Onassis con il matrimonio ha battuto gli altri "grandi" armatori di Grecia di Michele Tito

Onassis con il matrimonio ha battuto gli altri "grandi" armatori di Grecia HANNO RAGGIUNTO IL POTERE, ORA CERCANO IL PRESTIGIO Onassis con il matrimonio ha battuto gli altri "grandi" armatori di Grecia Un'accesa rivalità lo divide ed insieme lo lega a Niarkos, Lamos e Goulandris - Tutti e quattro sono venuti su dal nulla; ora dominano il mercato del petrolio con le loro flotte, e si sono imposti tanto alla finanza internazionale quanto all'alta società americana - Sembra che Onassis sia il meno ricco dei quattro: avrebbe « solo » 250 miliardi - Ma nessuno è giunto tanto in alto nella conquista del gran mondo: le nozze con Jacqueline sono la consacrazione definitiva del trionfo (Dal nostro inviato speciale) Atene, 25 ottobre. Sono quattro, li chiamano «gli argonauti». Come Giasone della leggenda greca, Niarkos, Lamos, Goulandris e Onassis, sono partiti dal niente alla conquista del vello d'oro. Sono diventati armatori, tutti e quattro ricchissimi, attraverso peripezie simili. Tutti e quattro potentissimi, come re senza corona, ma re che governano. Hanno eguali esperienze e un eguale destino. Tutti e quattro dominano e affascinano la sofisticata e fragile umanità della haute anglo-americana. I quattro si detestano. Sono impegnati a rincorrersi tra loro nella conquista di nuove ricchezze, si imitano e si scontrano. Tutti e quattro tendono, però, alla « legittimazione », al matrimonio di grande prestigio e dì grande risonanza, che sia come la consacrazione della loro riuscita. Come a Na¬ poleone non bastava l'impero ma occorreva l'alleanza con una famiglia dì sangue reale, gli argonauti vogliono l'alleanza con le famiglie di New York, con la casta che, orgogliosa, potente e chiusa, prende oggi il posto dei principi di sangue reale dell'Europa antica. Niarkos. già ultracinquantenne, sposò la nipote diciassettenne di Ford, uno dei pia grandi magnati degli Stati Uniti. Come adesso, dicono gli amici di Jacqueline, gli amici della Ford dissero allora: « Chi altri una Ford poteva sposare? ». Gli argonauti venuti dal niente colgono i frutti di una logica che ammette solo la potenza e il denaro. Onassis, è il meno ricco dei quattro. Coi suoi duecentocinquanta miliardi viene molto dopo Niarkos, che possiede forse novecento miliardi. Ma, superata una certa soglia, anche il numero di mi- liardi conta poco: la potenza è, pressapoco, uguale. Per crescere nella fortuna e salire nella potenza i quattro argonauti hanno avuto bisogno soltanto di qualche anno. Nel 1945 Niarkos faceva navigare una flottiglia di centomila tonnellate di battelli fradici. Oggi i marinai di tutto il mondo conoscono e temono la sua «N», simbolo di una flotta dì decine e decine dì navi moderne e di affari che portano, di un colpo, cinque miliardi di profitto netto. Onassis viene da Smirne, è passato per l'emigrazione in Argentina, e ha progredito senza che nessuno se ne accorgesse e fu scoperto, e fu una bomba, quando, nel 1953, sbarcò a Montecarlo, ormai padrone del Principato. Dopo, poteva dichiarare a Harry Bormberger, un giornalista che l'intervistava sugli investimenti nel Principato: « Domandatelo ai miei amministratori, non ho tempo per occuparmi di una cosa cosi piccola ». Come gli altri tre, il vecchio Goulandris, misterioso ma sempre circondato da donne formose, ha avuto a che fare con commissioni di inchiesta americane per affari poco chiari dì petroliere illecitamente acquistate e forse fraudolentemente usate. Ha finito sempre col vincere: le multe e i sequestri dopo anni di uso