Belgrado non ha dubbi: «I russi vogliono arrivare al Mediterraneo»

Belgrado non ha dubbi: «I russi vogliono arrivare al Mediterraneo» Belgrado non ha dubbi: «I russi vogliono arrivare al Mediterraneo» Drago Kunz, alto esponente «lei partito, dice: «E' finito il disgelo, Mosca è tornata allo stalinismo. Persegue gli stessi piani marittimi di Pietro il Grande» - Ma oggi i Dardanelli sono bloccati dalla Nato e la via per giungere ai mari caldi passa per il territorio jugoslavo - Gli interessi del Cremlino, ignorano il socialismo - La Repubblica di Tito richiama l'attenzione sulla propria vulnerabilità (Dal nostro Inviato speciale) Belgrado, 4 novembre. Ovunque lo si raccolga, nel polveroso ministero degli Esteri o nel grattacielo di vetrocemento dove ha sede il Comitato Centrale deipartito, il punto di vista jugoslavo sulla situazione nell'Europa dell'Est è sempre improntato Mi più assoluto pessimismo. Eccolo quasi testualmente, come lo abbiamo ricavato da un colloquio con un dirigente del partito. Drago Kunz, responsabile dei rapporti tra la Lega dei comunisti jugoslavi e gli altri partiti comunisti. «Dal 21 agosto in poi», dice Kunz, ano! non guardiamo più all'Urss come a un paese socialista, ma come a una grande potenza con mire espansionistiche. Sicché la domanda che ci poniamo oggi è questa: gli interessi di grande potenza dellUrss si sono realizzati con l'intervento in Cecoslovacchia, o esso è soltanto una prima fase d'un piano strategico più vasto? In realtà, se invece di dire Urss ci proviamo per un momento a dire Russia (e l'invasione della Cecoslovacchia ci autorizza a farlo), il piano strategico appare chiaro. E' lo stesso che aveva in mente Pietro il Grande, vale a dire l'accesso ai mari caldi. Solo che il Bosforo e i Dardanelli . sono - oggi, per l'esistenza della Nato, un cammino impraticabile. Il piano ha cosi una sola possibilità di riuscita: lo sbocco in Mediterraneo attraverso queste no man's lands che sono, in un'Europa divisa in blocchi, la Jugoslavia e l'Albania». Arriva il caffè alla turca, beviamo, poi Kunz continua: « L'intervento in Cecoslovacchia ha soddisfatto dunque Ie^ppirazioni russe? Noi dirigenti del-partito., e del governo jugoslavi, crediamo purtroppo di no. Non può essere assolutamente un caso che i sovietici e i loro alleati, parlando di "sovranità limitata" e di "diritto d'intervento " nella comunità socialista, evitino di definire in concreto questa " comunità ". La loro ambiguità è preoccupante. Nei nostri contatti a quattr'occhi di queste settimane, essi erano addirittura concilianti, e la frase che ci hanno - rivolta più di frequente era: "Ma no, ma no: sappiamo benissimo che il socialismo da voi non è in pericolo". Puntualmente, però, dopo ognuno di questi incontri, sono venuti gli articoli minacciosi, gli attacchi per interposta persona, il saggio di Kommunist in cui l'esperienza jugoslava viene respinta nella sua totalità, la riunione del Patto dì Varsavia di mercoledì 30. Questi metodi sono gli stessi che hanno preceduto l'invasione della Cecoslovacchia ». L'amara drasticità di questa analisi, richiede un commento, e più avanti lo faremo. Per ora limitiamoci a sentire « dirigente jugoslavo. Cosa pensa, per esempio della situazione negli altri paesi socialisti? « La nostra opinione è che per un lungo periodo di tempo (forse cinque, forse dieci anni) ci sarà un'interruzione di quel processo che s'è chiamato desatellizzazione, vale a dire quel tentativi di svincolamento economico e politico internazionale che alcuni paesi del Patto di Varsavia — Romania, Cecoslovacchia, Ungheria — avevano intrapreso. Si assisterà invece.all'inizio di un periodo che non si può definire altrimenti che neo-stalinista, in cui le forze conservatrici .annidate nei vari apparati statali e di partito, appoggiate dai militari, prevarranno sicuramente. Tutto il processo politico iniziato col ventesimo Congresso verrà fermato, gli organi sovranazionali — Patto di Varsavia e Comecom — acquisteranno sempre più peso, e si cercherà di