Salvemini e Giolitti di A. Galante Garrone

Salvemini e Giolitti L'epistolario giovanile del grande storico Salvemini e Giolitti Dalla critica contro il « ministro della malavita » alla comprensione dello statista - L'atroce tragedia personale dello studioso e la lotta politica Il primo volume dei carteggi di Gaetano Salvemini ( 18951911) conferma e precisa, con una straordinaria vivacità di accenti, le linee già note della sua formazione giovanile; ma vi aggiunge un eccezionale calore di passioni incandescenti, c ci fa assistere al primo germinare e all'erompere delle sue idee. In questo senso è un libro nuovo, rivelatore, bellissimo, di una potente suggestione. Nel 1895, a ventidue anni, egli c già sdegnato contro i democratici «bagoloni», i repubblicani alla Bovio, i radicali. Lo stesso radicalismo francese, che allora si andava affermando come partito di governo, gli appare come « una sosta, se non un regresso », come il peggior nemico del socialismo. E anche contro i suoi compagni socialisti, contro il « legalitarismo » di Turati, la loro irenesia di alleanze con i partiti « affini » dell'Estrema Sinistra, sarà ben presto di una irremovibile, sprezzante severità. , Si vede benissimo che questo suo furore polemico nasce non da una infatuazione dottrinale, ma da una sete di giustizia sociale, dalla concretissima preoccupazione della miseria delle popolazioni meridionali. Lo spettacolo del lavoro bestiale nelle zolfare siciliane lo riempie di orrore, lo indigna, lo fa diventare « quasi anarchico ». Il giovane Salvemini non è fatto per acquetarsi alle ingiustizie del mondo. Questo suo fervore morale e politico si congiunge mirabilmente allo scrupolo e all'impegno dell'insegnante e dello studioso. Il « professoricchio » tra i ragazzetti di Palermo, o tra i liceali di Faenza e di Lodi non è diverso dal giovane docente universitario, che nel 1907 dirà: «/a missione del maestro non è quella di versare le idee già fatte nella testa dell'alunno, ma di allenare l'alunno a costruirsele da sé*. In queste lettere vediamo sorgere le sue opere storiche ad una ad una, e comprendiamo meglio per quale irresistibile impulso egli abbandoni le ricerche sul medio evo per volgersi ai grandi temi della storia moderna e contemporanea: le origini della reazione, la rivoluzione francese, Mazzini. Ed in questa svolta il suo adorato maestro Pasquale Viilari scorge un pericoloso soggiacere alle passioni politiche. Ma il discepolo rassicura il maestro che egli non tradirà mai la serietà della scienza; la milizia politica è per lui un dovere: « La mia testa è quella che e; né io posso mutarla. Sono convinto che è mio dovere dedicare una parte della mia attività a promuovere nelle vie che a me sembrano migliori il progresso del mio paese... Forse sono su una falsa via. Ma finché non mi sia convinto che la via è falsa, non posso seguirne un'altra... Quanto al timore che Ella ha di vedermi abbandonare la scienza per la politica, io ho la certezza che esso sarà sempre smentito dai fatti. La mia testa è probabilmente storta; ma è certamente dura ». Anche il suo atteggiamento nella crisi di fine secolo, la sua battagliera posizione di intransigenza, i suoi stessi eccessi ed errori di valutazione, la sua delusione perché l'ostruzionismo dei partiti estremi non è sboccato nella sognata scossa rivoluzionaria ma è approdato al governo Saracco e poi a quello di Zanardelli e Giolitti, sono messi bene in risalto da questo carteggio. Le origini profonde del suo antigiolittismo del primo novecento sono da ricercarsi in questa fortissima speranza di una radicale palingenesi, e nella delusione che necessariamente le tenne dietro. Ma nel suo esasperato odio politico, egli rende pur sempre giustizia all'avversario. E' del 1903 questo suo acuto giudizio su Giolitti (già definito il « ministro della malavita»): *E' una mente solida ed equilibrata della razza del conte di Cavour; ...ha una qualità, poi, che manca a tutti gli uomini di Stato italiani e soprattutto a Sonnino, cioè l'attitudine a osservare freddamente i fatti, a valutare esattamente gli uomini... La grande forza di Giolitti è la conoscenza che egli ha del carattere intimo del movimento democratico italiano ». Affiorano via via dal carteggio i grandi temi del suo pensiero e della sua azione politica: la scoperta di Cattaneo, il federalismo, la questione meridionale, il suffragio universale; i suoi rapporti con Ghisleri, con Turati e la Kuliscioff (che gli scrive lettere bellissime, e gli è spesso politicamente assai vicina), col liberal-radicale Francesco Papafava (la cui statura intellettuale e morale qui appare in splendida luce); il suo straordinario estro polemico, quello che Turati chiamava il suo diable au corps. Il giovane Salvemini si rendeva ben conto dei suoi squilibri e intemperanze; di essere, come diceva argutamente, un « fulmine neurastenico », affetto da «.logorrea epilettica*: ma c'era in lui anche un meraviglioso entusiasmo di fare, una illimitata fiducia in sé. Si sentiva ribollire di idee nuove, ritrovava in sé qualcosa del « cervello di Cattaneo », sognava di scrivere, dopo Magnati e popolani e la Rivoluzione francese (due capolavori) una grande opera sulle origini dell'Italia contemporanea, e insieme di dar vita a nuove forze politiche. Sposandosi a 24 anni, scriveva: « Mi sento forte; son sicuro di vincere nella battaglia della vita ». La tragedia del terremotò di Messina, che lo privò della moglie e dei figli, parve annientarlo. Si riprese con un'eroica tensione di volontà; ma non fu più quello di prima. Si ributtò a capofitto nella lotta; disilluso dal partito socialista, cercò di dar vita a qualcosa di diverso, fuori dei vecchi partiti. Nacque YUnità. Ma fu solo, allora e poi, un mazziniano irrigidirsi, nel dovere. Il 14 febbraio 1910 scriveva a Giustino Fortunato: « La vita non può avere per me più altro scopo, se non quello di dimenticare me stesso in opere che mi leghino agli altri, in attesa che l'ora suprema mi liberi da un peso continuo di dolore ». L'ora sarebbe giunta quasi mezzo secolo dopo. Per tutto questo tempo Salvemini continuò a lottare. A. Galante Garrone G. SALVEMINI: Carteggi. I (1895-1911) - Feltrinelli editore, 1968 - Pag. 568 - L. 5500.

Luoghi citati: Faenza, Italia, Lodi, Messina