I film della fame

I film della fame La Mostra dei documentari latino-americani I film della fame Fame e povertà, denutrizione e' malattie, fanatismi religiosi e analfabetismo, squallore, estrema arretratezza sociale c squilibrio nella distribuzione dei beni: questi, anzitutto, i lemi emersi a Mérida — la cinquecentesca città venezuelana, sede dell'Università delle Ande — durante la prima Mostra del cinema documentario latino-americano, svoltasi nei giorni scorsi, parallelamente al primo Festival internazionale della musica, entrambi organizzati da quella Università. Film quali La perla dell'indio Fernandez, La guerra gaucho di Lucas Demare e 0 Canoaceiro di Lima Barreto — presentati i in vari festival europei — hanno offerto al pubblico straniero visioni di pampas, vulcani c «certaosto; e tuttavia — si domanda l'&rgentino Fernando Birri — che cosa in essi si vede al di là di questo panorama insolito e pittoresco? Poco o niente; la ragione del successo ottenuto da questi film presso il pubblico straniero si deve ricercare nella curiosità che essi destano con il loro fascino esotico, e non nell'interesse per i problemi veri e drammatici dell'America Latina. A chi, europeo, ha seguito la Mostra di Mérida, la prima considerazione che viene alla mente è appunto la ripulsa, nella maggior parte dei documenti esposti, di un folclore inteso nel senso comune e volgare del termine, che tanti film esotici hanno alimentato, e continuano ad alimentare: di un folclore inteso come elemento « pittoresco », « bizzarria », « stranezza », e non come « cosa molto seria e da prendere sul serio », come * una concezione del mondo c della vita da studiare » e portare avanti. Ci sembra che la cosa 'più pertinente sia quella di inquadrare la natura della Mostra — i suoi film, le sue finalità — nell'ambito di una ricerca gramsciana, e del Gramsci in particolare delle osservazioni sul folclore e la letteratura nazionale-popolare, osservazioni che mette conto ricordare. Anche, per la maggioranza di questi giovani registi — appartenenti a cinematografie spesso agli inizi, o che vogliono rompere con la passata produzione (come nel caso del Brasile, dell'Argentina, o del Messico) — conoscere il folclore significa appunto conoscere quali concezioni del mondo e della vita lavorano di fatto alla formazione intellettuale e morale delle generazioni. Nei loro documentari il popolo è visto in genere non paternallsticamente, dall'esterno cioè, con spirito disincantato, cosmopolita, da turisti del dolore in cerca di sensazioni forti, originali per la loro crudezza (quell'originalità di cui parla Rocha). L'espressione « umili » non indica un rapporto tra due razze, il sentimento sufficiente di una indiscussa superiorità dei registi. L'atteggiamento, almeno nei più consapevoli (e sono la maggioranza), intende essere infatti nazionale e popolare, non autoritario, e avere una funzione educatrice. Essi si sono posti e si pongono, vale a dire, il problema di elaborare i sentimenti delle loro genti, dopo averli rivissuti e fatti propri; legati al popolo, ne conoscono e ne sentono bisogni, aspirazioni, sentimenti diffusi: non sono qualcosa staccato da esso, di campato in aria, come una casta, una razza appunto, ma una articolazione con funzioni organiche del popolo stesso. Riconoscere gramscianamente questo, non significa tuttavia affermare che i film esposti a Mérida, tutti o quasi, siano opere d'arte; essi anzi hanno raggiunto forza espressiva solo in rarissimi casi. Ed è bene dirlo con franchezza, per evitare errori non solo sul piano critico, del giudizio di valore, ma anche per non compromettere il procedere di questi registi e cinematografie. Questi registi lottano non tanto per una « nuova arte », quanto per una « nuova cultura >: si Jeve parlare, anche in tale caso, di flotta per una nuova cultura, cioè per una nuova vita morale, che non può non essere intimamentt legata a una nuova intuizione della vita ». Un nuovo gruppo sociale caunsccveubpvgnhgaadrsesflLpardgga che entra nella vita storica con jatteggiamento egemonico, con una sicurezza di sé che prima non aveva, non può non suscitare dal suo intimo — conclude Gramsci — personalità che prima non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi compiutamente in un certo senso. Artisti possibili, o personalità in fieri, appaiono, a esempio Santiago Alvarez (Now), il boliviano forge Sanjinés (Revolución), Fernando Solanas (La hora de los hornos, prima parte), l'uruguaiano Mario Handler (Eleeaones). Ma rimane in questi e in altri, soprattutto, il problema di affermare una cultura e una realtà sociale egemoniche, non subalterne e conformiste: per esse lottano « suscitando passioni e calore di umanità », riflessioni critiche e politiche. Lo scopo della Mostra risiede proprio in questa necessità di autonomia in paesi dell'America Latina così irrequieti e dagli eventi drammatici negli stessi giorni in cui si svolgeva la rassegna. Carlos Reboliedo, direttore e animatore della Mostra, coglie nel segno quando afferma che esiste un problema comune a tutto il Sudamerica: l'isolamento artificioso in cui esso vive, e che corrisponde a un momento in cui si lotta per raggiungere concrete e non formali autonomie, mentre interessi estranei cercano di impedirlo. La cultura latino-americana, e quindi il cinema, debbono autoconoscersi, rifiutando quel paternalismo che in genere viene dall'Europa e dagli Stati Uniti. « Occorre iniziare un nuovo tipo di condotta: autoconoscersi, identificarsi e solidarizzare tra di noi, senza passare attraverso il paternalismo europeo e nordamericano; sottolineare che esiste un cinema latino-americano veramente indipendente è uno degli scopi di questa Mostra, e confrontare le sue diverse posizioni dinanzi alle realtà nazionali e alle altre cinematografie ». Questo il richiamo che è venuto da Mérida; e non è casuale che la Mostra abbia trovato la sua naturale sede presso una Università: quella delle Ande. Guido Aristarco

Luoghi citati: America, America Latina, Argentina, Brasile, Europa, Messico, Stati Uniti