del naviglio erano come graffi alla fortuna accumulata nel frattempo. ' Ed è Lamos il cervello che ha per primo intuito ciò che gli altri tre hanno subito capito, soli nel mondo degli affari. E' 41 vero segreto di una potenza concreta, non legata soltanto all'influenza e al prestigio della ricchezza. Fino ad alcuni anni fa, la corsa al petrolio impegnava tutti i grandi, coinvolgendo i governi, nella ricerca dì nuovi pozzi da scavare e possedere. E' una corsa che contìnua, una gara senza esclusione di colpi. Lamos e i suoi tre colleghi greci hanno capito a tempo che v'è un modo di partecipare alla corsa e di controllarne gli sviluppi: ed è quello di disporre dei mezzi per il trasporto del petrolio. Il caso della Persia con Mossadeq, nel 1953, è esemplare. Mossadeq aveva nazionalizzato il petrolio e avrebbe voluto venderlo per conto proprio. Ma, con l'eccezione di qualche nave italiana, non trovò nessuno che lo trasportasse: non furono i petrolieri a vincere, furono gli Onassis e i Niarkos, che, in quel momento, non si mossero. Senza di loro, senza che essi trasportino le materie prime, il possesso dei pozzi di petrolio nel Medio Oriente è sterile. Giocando con le tariffe dei noli possono favorire o distruggere un magnate, possono mettere in ginocchio un Paese. E quel che conta, nell'uso delle flotte petrolifere, non è il numero delle navi, ma l'età, che deve essere inferiore ai dieci anni, e il tonnellaggio di ciascuna nave, che non deve essere inferiore alle diecimila tonnel- late altrimenti le navi si pongono fuori della concorrenza, sono troppo onerose. I quattro argonauti sono, in Occidente, quasi soli a poter costruire ininterrottamente nuove navi per ringiovanire senza sosta le loro flotte. Sono i soli capaci di acquistare navi in periodo di depressione economica, quando tutti svendono. Dì ognuno di loro, da dieci anni in qua, si dice che possono svegliarsi domani ridotti alla rovina. Essi lo sanno, e rimediano strìngen do i legami del prestigio affinché la loro caduta sia temuta e sofferta da tutto il mondo della jet-society, cerne i sovrani antichi si sentivano impegnati nel difendere il trono di un re in pericolo. Tutti e quattro sono stati, in anni molto lontani, incoraggiati e protetti da un altro armatore greco, Livanos. Stavros Livanos veniva da Chìo, era il decano degli armatori greci. Indossava sempre, d'inverno e d'estate, un pastrano nero e aveva l'aria di un vecchio, povero droghiere. Egli sapeva come si acquista la potenza, e la Grecia gli sembrava troppo piccola. Il Mediterraneo per lui era davvero un lago. Cercava alleanze e allievi per usare della sua straordinaria capacità dì muovere segretamente, nell'ombra, le leve della potenza e della ricchezza. Ma non pensava ad '«inserirsi» nel gran mondo, gli piaceva piuttosto dominarlo e sfidarlo: in lui era esasperato un senso dì distacco, nutrito da una ambizione dì rivincita verso i grandi che gli erano divenuti amici. Le sue alleanze, i suoi legami li cercava tra i greci, tra la sua gente. il suo gran giorno fu quello in cui, dopo aver dato la figlia Tina, di 16 anni, in sposa ad Onassis che ne aveva — dichiarati — 48, sposò un'altra figlia. Eugenia, a Niarkos: un'altra'giovanetta consegnata, per una rigida ragione di potenza, a un uomo anziano. Fu il panico nel mondo degli armatori E' costume, in Grecia, che due cognati si considerino come fratelli e si aiutino in ogni circostanza. Ora si univano tre fortune, tre colossali volontà di potenza. Il sogno di Livanos crollò subito. Niarkos e Onassis erano troppo orgogliosi e troppo ambiziosi per non combattersi, e