Il balletto sul «Gabbiano» a Siena non tradisce lo spirito di Cechov

Il balletto sul «Gabbiano» a Siena non tradisce lo spirito di Cechov Felice esito dello spettacolo alla Settimana musicale Il balletto sul «Gabbiano» a Siena non tradisce lo spirito di Cechov La coreografia di Loris Gai sulla musica di Roman Vlad - Protagoniste Yvette Chauvirée e Carla Fracci Carla Fracci e Loredana Fumo, prima dello spettacolo (Dal nostro inviato speciale) Siena, 5 settembre. Trasferimento nella cripta della chiesa di S. Domenico, ieri sera, per un bellissimo ooncerto del coro da camera della radiotelevisione italiana, diretto da Nino Antonellini. In programma Gesualdo da Venosa e Palestrina. Quest'ultimo con la Messa Hodie Christus natus est, a 8 voci, e Gesualdo coi Responsori dei Mattutini dalle Tenebre per il Giovedì Santo. Un Gesualdo insolito, ora per la prima volta ripreso nella trascrizione di Guido Pannain: un Gesualdo che il testo sacro, con la sua continuità ed imponenza, costringe ad una maggiore regolarità di forme e di espressione, in confronto con le geniali folgorazioni dei Madrigali. Questa sera ulteriore trasferimento dalla cripta al Teatro dei Rinnovati, per il consueto spettacolo teatrale di ogni Settimana Senese. Un programma composto di due lavori, e precisamente la prima ripresa moderna d'una tenue commedia di Spontini, e una novità assoluta, cioè 7/ Gabbiano, « variazioni danzate e cantate sull'omonima commedia di Cechov », spettacolo di Beppe Menegatti, con la coreografia di Loris Gai, musica di Roman Vlad. I due lavori contrastano curiosamente per opposto comportamento musicale: nella commedia Julie, ovvero II vaso da fiori, un atto A. Jars, misto di canto e prosa, la musica — opera di Giacomo Spontini ai suoi esordi parigini nel 1805 — va decisamente in vacanza, riducendosi. a poche arie senza pretese, un duetto e due concertati. Rile vato il garbo mozartiano dell'aria di Julie, e la turbolenza drammatica perfino eccessiva del Quartetto, non c'è altro da ricordare se non le eleganti scene e costumi in bianco e nero, con effetti di silhouette, di Anna Anni, la coraggiosa recitazione dei cantanti Ugo Trama, Valeria Mariconda, Giancarlo Montanaro e Amilcare Blaffard, la direzione avveduta di Bruno Rigacci alla testa dell'orchestra dell'Angellcum di Milano, la regìa un po' leziosa di Beppe Menegatti. Ben altra importanza ed interesse presenta invece 11 Gabbiano. Qui la musica (e con lei la danza) si comporta al contrario in maniera imperialistica e prevaricatrice, occupando un capolavoro teatrale che nelle parole di Cechov aveva trovato la sua misura perfetta. Diciamo subito che il lavoro collettivamente creato da Menegatti, da Vlad e da Loris Gai riesce . a poco a poco, nel suo svolgersi, a dissipare quasi per Intero quell'inevitabile prevenzione che un'impresa cosi strana non può fare a meno di destare: e non è elogio ria poco Prima di tutto bisogne dare atto a chi ha avuto l'idea dello spettacolo che l'articolazione delle scene teatrali in successivi quadri danzati avviene con singolare fluidità e naturalezza. Il senso della vicenda scorre senza intoppi né oscurità. La coreografia del Gai non può rivaleggiare con la sottigliezza delle parole cechoviane, e certamente si prova l'impressione, forse non giustificata in assoluto, che il vocabola rio della danza sia più povero che quello letterario. Ma se la differenziazione dei casi scenici lascia a desiderare, la coreografia riesce tuttavia ad impostare 1 caratteri principali, istituendo distinti linguaggi per la sventatezza effervescente di Irina Arkàdina, per la dedizione appassionata e vibrante di Nina, per la macerazione dolorosa di Mascia, per la boria e l'egoismo di Trigorin, e per la generosa ribellione di Konstantin. Molto merito, di questa riuscita caratterizzazione, va agli eccellenti danzatori che hanno soste¬ nuto queste parti, e precisamente: Yvette Chauvirée, come sempre grandissima nel gioco di quei piedi che hanno la leggerezze di piume; Carla Fracci, commovente nell'espressione dell'Innocenza e della disperazione; Loredana Fumo, incisiva e precisa in una parte di dolorosa tragicità, alla Marta Graham; Milorad Miskovic, gustosissimo nella stilizzazione caricaturale; e il giovane Amodio, che fa di Konstantin una figura teatrale indimenticabile, quasi simbolo di questo nostro tempo di protesta giovanile più generosa che avveduta, di contestazione e di ribellione. Ma la responsabilità maggiore, il compito di connettere i quadri scenici e di immergerli in una credibile dimensione temporale ( tutto Il Gabbiano in cinquanta minuti!) spetta alla musica. Roman Vlad ha scritto una partitura di grandissimo impegno, che si vale anche di due voci — gli ottimi Lucia Vinardi, soprano, e Giancarlo Montanaro, baritono — in una funzione non tanto di narratore o di historicus da oratorio, quanto piuttosto sposando di volta in volta questo o quel personaggio. Il linguaggio usato da Vlad è sostanzialmente di natura espressionistica e di sintassi dodecafonica tradizionale, tra Berg e Schònberg. Questo, almeno, il colore stilistico ge nerale, specialmente delle parti orchestrali. Ma in esso, come in un bagno o in una coltura biologica, sono calate altre componenti più specifica mente evocative del clima slavo e propriamente cechoviano, ottocentesco e borghese. La renvr.isoonza d'una cai zone ucraina alimenta quasi tutta la parte vocale del baritono. Echi di valzer e di umoresche ciaicov&iinme, do loròsamehte sfigurati nell'atonalità, pullulano qua e là nella partitura. In qualche caso l'appassionata personalità di Nina porla il cantu p^ai Wi cino alle rischióse sponde del verismo melodrammatico (i suoi ultimi pas de deux, con Trigorin e con Konstantin). Fino a che punto questi va ri elementi combacino in maniera omogenea con lo stile sostanzialmente espressioni stico della partitura, è quanto varrà la pena di controllare in ulteriori audizioni, nel corso delle riprese che dello spettacolo già si annunciano in varie città. Fin d'ora è pos sibile indicare nella travolgente ascesa sinfonica del pas de deux di Irina e Trigorin uno dei pezzi più belli della poderosa ed abilissima parti tura, indubbiamente dotata di un penetrante potere di evocazione, e capace di stabilire con la misura sonora un eli ma storico e di costume. Insieme ai danzatori già no minati vanno elogiati ugualmente Ria Teresa Legnani, Fi lippo Morucci, Dino Lucchotta, Mario Bini e lo stesso Loris Gai. Efficaci le diapositive di Giorgio Cipriani, che evocano in contorni evanescenti l'oggetto dei pensieri di chi agisce in scena. Eccellente è parsa l'esecuzione musicale, diretta da Bruno Rigacci, alla quale la voce della Vinardi, capace di armonici sopracuti, ha dato un contributo non comune, abilmente sfruttato da) compositore per caratterizzare l'innocenza tradita della povera Nina. Massimo^ Mila

Luoghi citati: Gesualdo, Milano, Palestrina, Siena, Venosa