La splendida mostra del Guercino sarà aperta da stamane a Bologna di Marziano Bernardi

La splendida mostra del Guercino sarà aperta da stamane a Bologna UNA GRANDE VOCE DEL BAROCCO ITALIANO La splendida mostra del Guercino sarà aperta da stamane a Bologna Oltre cento quadri e duecentocinquanta disegni, giunti da ogni Paese, dimostrano la forza di verità e di fantasia, la carica «romantica» dell'artista - E distruggono il falso giudizio di un Guercino docile al pietismo della Controriforma (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 31 agosto. Il manifesto affisso in tutta Italia c all'estero della grande mostra del Guercino che si inaugura domattina nell'archiginnasio di Bologna riproduce il particolare di un piccolo ma famoso quadro del pittore Giovanni Francesco Barbieri, nato a Cento di Ferrara nel 1591, morto a Bologna nel 1666, detto il Guercino perché strabico dell'occhio destro in seguito a uno spavento infantile. E' il particolare stupendo dei due pastori che attoniti s'arrestano nella selva d'Arcadia a contemplare un teschio umano posato su un frammento di muro in rovina, sopra il quale si muovono una mosca e un topo, simboli popolari del tempo che tutto divora; e sotto quel povero avanzo d'un qualunque Yorik essi leggono un motto che il Poussin, modificandone il concetto, tosto renderà celebre in due suoi capolavori « Et in Arcadia ego », ma il cui significato tanto si smarrirà più tardi che il Flaubert, contemporaneo degli impressionisti, non riuscirà a capirlo. Comunque la scelta di questa specie di « vanitas », che ha i suoi precedenti nelle rappresentazioni moralistiche medioevali dei « Tre vivi e dei tre morti », è stata, per il manifesto, eccellente. Perché subito pone sul magnifico spettacolo bolognese l'accento che gli conviene: quello che indica nel giovane Guercino la straordinaria facoltà inventiva, d'ispirazione romantica, che entusiasmava il maestro cui egli, più che a ogni altro, andava debitore per la formazione del suo stile fin dalla sua prima attività a Cento, già feconda di sorprendenti risultati. E infatti proprio allora, nel 1617-18, quando il Barbieri, chiamato a Bologna dal cardinale Ludovisi (futuro papa Gregorio XV) suo protettore, dava inizio a una serie di opere eccelse quali la « Susanna », il « Lot e le figlie », il € Figliuol prodigo », « S. Pietro risuscita Tabita», Ludovico Carracci di lui scriveva al letterato don Ferrante Carlo: « Si porta eroicamente », sottintendendo nell'avverbio « barocco » — come nota Cesare Gnudi nella magistrale introduzione al catologo della mostra, scientificamente redatto dal maggiore specialista guerciniano, Denis Mahon — una eccezionale foga erompente, un empito patetico in cui nulla era sforzato, voluto, declamato, una meravigliosa forza di verità e di fantasia. E così, poco più tardi, chiariva il suo elogio: € Qua pi è un giovane di patria di Cento, che dipinge con somma felicità, è felicissimo coloritore; mostro di natura, t miracolo da far stupire chi vede le su- opere ». A parte l'enfasi secentesca della lode, erano poste in luce tutte le native qualità del Guercino: che nutritosi in principio di linfe culturali ferraresi, abbagliato a Venezia dalla folgorante pittura tizianesca, tintorettesca, bassanesca, conquistato dall'alta scuola di Ludovico, ora si trovava nella Bologna di Guido Reni, del Domenichino, dei Carracci stessi in attesa di avvertire a Roma qualcosa della grande lezione del realismo « antibarocco » del Caravaggio. Sono le qualità che trapelano dai più che cento dipinti, dagh oltre duecentocinquanta disegni ricercati dal Mahon nelle collezioni pubbliche e private del mondo intero per una mostra che ha anche il merito di offrire finalmente, attraverso un accurato restauro di ogni opera, la € lettura » esatta di un materiale estetico prezioso. Naturalmente comparire il nante esito, ch'è, a Roma, del 1621, l'allegoria dell'* Aurora » affrescata nel casino di campagna dei Ludovisi, « un colpo di vento » fra quelle accese nuvole, che « gonfiò la vela della nuova pittura barocca» (Cavalli), e che annuncia la Roma barocca del Bernini « di Pietro da Cortona. Ma tona evidente vi è ugual-i dltdcdptdcitgcadedsgtdDcgnon vi può suo più affasci mente la storia della pittura guerciniana, che è poi la storia di un'anima semplice, tanto diversa da quelle, sempre intrise di intellettualismo, del Reni e del Carracci. Semplicità e spontaneità testimoniate dal ritratto che dell'uomo « sincerissimo, inimico della bugia, cortesissimo, umile, compassionevole, religioso, casto », tracciò il Malvasia nella < Felsina pittrice »; e che talora, negli ultimi vent'anni della sua vita, sotto la spinta controriformistica delle regole dettata dal cardinale Paleotti per la pittura sacra post-tridentina, la quale doveva essere un discorso fatto di immagini da cui kjLvedrà spirare pietà, modestia, santità, devozione », lo ind.ussero a composizioni pietistiche " persino lievemente goffe nella rnacchinosa enfasi, che sono la parte caduca, o almeno monotona e fastidiosa della figurazione concettistica e devozionale del Guercino. Ma anche in queste imprese, dove se non altro si esalta il sincerissimo sentimento religioso dell'artista, la virtù pittorica di questo protagonista dell'arte barocca traluce trionfalmente, e sempre riscatta l'ossequio — disprezzato dal Caravaggio — alla rappresentazione docilmente edificante. Del rapporto Caravaggio-Guercino, accentuato dalia storiografia settecentesca, hanno discusso i critici moderni dal Marangoni al Bottari, dal Lunghi al Mahon, ed ora il Gnudi lo riduce a « una lezione di ordinata, contenuta e grandiosa misura ». Del resto, come confondere il luminismo veristico del Merisi che decanta il colore e chiude le forme in una « tragica solitudine », con la così detta « gran macchia » del pittore di Cento, che dilaga sul tessuto crornitico, < ne accentua l'intensità di tocco e fa esplodere i suoi contrasti » ? E la « gran macchia », dopo le prime esperienze squisitamente provinciali tipo il < Miracolo di S. Carlo » di cir¬ ca il 1613-14, dopo gli intensi notturni paesaggi come quelli qui venuti da Stoccolma, dopo l'aperta confessione di venezianismo data dalla « Susanna », s'afferma nella « Tabita risuscitata », nell'« Apollo e Marsia », nell'* Erminia e Tancredi», nel «Figliuol prodigo», nella solenne «Vestizione di S. Guglielmo»; e signoreggerà fra luci sfavillanti e dense ombre la pittu¬ ra guerciniana fino a quando il cinquantenne maestro succederà in Bologna, nel pieno della sua fama, al defunto Reni, volgendo pensieri pittorici « di maggior disciplina formale e compositiva, di maggior controllo, ed anche, purtroppo, di maggior freno inventivo » (Cavalli); e tuttavia sempre conservando l'altissima dignità di rappresentazione. Ordinata con stretto crite¬ rio cronologico, rigorosamente seguito anche nella sezione dei disegni — un florilegio delle migliaia che tracciò il Guercino lasciandoci il dubbio s'egli sia più grande come pittore o come disegnatore (e noi quasi propendiamo per la seconda ipotesi) — la magnifica mostra bolognese rispecchia nitidamente il percorso umano del multiforme Barbieri. Marziano Bernardi