L 'Ingegnere del Vajont si è ucciso per evitare rivelazioni compromettenti ? di Guido Guidi

L 'Ingegnere del Vajont si è ucciso per evitare rivelazioni compromettenti ? lì suicidio di Venezia pesa sul processo dell'Aquila L 'Ingegnere del Vajont si è ucciso per evitare rivelazioni compromettenti ? Negli ambienti giudiziari si dice che .-l'ing. Pancini avesse buone probabilità di dimostrare la propria innocenza, perché era stato soltanto un esecutore del progetto della diga - Forse temeva di dover accusare altre persone? - Avvocati di parte civile chiederanno che siano acquisiti al processo i risultati dell'inchiesta compiuta a Venezia sull'oscuro suicidio - Finora si sono costituiti parte civile mille superstiti (Dal nostro inviato speciale) L'Aquila, 27 novembre. Sono saliti ad un migliaio, oggi, i danneggiati che intendono costituirsi parte civile nei confronti di coloro ai quali l'accusa attribuisce la responsabilità per la sciagura che ha travolto Longarone ed altri sei paesi nella notte del 9 ottobre 1963. Ma il numero è destinato ad aumentare. Dopo l'udienza di questa mattina — la terza dall'inizio del processo per la frana nel bacino del Vajont — le operazioni in Tribunale per formare l'elenco di coloro che intendono assumere il ruolo di accusatore privato contro gli otto imputati e contro i tre responsabili civili (Ministero dei Lavori Pubblici, Montedison, Enel) riprenderanno, lunedì della prossima settimana per concludersi mercoledì. Tutto lascia prevedere che per quel giorno le partì civili saranno all'incirca quattromila. Le trattative per arrivare ad un risarcimento del danno fra l'Enel e gli sventurati che hanno perduto tutto nella frana del Monte Toc sembrano destinate ad incontrare notevoli difficoltà. Non sarebbe, cioè, senza fondamento lo scetticismo mostrato ieri dal sindaco di Longarone, dott. Protti. Questo induce sempre più i danneggiati a non perdere il diritto a costituirsi parte civile. I danni non ancora risarciti dallo Stato attraverso contributi e sussidi ammontano a circa 13 miliardi di lire. L'Enel ha messo a disposizione un fondo di 10 miliardi, ma la Corte dei Conti, che controlla l'amministrazione dell'ente, ha condizionato l'accordo alla clausola per cui almeno il 90 per cento dell'ammontare complessivo debba essere liquidato. Da una indagine preliminare sembra che coloro i quali siano favorevoli ad una transazione costituiscano soltanto il 65 per cento. Il presidente del Tribunale, dott. Dal Forno, non ha perduto la speranza di giungere a una transazione. Per questo ha stabilito un ritmo lento all'inizio del processo. In realtà il termine ultimo per trattare è la mattina del 9 dicembre, quando cioè ufficialmente si dovrà stabilire chi sono ì protagonisti del dibattimento per poi passare alla discussione delle prime questioni procedurali. L'eventuale accordo avrà un riflesso relativo sulla posizione giuridica degli imputati: la presenza di uno soltanto phe si voglia costituire parte civile non consentirebbe agli imputati, che venissero ritenuti responsabili, di avere l'attenuante per avere risarcito il danno. I calcoli sono semplici. Sino a quando esiste un procedimento penale, non sarà possibile sullo stesso argomento iniziarne uno civile. Quello penale, salvo contrattempi, potrà essere concluso con la sentenza della Cassazione intorno al 1972. Poi si affronteranno le vertenze civili che hanno come argomenti i danni: le vittime di Longarone per averli dallo Stato, dal l'Enel e dalla Montedison, lo Stato per averli dall'Enel e dalla Montedison; l'Enel per ottenerli dalla Montedison alla quale imputa di avere venduto un impianto, quello del Vajont, con vizi tali da essere inutilizzabile come lo è dal giorno in cui è avvenuta la sciagura. In Tribunale oggi si è parlato a lungo della lettera indirizzata all'ing. Mario Pancini da Milano e giunta quarantotto ore dopo la morte dell'ex dirigente della Sade e alla quale si era annessa da taluno una misteriosa importanza che in realtà non aveva. Lo ha chiarito ai giudici, nella loro rapidissima apparizione nell'aula, uno dei difensori, l'avv. Gustavo Marinucci che assiste il prof. Biadene, il quale aveva ricevuto una lettera dallo stesso mittente, il prof, Locatelli di Milano? «Ho telefonato al prof. Locatelli — ha spiegato l'avv. Marinucci — il quale mi ha detto che ha scritto sia al prof. Biadene sia all'ing. Pancini, non sapendo nulla della sua morte, per dimostrare loro la sua affettuosa solidarietà in un momento cosi difficile come questo ». La spiegazione ha dato origine ad una vivace discussione fra accusatori e difensori, in aula e nell'ufficio del presidente il quale ha chiarito un altro quesito: non ha ricevuto alcun testamento dell'ing. Pancini. In udienza si tornerà a parlare probabilmente del gesto drammatico compiuto dall'ex dirigente della Sade. Alcuni avvocati di parte civile stanno esaminando se chiedere che siano acquisiti al processo i risultati dell'inchiesta compiuta a Venezia in seguito al suicidio dell'ing. Pancini. L'ex capo dell'ufficio studi della Sade aveva notevoli probabilità di riuscire a dimostrare la propria innocenza, sostengono taluni: perché, dunque, si è tolta la vita alla vigilia del dibattimento? Da qualche parte si affaccia una tesi: l'ing. Parwini potrebbe essersi ucciso per non essere costretto, se fosse stato obbligato a dire la verità, a coinvolgere le responsabilità di terzi. E' sol tanto una tesi, però. Per altri invece l'ing. Pancini si è tol- do la vita perché non poteva sopportare il peso del processo, che lo angosciava: sei giorni prima di uccidersi era venuto all'Aquila ed aveva scongiurato il cancelliere di non spedirgli nella sua abitazione di Venezia le notiflche degli atti giudiziari per evitare che- sua madre ne rimanesse turbata. - ,. Guido Guidi L'aula ieri durante l'udienza al processo per il disastro del Vajont (Tel. Ansa)