Perché Mosca s'è gettata nella tragica avventura di Alberto Ronchey

Perché Mosca s'è gettata nella tragica avventura Dubcek si è ribellato ad accordi segreti? Perché Mosca s'è gettata nella tragica avventura (Dal rcosfo inviato speciale) Vienna, 24 agosto. Dubcek è a Mosca, è a Praga, torna al potere, è ancora prigioniero in un luogo "segreto. Le radio clandestine, i giornali europei, le ambasciate cecoslovacche e sovietiche si contraddicono. Per ora è sicuro che i negoziati del presidente Svoboda a Mosca continuano. Egli doveva tornare stasera a Praga, ma rimane. Forse resiste alle pressioni russe per formare un nuovo governo, e i tre revisionisti che sono con lui resistono. Il Politburo sovietico è discorde, oppure Svoboda è in realtà prigioniero? Ma la posizione dei russi, che ancora operano a Praga arresti in massa, resta difficile oltre ogni previsione. La Cecoslovacchia continua ad opporre agli invasori una resistenza politica unanime, sconvolgente, organizzata nei dettagli in modo impressionante. Basta citare il caso del congresso comunista clandestino che s'è svolto in una fabbrica difesa da operai armati, e il caso del soldato russo che s'è sparato dinanzi al palazzo del Comitato centrale cèco. Sarà costoso ai russi sia procedere, sia tornare indietro. Ma truppe sovietiche e bulgare sono schierate anche sui confini romeni, mentre le Izvestia accusano Ceausescu d'essere con la « controrivoluzione ». Dinanzi a tali vicende, radio Pechino ha annunciato che il governo cinese concede alla Romania l'assicurazione di ogni appoggio militare in caso d'aggressione. I commenti cinesi al sinistro affare cecoslovacco sono atroci per gli uomini del Cremlino, definiti non solo « colonialisti », ma persino « peggiori di Hitler, che almeno sapeva conquistare un paese». La crisi è troppo seria, le prospettive dell'Europa dinanzi alla schiacciante potenza continentale dei nostri tempi sono troppo incerte per non tentare a questo punto, nell'attesa dei fatti nuovi, una ricostruzione su come sono aridate effettivamente le cose finora. La repressione ungherese, nel '56, poteva essere giudicata' come l'ultimo « spasmo staliniano » dei russi. Ma oggi? Lo stadio acuto della controversia con la Cecoslovacchia, suscitata essenzialmente dai timori del virus liberale di Praga, incominciò, oome tutti ricordano, col famoso ultimatum epistolare dei « cinque di Varsavia»: il fragore d'armi lun go tutti i confini, le grandi manovre dal Baltico al Mar Nero, le furibonde polemiche della Pravda, le truppe russe che non partivano dalla Cecoslovacchia, violando gli accordi. Poi ci fu quel treno che andava su e giù da Cierna al territorio russo, con le massime gerarchie moscovite in carrozza d'onore, e ci fu la riconciliazione di Bratislava, Le truppe sovietiche lasciarono la Cecoslovacchia, rinunciando a tutti i possibili pretesti per un nuovo rinvio. Sembrò che fosse finita una semplice « guerra dei nervi ». Niente Monaco, niente Budapest 1956, niente « defenestrazione di Praga » e periodo boemo-palatino d'ima nuova guerra- dei Trent'anni (con l'imperatore sovietico al posto dell'absburgico), ma un'empirica intesa di compromesso. E' possibile che l'invasione fosse già pianificata? Questa ipotesi, o teoria della doppiezza assoluta, non spiega perché le truppe, in quel momento, siano state ritirate dalla Cecoslovacchia, complicando infinitamente le cose e imponendo poi al maresciallo Jakubovskij di ordinare una formale invasione anziché un'azione dall'interno. Non regge all'analisi neppure la tesi complementare che i russi fossero costretti a prender tempo perché non avevano ancora pronto un governo, ossia ima base politica por l'intervento militare: questo governo in realtà non era pronto nemmeno un mese dopo e non è pronto tuttora. Il succedersi degli eventi, più che indicare la coeren¬ za d'un piano predisposto, lascia pensare ad un'affannosa sovrapposizione di orientamenti diversi giorno per giorno. E questo iter tortuoso, a sua volta, legittima l'ipotesi d'un profondo contrasto all'interno del Politburo • e del Comitato Centrale. Varie circostanze confermano tali indizi di instabilità. Tre volte, anzitutto, s'è riunito il Plenum del Comitato centrale sovietico: in aprile, in luglio e da ultimo alla vigilia dell'invasione. Inoltre, durante l'intera vertenza, la « direzione collegiale » sovietica è divenuta sempre più « collegiale », quasi che i suoi membri fossero ossessionati dal bisogno d'essere sempre insieme al tavolo della responsabilità, per controllarsi a vicenda, e rispondere in solido alle obbiezioni. E' stato un crescendo: in marzo andarono al convegno di Dresda Breznev e Kossighin; in luglio andarqno a Varsavia Breznev, Kossighin, Podgorny e Shelest; due settimane dopo non meno di nove membri del Politburo erano a Cierna; e persino alla cerimonia formale di Bratislava vollero essere in cinque (Breznev, Kossighin, Podgorny, Shelest e