Il dramma dell'atleta che soffre esalta il pubblico delle Olimpiadi

Il dramma dell'atleta che soffre esalta il pubblico delle Olimpiadi STATI D'ANIMO DELLA FOLLA NELLO STADIO DI MESSICO ! Il dramma dell'atleta che soffre esalta il pubblico delle Olimpiadi L'altitudine di Messico (2230 metri) provoca intossicazioni all'organismo umano teso nello sforzo * Parecchi campioni crollano a terra svenuti dopo le gare e devono essere rianimati con l'ossigeno - Le corse dei velocisti suscitano le maggiori emozioni • Un senso di angoscia grava sullo stadio negli attimi che precedono Io scatto dei centometristi (Dal nostro inviato speciale) Città del Messico, 15 ott. L'atleta corre soffrendo, il pubblico pare esaltarsi più di quella sofferenza che dello spettacolo di potenza o eleganza dei corpi lanciati verso il traguardo. Me ne rendevo conto durante un pomeriggio trascorso allo Stadio Olimpico di Messico, attento più alle reazioni degli spettatori che non alle gare. Si correvano le semifinali dei cento metri piani, una delle competizioni più appassionanti; l'interesse della folla era scarso, quel pre¬ ludio alla corsa decisiva era considerato un intermezzo quasi fastidioso. Avevo l'impressione che si facessero dei calcoli aritmetici per stabilire quanti atleti di pelle } bianca sarebbero giunti alla finale. Ed era così in realtà perché, resi noti i risultati, ognuno si disse buon profeta: in finale giunsero soltanto uomini di colore. L'atmosfera di uno stadio è fatta anche di queste incongruenze, si attende soltanto la conclusione di una, due gare con lo spirito di chi legge un romanzo giallo ansioso di scoprire il protagonista. Ieri, ad esempio, erano in programma le gare del peso, del giavellotto, dei tremila siepi, dei ventimila di marcia, ma l'interesse era tutto per la finale dei cento metri. Le altre competizioni erano interamente trascurate, come il lancio del disco e il getto del peso, e soprattutto perché quel genere di gare non offriva emozioni. La mia impressione è che la gente vada allo stadio di Messico per vedere gli atleti che crollano, ì medici ed infermieri che accorrono con bombole a'ossigeno, barelle e coperte. Effetti dell'altezza, gli sforzi prolungati nell'atmosfera dei 2230 provocano intossicazioni fatali all'organismo umano. Bisogna convenire che a chi va allo stadio con luesto interesse le- emozioni non mancano. Lunedì sera, alla conclusione dei diecimila di corsa, il campione Ronald Clarke, detto Ron, australiano, si accasciò senza vita, mentre Temu, abituato ai 2200 di Nairobi, arrivò al tragw rdo in condizioni perfette. Anche ieri le emozioni di questo genere sono state numerose. Nella prima semifinale dei tremila metri siepi, ■'■ Vargentino" Aimazòri; giunto ultimo nella sua batteria, s'è accasciato in mezzo alla pista, il suo torace si gonfiava nello sforzo atroce della respirazione. Furono attimi angoscianti prima che giungessero medico e infermieri con ossigeno' e barella. Il pubblico era tutto proteso su quella quasi agonia. Sempre nei tremila siepi, mentre Biwott, anche egli del Kenia, quasi volava sugli ostacoli e giungeva al traguardo con tanta riserva di energia da infilare di corsa l'erta rampa d'uscita, l'uruguaiano Etchechury e l'inglese Herrot dovevano essere rianimati con l'ossigeno e trasportati via in barella. Negli ottocento metri, fu il cecoslovacco Plachi a crollare come fulminato sulla pista ed essere portato via con la maschera ad os- sigeno incollata alla bocca. Discutere oggi se fosse proprio necessario sottoporre gli atleti a queste prove è inutile: se ne parla da quattro anni, semmai si doveva essere più cauti prima di affrontare un simile esperimento, che può causare traumi gravi all'organismo. Uno dei canottieri della squadra tedesca del « quattro con timoniere», è rimasto sotto la tenda ad ossigeno per molte ore prima di riprendere conoscenza. Un altro aspetto singolare degli incontri d'atletica è il simultaneo