Nella raffineria di Dar es Salaam dove la notte passeggiano i leoni di Luciano Curino

Nella raffineria di Dar es Salaam dove la notte passeggiano i leoni II Continente Nero sulla via dello sviluppo Nella raffineria di Dar es Salaam dove la notte passeggiano i leoni Da questo porto della Tanzania parte il più lungo oleodotto africano - L'ha costruito, con tre mesi d'anticipo sul previsto, la società Snam del gruppo Eni - Attraverso 1700 chilometri porta il petrolio alla Zambia E' costato 28 miliardi di lire - Gli italiani hanno lasciato in Africa un'opera grandiosa e molta simpatia (Dal nostro inviato speciale) Par es Salaam, ottobre. Un mattino trovarono un leone nella raffineria. Non si sa come era entrato, comunque non aveva saputo uscirne. Tutta la notte si era aggirato tra le cisterne, i top pings, nel labirinto dei tubi. Lo videro furente e lo uccisero a fucilate. Questa raffineria nell'Africa Nera l'hanno realizzata gli italiani, che . poi hanno costruito un oleodotto: 1700 chilometri, il più lungo del continente. Nel 1966, dopo la separazione delle due Rhodesie e la creazione della - Zambia, quest'ultimaftentò di approvvigionarsi di prodotti petroliferi attraverso la pista che dall'altopiano centrale conduce al porto di Dar es Salaam: più di duemila chilometri di strada nella giungla. Fu subito chiaro che questa iniziativa era inadeguata, anche perché durante i sei mesi della « stagione delle piogge » la Great North Road è impraticabile per parecchie settimane. Ma il petrolio era . indispensabile allo sviluppo della nuova nazione, forse alla sua stessa sopravvivenza. Si è inftfetto un appalto per un ole:-iotto ed hanno concorso le maggiori imprese del mondo. Lo ha vinto la « Snam Progetti », società del gruppo Eni, impegnandosi a terminarlo in sedici mesi. « Una pazzia » hanno commentato i concorrenti sconfitti. L'oleodotto è stato inaugurato il 2 settembre scorso, con tre mesi.di anticipo. E' un'avventura che merita di esser raccontata. (E oggi, nel Centro Africa, noi italiani siamo conosciuti soprattutto come « quelli di Kariba e del pipe line », quelli che hanno realizzato due opere — la diga e l'oleodotto — in un periodo di tempo ritenuto impossibile. é'Atfinizio nort-ti credevamo nemmeno noi — mi dice un tecnico della Snam —. Ci eravamo impegnati forte: avanzare al ritmo di quasi cinque chilometri al giorno, scavando e collocando i tubi in zone coperte da foresta, passando sotto quattro ter' rovie e sotto una ventina di fiumi, salendo in montagna . dove c'erano da superare quote di oltre duemila metri ». La difficoltà maggiore è stato il reclutamento. Per • questo lavoro era stato cai■ colato l'impiego di duecento tecnici italiani e di mille operai e specializzati locali. Ma non c'erano specializzati sul • posto e si è dovuto fare scuola per saldatori, escavatori, gruisti, pompisti. Naturalmente, tutti africani. Poi, chi era stato istruito saldatore ha chiesto di fare il gruista, altri dicevano: « Siamo compressoristi ma vogliamo fare i meccanici ». C'erano altri guai.' Il cantiere avanzava, obbligava a interrompere i contatti con la famiglia, con gli amici. Gli operai africani soffrivano di nostalgia, dicevano: « Ho la moglie, devo andare a vederla». E niente riusciva a convincerli: andavano a casa, ritornavano due. tre giorni dopo. «Qui l'oleodotto non si fa», dicevano gli italiani. Questo è accaduto soltanto all'inizio. « Poi è subentrato l'orgoglio — mi dice l'ingegner Loizzo —. La gente usciva dalla foresta per vederci lavorare ed era impressionata che fossero africani a manovrare le enormi escavatrici e i back-fillers, i bulldozers e i caterpillars. E loro, ì kikuiu, si sentivano gli occhi addosso ed erano fieri. Non scendevano dalle loro macchine tutte • pitturate di giallo finché non veniva il caposquadra a tirarli giù: per oggi basta ». « C'è un altro fatto — dice l'ing. Loizzo — presto l'operaio africano si è.accorto che era tra amici. Sa come siamo noi italiani: tanti difetti, ma abbiamo il rispetto per gli al_. tri. Nessuna prevenzione per gli indigeni, e ne siamo stati ripagati con una stima che sorprende e lusinga. Gli inglesi, invece... ». Ho visto gli inglesi a Nairobi e a Dar es Salaam che ostentavano distacco e superiorità. Adesso ci sono anche i cinesi. Dicono che siano diecimila nell'Africa Centrale, tremila nella Zambia. Ma nes suno sa esattamente qual è il numero esatto. Vanno su • e giù, stanno sempre tra di ' loro, parlottano misteriosamente, scrutano tutto. Sono qui per costruire la ferrovia tra Tanzania e Zambia e hanno chiesto due anni per decidere dove fare passare la linea, ma