«Le mosche» di Sartre a Vicenza in «prima» italiana dopo 25 anni di Giorgio Calcagno
«Le mosche» di Sartre a Vicenza in «prima» italiana dopo 25 anni Il dramma conclude il ciclo di spettacoli all'Olimpico «Le mosche» di Sartre a Vicenza in «prima» italiana dopo 25 anni Nell'opera dello scrittore francese si discutono i problemi della libertà e dell'impegno Successo dell'allestimento curato da Franco Enriquez, con la Compagnia dei Quattro (Dal nostro inviato speciale). Vicenza, 28 settembre. Singolare chiusura, per il ciclo di spettacoli all'Olimpico Il programma annuneia, come novità assoluta per l'Italia, « Le mosche » di Sartre, il primo, e da molti ritenuto il più importante, fra i testi teatrali dello scrittore francese, messo in scena dalla Compagnia dei Quattro. Ci sono voluti 25 anni perché trovasse la via di- un palcoscenico italiano. Ed è approdato, forse, a quello che gli era sostanzialmente meno congeniale. Per quale motivo questa opera, ormai conosciuta da intere generazioni di giovani lettori, sia sempre stata esclusa dai nostri non ricchi cartelloni teatrali, non è ben chiaro. Ma il problema deve essere nella sua scarsa disponibilità alla manipolazione scenica. Tanto è vero che vari registi illustri, a partire da Luchino Visconti, dopo averle, messa in programma, ed avere iniziato le prove, hanno preferito rinunciare alla impresa. « Le mosche » sono un testo teatralmente non facile, per certi aspetti ingrato, e che bisogna recitare così com'è; pena il tradimento di tutta l'opera. Se il gioco scenico può apparire lento, e in più parti addirittura nullo, la dialettica delle idee vi è serratissima: in un centinaio di pagine Sartre è riuscito a condensare tutti 1 problemi che poi svilupperà nei suoi drammi successivi. La tragedia è modellata sulla trilogia della « Orestiade » di Eschilo. Ma dopo poche parole appare chiaro che il richiamo classico è appena un pretesto, per un dibattito di attualità. Oreste è un personaggio complesso, di cui gli stessi più fedeli studiosi di Sartre non sanno dare una interpretazione unica: sempre oscillante fra la ricerca di una libertà individuale e il dovere da compiere verso i suoi simili, la libertà di tutti. Arriva ad Argo il giorno in cui si commemora il quindicesimo anniversario della morte di suo padre, Agamennone, ucciso dalla moglie, Clitennestra. e dal suo amante, Egisto, che dopo il delitto si è proclamato re Egisto coltiva accuratamente il senso della colpa nei suoi sudditi e nella sua stessa famiglia, se ne serve come dello strumento « repressivo » più sicuro per regnare; e la città è coperta dalle mosche, i neri simboli del rimorso. Soltanto Oreste non ne viene toccato. Oreste ha lasciato la sua città quando aveva tre anni, ci ritorna adesso che è adulto, e si rende conto di esserle profondamente estraneo. Ma non per questo è tranquillo. Allievo, e insieme vittima, di un maestro di scetticismo, che gli ha insegnato come suprema legge dell'uomo il distacco dalle cose, si ritrova a godere di una libertà gratuita, e fittizia. Ora vuole mescolarsi alle cose, vuole compiere un atto « irreparabile » che lo collochi in una dimensione reale, in rapporto con gli altri uomini. L'occasione gli viene suggerita da Elettra, la sorella. Elettra ha atteso per 15 anni il suo ritorno, e gli chiede di realizzare l'antico sogno di vendetta contro gli assassini del padre. Oreste, dopo una esitazione iniziale per un gesto che sostanzialmente non lo tocca, aderisce al disegno di Elettra: uccide Egisto e, subito dopo, anche Clitennestra, la madre. Consumato il delitto, egli crede di avere ridato la libertà ad Argo, di avere eliminato il tiranno: ma si accorge che la città non gliene è riconoscente. Lo respinge perfino la sorella, che viveva nella speranza della vendetta futura, e si sente privata di tutto ora che essa è stata compiuta. Ma Oreste adesso sa di essere libero. Ha qualche cosa alle spalle, una esperienza vera, e decisiva, che lo radica nella realtà; e può andarsene, come il suonatore di flauto, trascinandosi dietro lo sciame delle mosche, ingigantite a dismisura, e trasformate nelle spaventose Erinni. La regia di Franco Enriquez ha cercato di mantenersi fedele all'originale di Sartre, operando soltanto alcuni leggeri tagli delle parti teatralmente più caduche, e puntando su alcune sortite sceniche estranee al testo, ma non contrarie, per ravvivare la rappresentazione: così l'arguta apparizione di Giove barbuto e con l'aureola, che arriva su una portantina; o la danza orgiastica delle donne e degli uomini di Argo, invasati dal rimorso. davanti alla caverna dei morti Assai utile, in questo senso, si è rivelata la scelta di un Oreste giovane e nervoso, l'attore Beppe Pambieri. praticamente al suo debutto, e quindi senza schemi di recitazione precostituiti E' vero che, al suo fianco, ha finito I per prendere maggiore risai to Valeria Monconi nella par te di Elettra, ia lei interpre tata, e in alcuni tratti colo rita, con una intensità perfino superiore a quella del personaggio sartriano. Ma nel finale le luci tornano a concentrarsi sul protagonista, che recita, con ("pmplan toni smorzati, il monologo d'addio. Fra gli altri interpreti, assai ben disegnato il Giove di Renzo Montagnani, mentre Adriana Innocenti e Piero Nuti sono stati Clitennestra ed Egisto. Tutti sono stati calorosamente applauditi. Giorgio Calcagno
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