Sul Monte Grappa cinquant' anni dopo

Sul Monte Grappa cinquant' anni dopo Pellegrinaggio ai luoghi della guerra Sul Monte Grappa cinquant' anni dopo Poche cose sono mutate in mezzo secolo sulla massiccia montagna che fece da pilastro alla resistenza italiana dopo Caporetto - La missione di una coraggiosa pattuglia la notte del 31 ottobre 1918 - Nelle trincee nemiche erano rimasti quattro uomini, malati: gli altri erano fuggiti a precipizio, travolti nel disastro dell'esercito austroungarico - L'Ossario con tredicimila salme di nostri Caduti riceve in questi giorni il commosso omaggio di molti reduci DAL NOSTRO INVIATO Monte Grappa, lunedi matt. Torno sul Monte Grappa a cinquantanni dalla fine della prima guerra mondiale. Poche cose sono mutate in mezzo secolo sulla massiccia montagna che fece da pilastro alla nostra resistenza dopo il rovescio di Caporetto. Se ricordo che forse fui io a dare per primo la notizia del crollo dell'impero austro-ungarico, la notte del 31 ottobre 1918, la faccenda mi fa un curioso effetto. Ad un certo punto della strada Cadorna, che sale con arditi tornanti da Bassano, prendo a sinistra verso Col Moschin, il Fenilon, il Fagheron, Col Del Miglio, tutte alture che precipitano con aspri dirupi verso il Brenta. Fu lì che la notte del 24 ottobre, alle tre e cinque minuti, gli « honved » attaccarono in forze dopo un bombardamento apocalittico. Se si fossero impadroniti di quei colli, avrebbero avuto la strada della Valsugana aperta e l'imperatore Carlo, che attendeva a Merano con l'astuccio contenente lo scettro del Sacro Romano Impero, sarebbe potuto arrivare fino a Milano. Trovo tracce della vecchia trincea dì Cestarotta e lo strapiombo delle rocce Anzini. Qui erano la grotta in cui vissi in quelle giornatacce, il varco del reticolato, il comando del secondo battaglione del 58° fanteria, brigata Abruzzi. Identifico la selvetta della Val Duga al di Va'della quale, a'duecento metri di distanza, stavano schierati coraggiosi ungheresi. À quel tempo ero uno dei tanti « tenentini » diciottenni, che, dopo Caporetto, usciti da sommari corsi di istruzione, sì trovarono soli e scoperti a difendere l'Italia Pioveva a dirotto, .quella notte, quando uscii di pattuglia per la Val Duga. A guardarla oggi sembra un boschetto da nulla. Allora appariva come un insidioso nido di vipere. Da una settimana gli austrìaci avevano sferrato sul Grappa l'attacco che ritenevano decisivo, riuscendo a sfondare il velo' della prima linea. Ma alla cosiddetta trincea della resistenza erano stati bloccati. Vedevano dall'alto la pianura veneta, Padova, Bassano, Vicenza, ma il grande balzo, già tentato invano nel giugno precedente, fu giudicato irrealizzabile dopo la prima giornata. La mia pattuglia era composta dal sergente Giovanni Levaggi, di Genova; dal caporale Francesco Morelli, di Arpino, mìo attendente; dal caporale Antonio Puricelli, piemontese. Nella notte piovosa scattavano razzi illuminanti lanciati dal nemico; galleggiavano un attimo nell'aria; lasciavano sospesa una specie di bava verdastra. Camminammo per due ore nella valletta Dì metro in metro finimmo per arrivare nelle trincee austriache. Sapete che cosa vi trovammo? Nessuno. Soltanto quattro militari, malati di dissenteria, incapaci di marciare. Lì avevano lasciati lì, come sentinelle morte, con l'incarico di lanciare ogni tanto qualche racchetta illuminante per far credere che le trincee fossero ancora efficienti. Gli altri se n'erano andati poco prima alla spicciolata, stavano scendendo a rompicollo per la mulattiera della Val Cesilla verso Cismon. Proprio qui, dove vedo ancora una pìccola fossa, bollivano le marmitte da campo col brodo che gli « honved» non avevano fatto a tempo a consumare. Un biglietto, scritto al buio con un pezzetto di matita, arrivò al comando del IX Corpo d'Armata, che teneva il nostro settore. Il portaordini, che lo recapitò, aveva il fiato grosso e riuscì a farfugliare: « La guerra è finita: gli austriaci scappano, si arrendono ». Era accaduto che tutto lo schieramento austriaco era stato tagliato in due sul Piave e che sul Monte Grappa, sotto la spinta della IV Armata, comandata dal generale Gaetano Giardino, il nemico, per non essere aggirato, aveva preso la fuga. Cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca e un reggimento americano erano riusciti a piegare settantatre divisioni austro-ungariche, che avevan lasciato nelle nostre mani trecentomila prigionieri e cinquemila cannoni. Quattro giorni dopo fu concluso l'armistizio. Molti reduci, soprattutto vecchi alpini piemontesi e lombardi, salgono in questi giorni fino a Cima Grappa, nonostante l'imminente inverno. Vogliono rivedere i luoghi della loro giovinezza. In fondo trovano una specie di belvedere di pietra, nel punto esatto in cui, cinquantanni fa, era situato l'osservatorio d'Armata. Adesso c'è una carta topografica di bronzo. Le quote sono rilevate a giri concentrici. Sulla mappa di bronzo fanno spicco a sbalzo le an¬ tiche posizioni. Dal Col del Miglio, estrema sinistra dello schieramento dell'Armata, al Monte Tomba corre una doppia linea sinuosa formata da innumerevoli stellette, gli italiani, e da altrettanti dischetti, gli austrìaci. In certi punti, come a Cestarotta, stellette e dischi quasi si toccano. I « veci » alpini, che ho incontrato sulla montagna, portavamo quasi tutti pic¬ coli mazzi dì crisantemi. Prima di tornarsene a basso, li deponevano in qualche punto dell'Ossario a cinque gironi, dove riposano i tredicimila italiani restati sul Grappa — eran molti di più, ma la maggior parte furono riportati ai loro paesi — e il comandante Giardino, che volle esser sepolto quassù insieme alla moglie Margherita. A due passi c'è il cimitero austro-ungarico con diecimila duecentonovantadue salme. I caduti stanno in piccoli loculi semilunari, allineati in tre ordini per ciascun girone. Ogni dieci tombe, un ossario con i resti di cento sconosciuti. Arnaldo Geraldini Mitraglieri italiani in azione presso Fossalta nelle giornata decisive dell'autunno 1918

Persone citate: Antonio Puricelli, Arnaldo Geraldini, Dal Col, Del Miglio, Duga, Francesco Morelli, Gaetano Giardino, Giovanni Levaggi, Moschin