Suslov). Da ultimo, l'improvvisa convocazione del Plenum a poche ore dall'invasione: il Plenum della decisione finale, o della svolta. L'intervento militare è stato motivato come un'azione di soccorso ai « veri comunisti », autorevoli uomini del governo e del partito, che avrebbero rivolto a Mosca un appello urgente. Ma scegliendo questa motivazione ufficiale dell'intervento, i sovietici hanno messo in una condizione impossibile i firmatari dell'appello. Costoro, se esistono e se sono autorevoli, come la Tass afferma, non hanno potuto più farsi avanti per formare un nuovo governo, se non al prezzo di essere immediatamente identificati come coloro che avevano chiesto l'invasione. Solo un uomo, a questo punto, poteva farsi avanti perché non aveva nulla da perdere: Antonin Novotny, il vecchio padrone staliniano e post-staliniano della Cecoslovacchia, spodestato a gennaio. Ma i dirigenti russi esitano sempre a combattere i nemici nuovi con forze vecchie. I capi che cadono fuori dalla sfera del potere sono fuori e basta. Così fu in Ungheria, dove s'affidarono non a Rakosi, ma a Kadar. Così fu nell'Urss medesima, dove non s'affidarono certo a Molotov per rovesciare Kruscev. Ogni correzione deve avvenire dall'interno del potere, 0 almeno ai margini, mediante uomini di compromesso. Questo è più difficile in Cecoslovacchia, Alla fine, per colmare il vuoto politico e rimediare all'errore, hanno condotto il vecchio presidente Svoboda a Mosca. Un'altra decisione adottata all'apparenza sotto la pressione di controversie convulse, scavando un vuoto per colmarne un altro: infatti i russi ammettono così dinanzi al mondo che solo a Mosca, e non a Praga, si può tentare d'imbastire un governo, una parvenza di potere nazionale per la Cecoslovacchia; solo nel clima secco di Mosca questo è possibile, e non ancora è probabile. Tutta la Cecoslovacchia — se anche Mosca otterrà ciò che vuole — scriverà in cirillico 1 nomi dei ministri che accetteranno l'incarico. Non solo le moltitudini, ma il partito, i sindacati e l'esercito — le tre strutture di massa d'uno Stato comunista — sono all'opposizione in Cecoslovacchia dinanzi alla prospettiva della « risatellizzazione ». Dove sarà possibile reclutare i dirigenti intermedi per uno «Stato di partito » senza più partito? Come sarà possibile fronteggiare la disobbedienza civile su larga scala? Se la Cecoslovacchia di Dubcek diffondeva il virus del dissenso, ora è un paese ingovernabile. Come l'elite del potere sovietico abbia potuto, attraverso le alterne vicende d'uria disputa ignota, impegnare il Politburo su un simile terreno — e nel modo che s'è visto — resterà forse a lungo un mistero. E' probabile, come sostiene Gilas, che i sistemi d'informazione sovietici, così attenti e abili per esempio nei riguardi degli Stati Uniti, siano davvero scadenti nell'interpretare le condizioni e le possibilità effettive dei piccoli paesi (l'errore già commesso in Egitto ne è testimone). E' probabile che la disputa sul «contagio cecoslovacco » nellTJrss, nella Germania di Ulbricht (ma anche di Stoph e Honecker) e nella Polonia di Gomulka (ma anche di Moczar) fosse davvero drammatica. E' probabile poi che le sollecitazioni di Washington per la mediazione russa sul Vietnam, aggravate dalla campagna presidenziale, abbiano contribuito nelle ultime settimane a determinare il clima, in edi il Politburo s'è risolto d'un colpo ad agire. Ora inoltre si sa che i sovietici hanno imputato a Dubcek di aver violato sei accordi segreti conclusi a Cierna e Bratislava. Come ha rivelato da Praga il New York Times, tali impegni riguardavano la censura sulla stampa, il divieto alla formazione di nuovi gruppi politici, il rafforzamento della milizia popolare, la sicurezza dei vecchi novotniani, la fine delle polemiche pubbliche con l'Urss, l'esclusione dei revisionisti Cisar e Kriegel dal gruppo dirigente. In conclusione la Cecoslovacchia, che non ha giungle e risaie (non una storia, una geografia e un'economia da guerriglia), non ha aerei e artiglierie d'importazione, né vicini neutrali come il Cambogia del « sentiero di Ho Ci-min », ma la prudentissima Austria davvero neutrale, affronta la sua disgrazia col solo coraggio politico nella speranza di suscitare anche a Mosca una crisi. Questo si vedrà. Ma le ripercussioni dei fatti trascendono la Cecoslovacchia. Dinanzi a un impero continentale che interpreta in forme così rozze e mutevoli la sua ragion di Stato, mentre le « colonne nere » del KGB affluiscono ancora a Praga, mentre l'America vive fra i dubbi sul « diritto di Yalta », la guerra del Vietnam e un'incerta campagna presidenziale, la sorte di quel piccolo paese pone ancora una volta, in modo stringente, una celebre questione all'Europa. Si tratta di sapere se l'Europa occidentale possa vivere a lungo divisa in tanti piccoli Stati, come un minuto mosaico di francobolli incollato al margine della grande mappa sovietica. Alberto Ronchey