Sade «anticolonialista» di Guido Piovene

Sade «anticolonialista» MV "ROMANZO FILOSOFICO„ CURIOSO E VIVO Sade «anticolonialista» L'opera del Marchese de Sade continua ad essere divulgata in Italia, e l'editore Sugar recentemente ha pubblicato un suo lungo « romanzo filosofico », Aline e Valcour. Apre il libro un saggio famoso di Guillaume Apollinaire su Sade. Apollinaire capì l'importanza di Sade quando si usava ancora vedere in lui soltanto un pervertito. Ma oggi, dopo tanti studi sull'argomento, il suo saggio non può dirci molto di nuovo. Aline e Valcour è un romanzo in forma epistolare che ne comprende due, uno incluso nell'altro. Il primo racconta la storia dei due infelici fidanzati il cui nome appare nel titolo. Aline ama Valcour, ma un padre scellerato le impone di sposare un laido personaggio, suo compagno in tenebrose imprese. Quando non le resta altro scampo, la ragazza si uccide, e Valcour termina i suoi giorni in convento. L'altro romanzo, quello incluso e notevolmente più esteso, è la storia di un altro amore contrastato, quello tra Sainville e Léonore. Léonore è rapita da un turpe signore veneziano; riesce a fuggire, intanto l'innamorato ne va in cerca; da una vicenda all'altra percorrono separati, talvolta incontrandosi senza saperlo, l'Africa, l'Asia fino alla Polinesia, la Spagna e altre contrade. Si ritrovano finalmente, miracolosamente salvi e immensamente ricchi; Léonore si scopre essere la sorella di 'Aline. Queste vicende fortunose da un continente all'altro servono a Sade per improvvisarsi antropologo, raccontando le usanze di popoli lontani, e riprendendo un tema caro a Montaigne: la relatività dei principi morali. Quello che è buono in un paese è cattivo in un altro. Il romanzo, come si è detto, si svolge in forma epistolare e questa forma non si è mai curata meno di nascondere il suo artificio. Non sarebbe;-infatti possibile scrivere,- in> fretta e nell'affanno, lettere così lunghe, così ricche d'indugi teorici e descrittivi. Benché si apprenda dal saggio di Apollinaire che un contemporaneo giudicava Aline e Valcour moralmente peggiore della già c infernale > Justine, si tratta invece di un romanzo ehe occupa un posto a parte nell'opera di Sade. Le conclusioni dell'autore appaiono meno evidenti che in altri dei suoi libri, e il suo punto di vista meno unilaterale. Meno esplicite l'apologia della vitalità micidiale e crudele, e la svalutazione della « virtù ». In Aline e Valcour tutti i temi di Sade vengono come rimpastati, e sembra rimandata la presa di posizione definitiva. Il pensatore espone tutto il suo repertorio, le sue tesi anche contrastanti, ed il mondo di Sade è visto in tutte le possibili angolature. Abitualmente più ragionatore che artista, Sade si avvicina qui più che negli altri libri a una specie di imparzialità artistica. Le varie posizioni del suo repertorio sono infatti incarnate in personaggi differenti, senza che l'autore intervenga in modo troppo dichiarato a soffocare, con il suo estremismo teorico, la varietà dei caratteri naturali. Vi sono i mostri, come i padri inquisitori spagnoli, il nobile veneziano, il re africano Ben Màacoro, Blamont padre di Aline, « delicatamente orribile », sadico nel significato più corrente del termine, assassino e avvelenatore, seviziatore delle figlie, che sottopone, consegnandole ai propri complici, a un incesto indiretto. Nutrito, come il diavolo, di una < perversità abitudinaria, prova lo stesso genere di dolore davanti alla virtù che il giusto di fronte al misfatto ». Vi sono i virtuosi reali, ma in generale inetti o di secondo piano, sottratti ad una vera osservazione critica; ed altri pre sentati come virtuosi, la cui virtù però risulta alquanto dubbia all'occhio del lettore. E finalmente vi è un carattere di cui parleremo, Léonore: una perversa a metà strada, non ancora ben realizzata, il cui futuro resta incerto. Se il pensiero di Sade appare più sfaccettato in questo romanzo, lo si deve anche alla data in cui è stato scritto: su¬ bcesrdppdpsclzdbsncsvbmcps(nLngdmngpblimdordprgv bito dopo la Rivoluzione francese, che Sade considera un evento liberatorio, liberatorio soprattutto dalla condanna moralistica che l'ha perseguitato durante tutta la sua vita. Sade parteggia per la Rivoluzione e per la Repubblica, che più tardi lo deluderanno; ma ora il prisma del suo pensiero mostra soprattutto la faccia democratico-progressiva. Certo quello che Sade chiede alla Rivoluzione, com'è chiaro nei passi dove evidentemente parla per bocca propria, è soprattutto la scomparsa d'ogni giustizia punitiva. Non solo non ammette la condanna a morte, cioè l'assassinio a freddo, impartito per via legale. Ma, ribadito il suo principio che la natura ■ può benissimo fare a meno dell'uomo, ignora la morale, non si cura del nostro esser buoni o perversi, ne deriva che < non si ha il diritto di render infelici (con la punizione) coloro che non possiamo rendere buoni ». La distruzione è inerente alla natura, chiunque ne sia l'agente; i banditi servono i fini della natura, quanto il terremoto e la peste; punire è innaturale e ingiusto. Così è ingiusto che, liberandosi, l'exoppresso punisca l'aguzzino di prima; facendolo introdurrebbe un principio arbitrario nell'economia naturale, a cui non importa nulla chi sia la vittima e chi il reo. Sade fa un curioso impasto di dottrine tipicamente sue, di osservazioni psicologiche allora originali (bisogna diffidare dalla coscienza; « non esiste peggior consigliere del cuore »), con il razionalismo rivoluzionario: per esempio, i bambini sottratti presto alla famiglia ed educati dallo Stato. E vorrei riportare l'invettiva contro l'Europa messa in bocca a Zamé, re di una felice isola polinesiana: « Io ho un solo nemico da temere, ed è l'europeo incostante, vagabondo, che rinuncia ai suoi piaceri per andar a disturbate quelli altrui, il quale suppone che altrove vi siano ricchezze più preziose delle sue, é che desidera senza posa un governo migliore...; turbolento, feroce, inquieto, nato per la sventura del resto della terra, catechizza l'asiatico, incatena l'africano, stermina il cittadino del Nuovo Mondo, e per mare va in cerca d'isole disgraziate da sottomettere ». Questi pensieri però emergono dallo sfondo che abbiamo detto, che caratterizza Sade, e che dappertutto traluce. Ma, lasciando da parte il pensiero di Sade, che qui sembra essere tornato allo stato fluido prestandosi a interpretazioni diverse, il romanzo contiene anche un vero carattere, da aggiungere alla galleria dei personaggi romanzeschi. E' quello di Léonore. Sbatacchiata, spogliata e maneggiata in tutti i paesi del mondo, perfino nell'orripilante dominio del monarca cannibale, Léonore mantiene indenne la sua virtù; se per virtù s'intende l'aver impedito la consumazione totale di un'infedeltà al suo sposo. Ma dalle sue peripezie riporta un razionalismo inflessibile, già vicino alla crudeltà, un egoismo senza limite, ed il principio che egoismo è fare del bene; sempre conservando però quell'unica virtù caparbia. Lascia prevedere però, caduto quell'ultimo ostacolo, un'esplosione di sadismo che ne farà una nuova Justine, benché, nei limiti del libro, questo non avvenga ancora. E' uno dei pochi caratteri artistici che ci ha dato Sade, es¬ sendo l'arte il regno delle contraddizioni, dove non vale nulla ciò che ha una faccia sola. Del resto, non solo in alcuni, ma in tutti i personaggi di questo libro, la virtù è discutibile. I virtuosi sono esseri irretiti da convenzioni, e perciò si distruggono con le loro mani. Non si può, per esempio, accusare un padre o un marito, nemmeno se è assassino, incestuoso e necrofilo. Fanno l'effetto, quei virtuosi, dei topi degli esperimenti, i quali non riescono a trovare la via d'uscita d'un piccolo labirinto nel quale sono stati posti; mentre la troverebbe qualunque animale più intelligente, e la vediamo noi, che guardiamo dall'alto i loro sforzi senza frutto. Guido Piovene

Persone citate: Apollinaire, Guillaume Apollinaire

Luoghi citati: Africa, Asia, Europa, Italia, Spagna