I giorni del settembre '43

I giorni del settembre '43 Venticinque anni fa. l'ora più oscura d'Italia I giorni del settembre '43 Il drammatico annuncio dell'armistizio dato dal maresciallo Badoglio alla radio la sera dell'8 settembre - Il mattino dopo il re e il governo si rifugiavano a Brindisi, le divisioni tedesche che accerchiavano Roma mossero all'attacco - Eroica resistenza dei soldati resa vana dall'inganno della « città aperta » - L'inizio d'un lungo martirio L'annuncio che l'Italia aveva chiesto ed ottenuto un armistizio dalle potenze alleate venne diffuso da tutte le radio italiane alle 19,45 dell'8 settembre 1943. Venticinque anni fa, un quarto di secolo, una generazione. Eppure, un avvenimento ancora ben vivo alla memoria di tutti, l'inizio d'una nuova vita democrati- ca, diffìcile, travagliata, tor- jmentala fin che si vuole, ma !libera una volta per sempre Idai « miti » della potenza, del |nazionalismo, della razza, di jun duce « che ha sempre ra- jgione ». |La firma dell'armistizio era avvenuta il giorno 3 settem- !bre. Nei giorni successivi sì sarebbero dovute predisporre le misure necessarie, non si fece assolutamente nulla Dal 25 luglio divisioni tede sche affluivano in Italia dal Fréjus, da Ventimiglia. dal Brennero, dal litorale triestino. Noi non riuscimmo ad assicurare una forza che fosse in grado di garantire la difesa degli aeroporti vicini a Roma. La sera del 7 settembre, allorché il generale Taylor con grave rischio personale venne nella nostra capitale per concordare ì piani definitivi, si dovette — da parte di Badoglio capo del governo e del gen. Carboni capo del nostro servizio informazioni e del corpo d'armata di Roma — telegrafare ad Eisenhower, comandante supremo degli. angloamericani, per avvertirlo di non tentare lo sbarco di una divisione aerotrasportata a Roma. . . E così, mentre^ avevamo chiesto in^ extremis che l'annuncio dell'armistizio fosse prorogato al 12 settembre, la sera stessa dell'8 Eisenhower parlava alla radio di Algeri (alle 18,30 ora italiana) per far sapere al mondo che ci eravamo arresi. Le radio italiane, come si è detto, confermarono con più di un'ora di ritardo. Gii 'ufficiali generali, lo stesso ministro degli Esteri erano all'oscuro di tutto. Reparti cospicui delle no.stre forze armate, si. trovavano nei Balcani, in Francia, nelle isole dell'Egeo. Ogni reparto, ogni generale dovette decidere l'atteggiamento da prendere guardando soltanto alla propria coscienza. Badoglio, nel messaggio letto alla radio per annunciare l'armistizio, aveva detto che le forze italiane avrebbero dovuto cessare ogni ostilità contro gli alleati « ma reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza ». Era chiaro, certo, ma non sufficiente forse, non esplicito abbastanza per generazioni di ufficiali che, prima di agire, attendevano di ricevere l'ordine scritto con tutti i timbri. E questi generali, oltre la voce della radio, avevano ricevuto solo una fantomatica « memoria », un ordine generico che non era nemmeno pervenuto a tutti. Del resto, era fin dal 25 luglio che si aspettava l'ar¬ mistizio. Tutti lo sentivano nell'aria. Anche i tedeschi. E il nostro governo con i tedeschi voleva giocare d'astuzia. La guerra continua, aveva detto il proclama del re scritto da V. E. Orlando. Come meravigliarsi se in quei quasi due mesi di intervallo l'esercito, adibito anche a ser- vizio d'ordine pubblico, finì per sentirsi abbandonato e non desiderò altro che scio gliersi e tornare a casa? Perché intanto, a Roma, era il caos. Gli anglo-ameri cani sbarcavano a Salerno, lontani, i tedeschi erano vi- Cini. Hitler aveva manifesta to il proposito di catturare tutti i governanti italiani, con il re, il « bambino » e quel Badoqlio. Non c'era tempo da perdere: si pensò, giustamente, a garantire la continuità di governo legittimo riparando tutti a sud, non si pensò a fare un gesto che salvasse l'onore. Questo gesto lo faranno i soldati semplici, morendo a Porta San Paolo di Roma, immolandosi a Cefalonia e nei Lager, lo fecero molti generali e colonnelli. Ma il re, tutta la famiglia reale, il capo del governo maresciallo Badoglio, lasciavano Roma nottetempo (erano le 5,10 del 9 settembre) con una lunga fila d'automobili, attraversavano senza sòste l'Italia centrale, giungevano a Ortona, sulle rive dell'Adriatico dove era pronta la corvetta « Baionétta » che li avrebbe trasportati a Brindisi. ■ Quella stessa notte, per Roma cominciò la tragedia. L'allarme alle divisioni allora schierate a difesa della capitale fu dato alla mezzanotte. Le divisioni Piave e Ariete non vengono avvertite in tempo, J comandanti volevano l'ordine scritto. Fra la Magliana e Porta San Paolo là divisione Granatieri ostacola l'avanzata dei paracàduiisti tedeschi provenienti da Ostia. Il gen. Carboni è introvabile. (Negli anni successivi si farà un. processo, ma chiarirà ben-poco). Alle ore 16 del giorno 10 il maresciallo Caviglia e il gen. Westphal capo di Stato Maggiore di Kesselring firmano un accordo in cui si riconosce Roma "città aperta" sotto il comando di Calvi di Bergolo. Poi, VII settembre, i tedeschi violano l'accordo. Le nostre truppe vengono disarmate. Il 12 settembre Mussolini è liberato a Campo Imperatore dai paracadutisti di Student e di Skorzeny. Nel tentativo di difendere Roma morirono 277 tra ufficiali e truppa, più 139 dispersile 700 feriti. Umberto Oddone Il presidente del Consiglio pronuncia il discorso commemorativo della difesa di Roma (Telefoto Ansa)