l'ambizione di rivincita dei greci venuti dal niente sui grandi di Londra e New York andò in frantumi. Divenuti nemici, Niarkos e Onassis hanno consumato la loro vita a contrastarsi e gareggiare tra loro. Divorziarono quasi insieme dalle figlie di Livanos, per le stesse ragioni: Tina e Eugenia non resistevano al ritmo di vita imposto dai loro mariti. Niarkos e Onassis saltavano da un continente all'altro. Niarkos poteva dedicare soltanto un paio d'ore al mese alla famiglia, e Onassis poco di più. Le due donne si organizzarono un'esistenza per conto proprio, e, passando da New York a Parigi a Napoli, era come se non fossero sposate. Raccontano che un giorno Onassis incontrò su un aereo diretto a New York una donna bionda che quasi non riconosceva: era la moglie: prendevano lo stesso aereo e non lo sapevano. Tornati liberi, Niarkos e Onassis, come gli altri due argonauti, iniziarono la marcia verso la « legittimazione » della loro riuscita attraverso avventure sentimentali sempre più lusinghiere, con una specie di progressione metodica che incontrava pochi ostacoli nella jet-society e che lì metteva in gara per il matrimonio più prestigioso. Vi fu. per Onassis, l'episodio della Callas. ma per la Callas era stabilito che non sarebbe mai divenuta la signora Onassis: « Anche Napoleone III — disse una volta Onassis — amava le grandi dive: e con ciò? ». Niarkos credette di raggiungere per primo la grande mèta quando sposò una Ford. Per celebrare l'evento acquistò un'isola. Onassis acquistò invece prima l'isola — di fronte a quella dì Niarkos — e attese il grande momento. « Se Elisabetta d'Inghilterra — dicevano i suoi amici — fosse più ammirata di Jacqueline, Onassis la farebbe abdicare e divorziare per sposarla ». La donna più ammirata, la donna che sanziona la riuscita massima, era Jacqueline: Onassis l'ha corteggiata per cinque anni, e, paziente e sicuro di sé, ha lasciato parlare le cronache dei viaggi con quelli che egli chiama i «languidi Lords inglesi» o con gli «intellettuali pallidi ». Ai Kennedy come alla sorella di Jacqueline, che gli è stata per qualche tempo molto amica, Onassis aveva già detto: « Un giorno Jacqueline sarà felice di sposarmi ». Onassis aveva speso somme vertiginose, nel 1954, un anno dopo l'ingresso in Montecarlo e l'inìzio degli amori con la Callas, per conquistare l'alta società americana: le cinquecento persone più importanti e più ricche di New York, Boston e Chicago furono trasportate, alloggiate e festeggiate sontuosamente nel Principato. Uomini non sufficientemen¬ te importanti come sir Laurence Olivier, furono costretti a tornare indietro nonostante gli sforzi fatti per essere ammessi alle feste. Fu il più spregiudicato e travolgente episodio di scalata mondana del secolo. I banchieri di New York riconobbero ad Onassis il « tocco di Mida », la facoltà, cioè, di mutare in oro tutto ciò che si tocca, e perciò il credito totale, assoluto: il massimo della potenza. Molto gioca un fascino non comune, una eccezionale intelligenza; gioca una carica u■mano che altrove sembra contenuta e controllata, se non spenta; gioca il fatto di essere, di mostrarsi uomini che rischiano e agiscono in proprio, forti, sicuri di sé. Sono qualità comuni ai quattro argonauti. E' così che Jacqueline, regina in esilio, può sentirsi lieta di sposare un re che regna e governa davvero. Jacqueline non è Kennedy, è una donna da cui forse si pretendeva troppo. Forse ella non meritava il suo primo marito, ma col secondo marito è certo felice e gli dà quel che voleva. I quattro argonauti hanno vinto, e tra i quattro ha vinto Onassis. Michele Tito