Industrie «multinazionali» e centri di ricerca in Italia

Industrie «multinazionali» e centri di ricerca in Italia Industrie «multinazionali» e centri di ricerca in Italia Risultati di una recente inchiesta sugli investimenti esteri nel nostro Paese - Necessità di fermare la «fuga dei cervelli» - Si propone un'indagine A conclusione della recen-] te inchiesta sugli effetti de-' gli investimenti esteri in Italia è stato rilevato, fra i dati positivi, uno negativo di cui sarebbe male trascurare l'incidenza. E' il seguente: agli investimenti non si accompagna uno sviluppo di centri di ricerca industriale, anzi si nota che laboratori già esistenti e di buona qualità sono stati ridimensionati. In seguito al precisarsi del problema del « brain drain » non poche idee sono state avanzate per evitare che l'esodo di materia grigia verso l'America si aggravi nel tempo. Anche in Italia sono state proposte forme di collaborazione scientifica che consentano di legare in qualche modo al paese di origine gli studiosi a cui ad un certo momento può apparire utile un'esperienza americana. Si è molto meno pensato a forme cooperative di ricerca industriale che pure sotto il profilo economico non sono meno interessanti. In un articolo apparso recentemente su una rivista economica francese si richiamava che la Philips, la grande industria «multinazionale » olandese, ha centri di ricerca oltre che in Olanda (Eindhoven), anche in Germania (Aquisgrana e Amburgo), in Gran Bretagna (Redhill), in Francia (Limeil-Brevannes), in Belgio (Bruxelles). Il centro olandese rimane il più importante, ma gli altri non costituiscono per niente dei doppioni. Qualcosa del genere si può dire di un'altra industria a base «multinazionale», la Ibm. Il più grande dei suoi laboratori è in America, il «Thomas J. Watson Research Center » di Yorktown; in Europa, tuttavia, operano sette altri centri minori. A Vienna si studiano i linguaggi di programmazione, a La Gaude (Francia) il problema della trasmissione delle informazioni a distanza, a Boeblingen nella Foresta Nera (Germania) ì piccoli sistemi, a Uithoorn (Olanda) l'elaborazione diretta dei documenti, a Lidingo (Svezia) il controllo dei processi industriali, ad Hursley (Inghilterra) lo sviluppo dei calcolatori di media potenza. L'uno e l'altro caso sono ottimi esempi per dimostrare come società che operano su uno scacchiere vasto come il mondo non comunista (e perciò dette «multinazionali ») abbiano nel noi stro Paese, di solito, ottime reti di distribuzione, a volte efficienti centri di produzione, ma quasi sempre manchino di centri di ricerca. In occasione dell'inchiesta condotta dalla Commissione dell'Industria sullo stato della ricerca tecnico-scientifica italiana è stato ascoltato, con interesse il dottor Cazzaniga della Esso, una delle poche industrie estere che abbia costituito un laboratorio, sia pure di modeste dimensioni, in Italia (Fiumicino). Al dirigente industriale è stato chiesto dai parlamentari perché il nostro Paese è visibilmente scartato dalle imprese estere al momento della scelta del posto dove installare un nuovo centro. La risposta non è stata data in modo chiaro. Rimane il rilievo di fondo che non poteva sfuggire al gruppo di studio cui si deve l'inchiesta del Cnel della quale si è detto sopra. Perché si preferiscono la Svizzera, l'Austria, il Belgio all'Italia? Una risposta valida nessuno è in grado di darla. A volte il fatturato annuo dell'associata italiana di queste grandi società è dell'ordine delle centinaia di miliardi; eppure i laboratori di ricerca finiscono per essere impiantati in paesi dove gli sbocchi commerciali sono di minore importanza. Un'inchiesta in questo senso non sarebbe male. Potrebbe servire da un lato a chiarire il fenomeno, dall'altro a suggerire che cosa fare per rendere il nostro Paese appetibile almeno quanto gli altri per un genero di investimenti tut t'al¬ tro che improduttivo. La qualità del nostro insegnamento tecnologico ne risulterebbe a lungo andare migliorata e lo stesso orientamento di fondo dell'insegnamento puramente scientifico ne verrebbe influenzato. F. Gioia

Persone citate: Cazzaniga, Gaude, Thomas J. Watson