sono in troppi per uno studio del genere e parecchi di loro non sembrano affatto interessati alla questione. , Al « Savoy » di N'dola c'era, l'altro giorno, un gruppo di cinesi. Hanno scelto i piatti che costavano di meno e quando è arrivato il conto se 10 sono passato, ognuno guardandolo a lungo e con sgomento, finché c'è stato un consulto e si sono rassegnati, hanno pagato, sono usciti senza lasciare mancia né salutare, freddi e ostili. Vedendoli, era difficile credere che quando verranno a costruire la ferrovia stabiliranno con gli africani quel rapporto di cordialità e di amicizia che ha caratterizzato il lavoro lungo l'oleodotto. Sono in parecchi ad assicurarmi che l'oleodotto non sarebbe stato posato in tempo senza la. stima e l'amicizia che hanno. unito italiani e africani. Si è detto delle difficoltà da superare e che erano impressionanti. Altri ostacoli sono sopravvenuti durante 11 lavoro di posa. A causa del blocco del Canale di Suez, le navi che trasportavano il materiale (sono-occorsi 45 mila tonnellate di tubazioni, 200 mezzi pesanti, 300 autoveicoli da trasporto di ogni tipo) sono state costrette a circumnavigare l'Africa impiegando due settimane in più rispetto ai tempi previsti. E l'anno scorso una alluvione ha fatto, crollare ponti, fermando per parecchi giorni centinaia di veicoli con i riforniménti, e tutti erano nel fango fino agli occhi e una volta la strada è stata bloccata da seicento veicoli, ed'1 era'facile scoraggiarsi in' quei giorni. Ma ciò è accaduto quando già l'operaio africano era pieno di orgoglio e non avrebbe ammesso una sconfitta. Ci sono stati momenti duri, non c'è stato imo che ha detto: « Io ne ho basta. Torno da mia moglie ». « Ci hanno chiamati pazzi, ma l'oleodotto lo abbiamo fatto», mi aveva detto l'ing. Bucciarelli al « terminal » di N'dola. Eravamo al centro del Copperbelt, la regione delle miniere di rame che fanno della Zambia il secondo produttore del mondo di questo minerale. Per la fortuna di quelle miniere e per 11 futuro industriale del Paese bisognava che arrivasse il petrolio. Si è speso 28 miliardi di lire per farlo arrivare. Adesso ne sgorgano 1300 litri al minuto. L'ing. Loizzo mi dice: e Lo aspettavamo la notte del 23 agosto. Una " pipe line " non è una signora sconosciuta e sapevamo che il prodotto partito da Dar es Salaam un mese prima sarebbe appunto arrivato nella notte del 23 agosto o nelle prime ore del mattino successivo». Lo aspettano al buio e nessuno parla, tutti emozionati: italiani e africani. Vengono le 2, le 4 e non accade niente. E' freddo e ci si muove per riscaldarsi, ma anche perché cresce il nervosismo. Viene voglia di uscire da questa tensione, stare soli nella foresta, che è appena oltre i cancelli del «terminal». Ma nella foresta c'è il « mamba ». quel serpente che gli indigeni chiamano « sette passi », perché se mor¬ de non si riesce a fare più di sette passi, e si muore. Sono le 5: niente. Qualcuno entra nella baracca e si butta sul letto, non per dormire, ma per fumare una sigaretta dopo l'altra, perché là fuori, con il petrolio in arrivo, non si fuma. Cresce l'impazienza, perfino il dubbio. E se la « signora conosciuta» facesse i capricci? Ogni cinque minuti si guarda l'orologio e cresce l'inquietudine. Le 6: tutto silenzioso, soltanto i grilli e le rane della giungla. Dice l'ing. Loizzo: «Alle 7 vengono a battere alla mia porta. "Arriva" gridano: Corro fuori e sta sgorgando gasolio. Tutti ne riempiamo secchi, ci tuffiamo la faccia, ce lo buttiamo addosso, ridiamo e sembriamo matti». E' un momento molto bello da vivere. Lavori tredici mesi, hai giornate buone e cattive, hai angoscia e sconforto, ti morde la nostalgia, la « signora » è conosciuta ma il dubbio non ti lascia mai. Poi, puntuale, il successo che ripaga di tutte le pene. Dieci giorni dopo è venuto il presidente della Zambia, Kenneth Kaunda — un mistico, un socialista un po' paternalista che assicura: « Gli utili dell'oleodotto andranno al popolo » — per l'inaugugurazione. Ci sono bandiere, c'è festa. Ora l'opera appar: tiene per un terzo alla Tanzania e per due terzi alla Zambia. La maggior parte dei tecnici italiani è venuta via. Ne restano alcuni, con incarichi più delicati e dì. alta responsabilità, ma presto lasceranno il posto a tecnici africani. Vanno via gli uomini della Snam. lasciano un oleodotto e della simpatia. Un italiano che viene in questa parte dell'Africa si sente dire: «Oh, italiano: Kariba e pipe line » e trova cordialità, spesso amicizia. - Luciano Curino Kisangani KENYA R H OD ESI A

Persone citate: Bucciarelli, Kenneth Kaunda, Loizzo, Salaam, Savoy