Il nostro inviato nell'Iran tra i paesi distrutti dal terremoto

Il nostro inviato nell'Iran tra i paesi distrutti dal terremoto Desolazione e morte nella sperduta zona del Khorassan Il nostro inviato nell'Iran tra i paesi distrutti dal terremoto Le case costruite col fango sono cumuli di polvere che il vento disperde, facendo affiorare cadaveri e resti di animali Nell'aria un odore nauseabondo - Nei campi di raccolta scarseggia o manca l'acqua - Incombe la minaccia delle epidemie - Nell'ospedale di Badokht i pochi posti letto sono riservati ai moribondi; gli altri giacciono sul pavimento nei corridoi (Dal nostro inviato speciale) Meshhed, 9 settembre. Gli aerei che vanno a Birjand o Meshhed, gli aeroporti base per la zona del Khorassan orientale portano viveri, medicine, dottori e soldati. Se c'è posto per un giornalista è una combinazione. Cosi per dieci ore ho aspettato una comunicazione da un ufficio all'altro del Leone e Sole rosso, la Croce Rossa iraniana. Partivo per Meshhed alle 2 di mattina di martedì. Dopo 12 ore di macchina su una pista rocciosa che doveva portarci attraverso altipiani di oltre 2000 metri, montagne desertiche, villaggi poveri e pittoreschi, con punte di freddo durante la notte che toccavano i 3 gradi sopra, zero e giornate scottanti, arrivavamo nella regione del Khorassan. Si vedevano rari e inaccessibili villaggi, case dalle forme identiche alle colline rosse che le circondavano, a forma roton da, piccole, fragili. Contadini in turbante e manto con greggi di pecore e capre. Donne velate, vestite come in Azarbajan. Vedevamo più tardi quella stessa gente sdraiata ovunque nell'ospedale di Badokht, dove i pochi letti erano riservati ai moribondi. Gli altri, gambe a pezzi, visi in poltiglia, erano ammassati lungo i corridoi, nei gabinetti, in tende. Dottori ed infermiere si agitavano da un malato all'altro mentre i morti venivano portati via in camion. «Non posso dir le quanti malati abbiamo — dice il dott. Hossei" Chahidi — molti restano poche ore, devono lasciare il posto ai gravissimi. Altri muoiono ». Il dottore mi traduce le parole di una giovane malata che stringe un bambino, l'unico superstite dei suoi quattro figli. « Ho sentito un tuono terribile. Ma veniva dal sottosuolo. Poi tutto è cominciato a crollare. Non so dove sia mio marito, non so cosa sia successo alla mia famiglia ». Tutti i pazienti qui a Badokht vengono dalla cittadina di Kakhk. E quegli stessi villaggi di fango fragile che avevamo visto venendo in macchina, erano in questa zona un cumulo di polvere. Non c'era assolutamente nulla, a parte orribili colline rossastre, che potesse testimoniare la presenza di un villaggio pochi giorni prima. A' Kakhk donne dai visi immobili, agghiacciati, fissavano i cumuli come per potere scavare con gli occhi e riprendersi quelle cose o quelle persone che erano sotto le macerie. Altre urlavano per le strade. Alcuni rari edifici in pietra e mattone, cioè non costruiti in fango", testimoniano la violenza delle scosse del terremoto: i muri sono spezzati, le torri letteralmente dimezzate. A Kakhk, a Thezrio, a Hethri, a Ferdaus sono più i morti che i vivi rimasti. I cadaveri che continuano ad emergere sono in putrefazione, l'odore e la visione dei corpi è orribile. Nel campo di tende presso il villaggio di Thezrie, totalmente distrutto, passano disinfettanti tra giacigli, capre, visi disperati, qualche poca cosa salvata, povere teiere am maccate, mobili sventrati. Arrivano nuove coperte e l'acqua, che continua a mancare. Sta per giungere lo Scià in visita. Bandiere nere sventolano a Qayen, una cittadina che delimita la zona del terremoto. « Ma abbiamo anche qui scosse ogni giorno », dice l'infermiera Iran Khogasten. Difatti tutti corriamo presso i muri maestri quando, pochi minuti dopo, una scossa fa tremare l'edifìcio. F' poca cosa, ma un muro del nuovo ospedale ha parzialmente ceduto. « La Croce Rossa iraniana ha agito prontamente e con molta efficacia», dice il deputato di Meshhed, il giovane Hamid Kafari. « Ma ci sono stati anche episodi terribili. I feriti trasportati all'ospedale di Ferdaus morirono tutti il giorno successivo con una nuova scossa che ha interamente distrutto la cittadina». A Birjand il Primo ministro, signor Hoveida, mi ha detto: «Sua Maestà ed io abbiamo deciso di costruire smn nuovi centri con materiale solido e resistente ai terremoti. Più villaggi saranno riuniti in cittadine la cui costruzione sarà iniziata subito, prima che cominci l'inverno che qui è brutale. Un gruppo di ingegneri è già arrivato da Teheran ». Mentre cenavamo ha aggiunto: « Ho sentito che avete avuto un viaggio- avventuroso ». In verità ero partita da Meshhed con il dottor Korani. Nonostante all'aeroporto il nostro autista, Iradi Adib, avesse cercato di accoltellare un uomo, proseguivamo con lui. Dopo 9 ore di macchina durante le quali Iradi Adib aveva cercato di picchiare il dottore, ci abbandonava andandosene con macchina e bagaglio. Proseguivamo a piedi e venivamo poi raccolti da un jeep mi¬ litare. A Badokht trovavamo Iradi in panne. Più tardi veniva arrestato per essere in possesso di una macchina rubata e di documenti falsi. Da allora il nostro viaggio proseguiva praticamente ad auto-stop in una parte del mondo dove le strade sono pressoché inesistenti e le macchine rarissime. Non avendo nessuna possibilità di comunicare con il dottor Korani che non parlava che iraniano, mi sembrò un miracolo arrivare a Birjand, da dove era però impossibile raggiungere Meshhed o Teheran. « Sì, Eccellenza, il viaggio è stato avventuroso, ma lei come fa a saperlo? ». Iradi Adib era un nome falso. Quello vero — Vali Sahagian — era più che noto alla polizia iraniana. Gaia Servadio

Persone citate: Donne, Dottori, Gaia Servadio, Hamid Kafari

Luoghi citati: Badokht, Iran, Kakhk, Teheran