svolgimento di molte gare. Faccio un esempio. Mentre si correvano i tremila siepi, si svolgevano contemporaneamente le competizioni di salto in lungo. Nella dirittura opposta alla mia, vedevo i concorrenti della « siepi » arrancare con passo pesante e legato, ed in mezzo a loro, per effetto di prospettiva, saettare un atleta lanciato nella rincorsa che precede il salto. Era un effetto ottico singolare, perché pareva che il concorrente alla « siepi » avesse ritrovato d'improvviso insospettate energie, scioltezza nei movimenti. Venne il momento dei venti chilometri di marcia. I concorrenti erano quarantuno, fra cui l'italiano Busca, che doveva poi terminare dodicesimo. I marciatori sono sempre un po' buffi, muovono le braccia per scandire il ritmo del passo, col sincronismo dei pistoni in un cilindro. Alla partenza ci fu un piccolo incidente: il messicano Pedraza, considerato tra i favoriti, fu malamente calpestato da un suo concorrente, perdette le scarpe ed uscì dal sottopassaggio per la camminata in città con un distacco considerevole. Benché fosse messicano, il pubblico esplose in una risata che fece tremare lo stadio, come rideva ai tuffi che gli atleti facevano nell'acqua quando saltavano malamente la siepe. Mentre quei quarantuno disperati marciavano per le vie di Messico, avvenivano due premiazioni, getto del peso per gli uomini, lancio del giavellotto per le donne. Fu il solo momento in cui il pubblico si rese conto che si erano svolte quelle gare, che gli americani si erano aggiudicati le medaglie d'oro e d'argento, che il russo era giunto terzo. Lo stesso si può dire delle giavellottiste. prima un'ungherese, seconda una romena, terza un'austriaca. E gli atleti dei cento metri che si scaldavano i muscoli in attesa della finaj le sospesero i loro Saltini solo quando la banda intonò gli inni nazionali mentre i vessilli dei Paesi vincitori salivano sui pennoni dello stadio. La finale ■ dei cento metri offrì gli spasimi più acuti, alla folla. Erano' tutù uòmini di colore, anche Bambuck, negro della Guadalupa che correva per la Francia. Quando gli atleti si in¬ ginocchiarono, mani a terra e piedi puntati sul blocco di legno,- direi che sullo stadio gravava un senso di angoscia, che non cessò nemmeno ad una falsa partenza. Quel peso si dissolse al colpo di pistola del mossiere. Fu un'esplosione di voci che durò dieci secondi, il tempo della corsa, un coro urlante che pareva sospingesse l'americano Hines emerso dal gruppo dopo i primi cinquanta metri e lanciato con la fulminea velocità di una fionda verso il traguardo. Asciutto nei movimenti. Perfetta macchina umana creata per la velocità pura. Credo che in quel momento il pubblico si sia esaltato esclusivamente per il fascino di quell'attimo di bellezza sportiva. Tornò ad eccitarsi poco dopo, ma per un motivo nazionalistico. Era già notte, i riflettori diffondevano una sbiadita luce solare, quando rientrarono i marciatori. In testa c'erano due russi, terzo era il messicano Pedraza, quello che aveva perduto le scarpe alla partenza. Con uno scatto sovrumano — qualcuno ha voluto vedere passetti di corsa — il messicano superò un russo, aumentò il ritmò, diede l'tm■pressione di superare anche ■ il primo. Lo stadio ribolliva per il gran vociare che incitava Pedraza, che non glie la fece. Al traguardo, il marciatore messicano quasi si scagliò contro un inserviente che gli porgeva una coperta, si dava pugni in testa, si graffiava il volto. Il pubblico lo ripagò con un applauso delirante. Nessuno si curò del russo Golubnichy, che aveva vinto la gara con gran potenza e stile. • Francesco Rosso (Vedere alle pagine 11 e 12 i servizi degli altri nostri inviati a Città del Messico e le fotografie) L'americano Hines, medaglia d'oro, ed il francese Bambuck protesi sul traguardo dei cento metri: sui volti contratti i segni dello sforzo tremendo (Tel.)

Persone citate: Biwott, Francesco Rosso, Hines, Pedraza, Ronald Clarke, Saltini