In Sicilia 85 mila terremotati aspettano case, scuole, ospedali

In Sicilia 85 mila terremotati aspettano case, scuole, ospedali I tredici comuni distrutti dal sismo In Sicilia 85 mila terremotati aspettano case, scuole, ospedali I profughi vivono provvisoriamente nelle tende, in baracche, negli alloggi di fortuna - Gibellina, Salaparuta (montagne di tufo sbriciolato abitate soltanto da corvi) dovranno essere ricostruite integralmente - Oltre alle case, pronte fra due anni, bisogna ridar vita ad una economia poverissima: il reddito medio d'una persona è di 100 mila lire l'anno (Nostro servizio particolare) Gibellina, 12 settembre. Tredici comuni da trasferire totalmente o in buona parte, case e servizi pubblici per 85 mila abitanti: queste le dimensioni dell'opera che lo Stato deve compiere nella Sicilia occidentale per ridar vita alle zone terremotate. Le immagini di Gibellina Interamente distrutta, polverizzata, hanno fatto il giro del mondo. Il paese è fermo in un silenzio di morte, senza un'anima, soltanto corvi, e un cane. Anche Salaparuta è ridotta a una cascata bianca e gialla di tufo sbriciolato, che non avrà mai più vita. I nuovi centri abitati sorgeranno a qualche chilometro di distanza, interamente inventati dai tecnici. Ma la ricostruzione dovrà essere estesa ai comuni meno danneggiati, anche a quelli che sembrano quasi intatti, su una area che va da Trapani a Marsala e Sciacca, ad Alcamo e Palermo (più di 1200 abitazioni lesionate). I senza tetto attendati o sistemati in baracche nel territorio che fu più brutalmente colpito, il triangolo Santa Ninfa-Menfì- Gibellina, sono 20-25 mila. Più di dodicimila vivono in edifici requisiti. Altri, in numero imprecisabile, hanno alloggi di fortuna a Sciacca, Marsala, Mazara del Vallo, dopo essere ritornati dal Nord dove erano emigrati nei primi giorni di fuga (se ne andarono 21 mila, compresi 4000 emigrati all'estero). Sommando tutti si arriva a una massa di 40 mila terremotati in attesa di una casa sicura, ma il conto non è chiuso. Hanno avuto danni molti centri popolosi rimasti vitalissimi, come Sciacca rifugio degli abitanti di Menfi (dove il 50 per cento delle case è da abbattere, il 40 per cento da riparare radicalmente), come Alcamo dove l'altra sera si esibivano i cantanti di un festival, con partecipazione collettiva sulla piazza. A Trapani e Marsala sono lesionati molti edifici alti, di vecchia costruzione. Di Palermo si è detto. E' da sostituire interamente un pulviscolo di piccoli nuclei rurali, senza nome, costruiti in modo arcaico. Ecco la cifra globale di 85 mila siciliani per i quali lo Stato dovrà costruire almeno 85 mila vani, scuole, ospedali, servizi pubblici, strade. Il « decreto » stanziò la somma di 162 miliardi e 400 milioni. Ci sono i fondi. Non si dovrebbe perdere tempo. Mi informa sulla ricostruzione l'ing. Corona, un trancruillo funzionario del ministero dei Lavori Pubblici mandato in Sicilia per dirigere l'ispettorato delle zone terremotate (« creatura che deve scomparire al più presto. Quando chiuderemo il nostro ufficio la Sicilia occidentale sarà ritornata alla normalità). Gli domando se è possibile parlare di scadenze. Risposta: « I primi appalti sono previsti per la primavera del 1969. Nel giro di due anni dovremmo vedere le nuove case abitate». L'impresa è colossale. Non si tratta soltanto di ridare abitazioni sicure e civili a 85 ■ mila siciliani. C'è da ricostruire un tessuto sociale brutalmente lacerato, dando vita a un'economia che fino al tompo del terremoto aveva strutture e ritmi medioevali, con redditi infimi. Questa è veramente la parte più povera dell'isola, ancorata a un'agricoltura (70 per cento degli occupati) misera per mancanza d'acqua e per arretratezza di colture. Il reddito medio della famiglia contadina nelle zone terremotate si aggira sulle 200 mila lire annue; meno di 100 mila lire per persona contro la media nazionale di 570 mila (356 mila nella provincia di Trapani, 265 mila in quella di Agrigento). Si capisce facilmente come l'agricoltore sia riluttante a riprendere il lavoro dei campi: il sussidio di 1000 lire al giorno per capofamiglia e di 400 lire per ogni componente del nucleo, garantisce un in trotto prima sconosciuto sen za far nulla. Ecco i frigori feri, le cucine lucenti, le ra dioline nuove, nelle baracche dei terremotati; ed ecco la passività di tanti che preferiscono la disoccupazione. Soltanto la sensibilità e la capacità degli amministratori locali potrebbero annullare il fenomeno: facendo partecipare gli uomini validi alla ricostruzione. L'ingegnere che dirige l'ap¬ posito ispettorato mi delinea così il piano generale: la zona sarà servita da due autostrade, o « superstrade », la Palermo-Sciacca (passerà per Camporeale, Corleone, Campofiorito), e quella che dall'aeroporto di Punta Raisi scenderà a Mazara del Vallo, passando a breve distanza da Gibellina e Santa Ninfa. I due « assi » saranno allacciati per consentire la maggiore mobilità fra i paesi ricostruiti e i nuovi insediamenti (dovrebbero sorgere alcune industrie di trasformazione), facilitando anche il turismo sulla costa meridionale, oggi trascurata. E' prevista una grande diga; entro tre anni dovrebbe essere pronta la rete di nuovi acquedotti, Sono state scelte le località dove sorgeranno i nuovi centri abitati. Gibellina verrà totalmente abbandonata e ricostruita su una collina distante otto chilometri; un geologo è sul posto per studiare il terreno e proporre il miglior tipo di fondazioni antisismiche. Qui l'ipotesi di altri terremoti è incancellabile. Anche il territorio del nuovo comune di Montevago è stato scelto; è a oriente del paese raso al suolo. Santa Ninfa sarà ricostruita interamente su una collina vicina; nella baracca sede del municipio osservo il plastico del piano regolatore, già pronto. « Entro tre anni vedremo case, strade e autostrade, servizi pubblici » mi ripete l'ispettore Corona nel suo ufficio di Palermo. Qui, sui posti del disastro, tira aria di sfiducia, come vuole la tradizione siciliana: « Cinque anni se andrà bene », ripetono a Poggioreale, Montevago, Menfi, Partanna, Salenti. Per ora vedono le sole baracche in costruzione con un certo ritardo. Ne occorrono 24 mila prima dell'inverno comprendendo quelle per scuole, uffici, negozi; pare che quelle montate e quelle disponibili siano in tutto 16 mila. E troppi ancora sono sotto le tende. Corrono voci di dissensi fra Stato e Regione siciliana. Si tratta, piuttosto, di mancanza di coordinamento. La Regione ha fatto a luglio una legge per la pianificazione territoriale delle zone terremotate e per lo sviluppo dell'agricoltura (destinandole 20 miliardi). Lo Stato, che sopporta le spese della ricostruzione, tende ad agire per suo conto. Le intese sui programmi sono indispensabili per una ricostruzione che sia sollecita ma anche razionale. Mario Fazio ♦

Persone citate: Di Palermo, Mario Fazio, Raisi