rispolverare la tesi della "linea unica" ». Questa specie di controriforma che gli jugoslavi vedono già in moto nei paesi dell'Est, potrà giungere a far cadere alcuni degli attuali gruppi dirigenti? « Per il momento » risponde Kunz « non riteniamo in pericolo né Ceausescu né Kadar. La cauto, e noi non lo critichiamo, anzi lo comprendiamo: i russi potrebbero entrare in Romania domani senza provocare altro che qualche "indignata prote¬ sta" nel mondo. Ma è diffìcile pensare che i sovietici possano togliere di mezzo l'attuale direzione. Quel che è certo, è che la situazione stessa favorisce la ricomparsa degli elementi pro-sovietici e l'indebolimento delle tendenze "nazionali". Ciò potrebbe consentire, il giorno che un carro armato sovietico dovesse piazzarsi dinanzi al Comitato Centrale romeno, quel che non è stato possibile in Cecoslovacchia, cioè l'insediamento di un grippo fedele a Mosca. In conclusione, crediamo che le esperienze "nazionali", che si stavano sviluppando in Romania e Ungheria, verranno ora bloccate ». Un pessimismo così radicale, un'interpretazione degli avvenimenti che appare persino estremista, potrebbero essere incomprensibili senza qualche spiegazione. Come mai, ci si può chiedere infatti, gli jugoslavi non assumono una posizione più prudente, non tentano di evitare queste che i sovietici potrebbero giudicare delle provocazioni verbali? Le ragioni sono due. Di una, l'utilizzazione della minaccia sovietica per spingere in secondo piano alcuni spinosi problemi dì politica interna, abbiamo già parlato nei giorni scorsi. L'altra è che gli jugoslavi stanno provando una penosa sensazione dì isolamento. Il campo del non allineati è infatti praticamente disgregato, l'Egitto, l'India e il Pakistan avendo già mostrato di non voler porsi in contrasto con l'Unione Sovietica. Gli appoggi e le simpatie di cui gli jugoslavi godevano sino a ieri nel campo socialista, quando si stava per giungere ad una petite entente Belgrado-PragaBucarest, sono superati dagli avvenimenti. Resterebbe l'America, una vera e propria garanzia americana. Ma la politica degli Stati Uniti, sotto la spìnta di una opinione pubblica che non soffre eccessivamente il «complesso cecoslovacco»,- appare piuttosto indirizzata verso un ristabilimento del dialogo con l'Urss, soprattutto su due punti fondamentali: il trattato di non proliferazione e l'accordo sulla limitazione delle reti missilistiche e antimissilìstiche. A Belgrado non resta dunque che richiamare l'attenzione sulla propria vulnerabilità, cosa che i suoi dirigenti stanno facendo. Ed è comprensibile che in una condizione così difficile lo facciano in modo ansioso e disordinato. Le dichiarazio¬ ni del generale Ivo Rukavina (responsabile dei problemi della difesa nel Comitato Centrale), i due discorsi di Tito, i contatti di lobbies dei suoi delegati all'Onu sul pericolo d'una invasione via mare dell'Albania, in una parola l'allarmismo con cui gli jugoslavi guardano alla situazione, sono un tentativo di rompere l'isolamento, di porre il loro problema in termini di problema comune. Perciò Rukavina parla di cosa significherebbe per la sicurezza europea l'installazione di missili sovietici sulla costa dalmata, Tito insiste nel progetto di conferenza dei non allineati, gli officials a Belgrado espongono ai giornalisti la situazione che si verrebbe a creare per la Nato' in Mediterraneo, con un'occupazione sovietica dell'Albania. Inoltre, gli jugoslavi sono sicuri che una posizione più moderata nei confronti dell'Unione Sovietica, un linguaggio più cauto, non servirebbero ormai a niente. Ormai, dicono, la rottura è totale, almeno sino a quando a Mosca siederà l'attuale gruppo dirìgente. A che prò giocare d'astuzia, navigare tra i compromessi, come fecero i dirigenti cecoslovacchi tra luglio e agosto? Sandro Viola ne\utx*ale mFwEffossi-aria di ix» osate al colosso sovietico posizione della Romania, inserita com'è nella sfera sovietica, è certo molto difficile. Da agosto in poi l'atteggiamento di Ceausescu si è fatto assai più