano alla vita, rivanno al passato, si piegano sulle carni piagate e sugli oggetti — sulla realtà, insomma — con incerti sentimenti di pentimento e di rimorso. E il rimorso, si direbbe, prorompe pochi mesi dopo, ammettendo che sia davvero esso la causa del suicidio della donna (orribile: prima essa uccide i due bimbi). In realtà, se abbiamo capito, la spinta viene meno da un senso di colpa che dalla volontà di dare scandalo a un mondo immobile, sempre uguale a se stesso, « perché si muova e non dia più rimorsi ». Il desiderio di scandalo è anche il pensiero dominante del marito che ritroviamo in lutto, altro tempo è trascorso, con una ragazza di poco prezzo su cui rovescia il suo rinascente sadismo. Ma una provvidenziale crisi lo fa stramazzare (ah, il classico « coup de théàtre » che Pasolini disprezza e di cui tuttavia non può fare a meno!) e consente alla malcapitata di svignarsela quando, già nuda e con le, mani legate, si piegava sotto le prime percosse. Rinvenuto, l'uomo indossa gli straccetti della sua vittima, segni di una vecchia realtà e di un'obbedienza al mondo che diventeranno così i segni di una nuova realtà e di una ribellione, e s'impicca in un estremo gesto di protesta e di « testimonianza »: finalmente un uomo « ha fatto buon uso della morte ». Fermiamoci un momento su questa « protesta ». Vorrebbe essere puramente esistenziale: infatti il testo, avverte l'autore, è del '65, prima del movimento studentesco e della rivolta negroamericana, per citare due vistosi esempi di violenza protestataria. E tuttavia ora Pasolini vi si aggrappa per sovrapporre una giustificazione politico-sociale alla protesta del suoi « diversi ». Ma non è almeno arrischiato porre sullo stesso piano chi è « di verso » per un'anormalità sessuale e chi lo è per altri motivi come gli ebrei e 1 ne- gri, ai quali espressamente si fa cenno nel testo? Ma è inutile, del resto, che Pasolini cerchi di spacciare il sesso di cui tanto si parla in Orgia come un « veicolo » di altri problemi. In realtà, il sesso è « il problema » e, sia pure inconsciamente, il vNolrmslc vero contenuto del dramma Ne sono spia non soltanto, ovviamente, le scene di violenza sadomasochistica che ricordano il primo Adamov, ma l'ossessivo feticismo, la smania del travestimento e l'incomprimibile misoginia che caratterizzano tante pa¬ gine di Genet. Non si tratta di modelli, sia chiaro, Pasolini non ne ha bisogno. Si citano per mostrare sino a che punto le questioni sessuali dominino in Orgia e, ripetiamo, senza che l'autore se lo sia proposto, persino contro la sua volontà. Pasolini ha scritto il suo dramma in versi. Taluni assai belli, altri intinti di un estetismo che non si dovrebbe definire dannunziano per non cadere, con l'autore, nei luoghi comuni. Ma, in ogni caso, sono versi che vorrebbero essere letti, non recitati, densi come sono di concetti astrusi e in un linguaggio tutt'altro che semplice nella sua illusoria trasparenza. Nel teatro pasoliniano la parola è, programmaticamente, tutto. I gesti sono ridotti al minimo, l'azione si svolge fuori della scena. Quel poco che ne è rimasta, Pasolini regista l'ha letteralmente inscatolata nei pochi metri cubi di un minuscolo palcoscenico (la struttura è dello scultore Ceroli) collocato su una pedana. Lo spettacolo infatti, per volontà esplicita dell'autore, è allestito in luoghi estranei ad ogni tradizione teatrale per ridurre al minimo il diaframma tra esso e il nuovo pubblico al quale è destinato (Pasolini vorrebbe rivolgersi « agli intellettuali borghesi avanzati »). Attualmente Orgia si può vedere in un « deposito » d'arte d'avanguardia di via San Fermo. Ma non appena in questo stanzone si sono messe delle panche, sia pure scomode, si sono accesi i riflettori, si è affidata a una tromba (Tolmino Marianini che esegue musiche di Ennio Moricone) il compito di scandire i passaggi da un episodio all'altro, ecco daccapo il teatro e la sua dannatissima magìa. Tanto più che il pub- blico, almeno per ora, è lo stesso che si può trovare, quando ci va, sulle poltrone del Carignano e del Gobetti. E poi, scusate, ci sono gli attori: Laura Betti, Luigi Mezzanotte, Nelide Giammarco. Anche se Pasolini li usa come semplici « portatori » del testo, essi recitano. Antinaturalisticamente, ma recitano, e come meglio non si potrebbe, specialmente Laura Betti cui è toccato il personaggio più rischioso, e più debole, della moglie. I pochi applausi che hanno concluso la « prima » (e le « anteprime » di lunedì e martedì) sono un omaggio alla loro fatica. Ma la freddezza delle accoglienze è compensata dal calore del dibattito che subito dopo si apre e che Pasolini si propone di dirigere ogni sera. E qui non sbaglia: il dibattito potrebbe essere più interessante, più utile, e più teatrale, dello spettacolo stesso. Alberto Blandi Laura Betti, la protagonista del dramma di Pasolini

Luoghi citati: Tolmino, Torino