Le scene di violenza sugli schermi sono un vero incitamento al delitto

Le scene di violenza sugli schermi sono un vero incitamento al delitto una cosciente autocensura Le scene di violenza sugli schermi sono un vero incitamento al delitto Per chi è perfettamente equilibrato e maturo, l'effetto può esser addirittura utile, in quanto concede uno sfogo psichico senza conseguenze concrete - Ma per i giovani, gli immaturi, i predisposti, la sollecitazione al male è dimostrabile H cinema, la televisione, ] i fumetti, le riviste illustrate, quando presentino (come frequente avviene) scene di violenza, hanno effetto sui giovani? Ne promuovono essi la turbolenza o la delinquenza? Favoriscono (e qui subentra anche l'insistita componente erotica) il rilassamento dei costumi? Il senso comune dice di sì. Chi scrive è qualche poco, un consumatore di film; si diverte e si riposa con i polizieschi e i western: crede di uscire indenne da questi spettacoli, appunto perché sono lontanissimi dal suo mondo. Ma sarebbe lo stesso se i suoi anni fossero molti di meno, poniamo fossero divisi per cinque? S'egli avesse ancora da scegliere la professione o il mestiere? Se si trovasse in compagnia di coetanei sconsiderati e ozianti, con pochi quattrini in tasca e una grande voglia di averne? Una tale voglia, poi, quelle stesse immagini sembrano stimolarla, con l'andazzo dei tempi. Sui giovani, questi spettacoli, ancorché vietati ai minori di quattordici o di diciotto anni (anzi « rigorosamente » vietati, come si scrive per attirare più gente alle sale), hanno un cattivo effetto. Ma questa può essere una opinione, niente di più. Uno studio sulla copiosa letteratura che il tema ha ispirato, è contenuto in uno dei quaderni del Servizio opinioni della Bai, «La violenza nei mezzi di comunicazione di massa », di Franco Ferracuti e Renato Lazzari (ed. Eri, Torino 1968). . Noi non potremmo seguire gli autori nell'esame della copiosa bibliografìa (sono citate cinquecento pubblicazioni). Passeremo perciò alla parte conclusiva dello studio, inframmettendo alcune osservazioni nostre. Anzitutto si rileva l'inesistenza di prove certe che le scene violente abbiano un effetto criminogeno (sic) diretto e immediato su persone normali; mentre non altrettanto può dirsi per soggetti anormali o predisposti a squilibri psichici. Come si vede, questa cauta conclusione conferma il Bospetto del senso comune: quegli spettacoli sono nocivi. Non si sa se abbiano effetto sulle persone normali; lo hanno quasi sicuramente sugli altri. Chi saprebbe, d'altra parte, distinguere i soggetti normali dagli anormali? Per l'aspetto pratico, sarebbe possibile respingere — ad esempio — dalle sale cinematografiche questi ultimi? Si può dire, guardando attorno fra i conoscenti e magari in se stessi, chi sia normale e chi no? In questo dubbio è già contenuta la condanna delle scene di violenza ed erotiche, che abbondano nell'attuale produzione visiva. Se una percentuale non valutabile degli spettatori si lascia in qualche modo ir retire dallo spettacolo di violenza o di altro, il giudizio ne discende chiaro. Di questo si hanno d'altra parte riprove varie, contenute in inchieste inglesi e americane 6i russe. Quando nell'Unione Sovietica vennero presentati i film di Tarzan (abbastanza innocenti, dopotutto), si ebbe una recrudescenza in certe forme di delinquenza, che scomparve con il ritiro di quei film. In quell'occasione, tra l'altro, dei ragazzi si divertirono ad entrare in casa dalla finestra, dopo essere passati di ramo in ramo, sugli alberi prospicienti. Che le immagini suggeriscano risposte imitative, vediamo anche noi, tra i bimbi, a cui, complici i fabbricanti di giocattoli, da parte di congiunti compiacenti, magari in occasione del Santo Natale o di altre pie festività, si fornisce un copioso armamentario delinquenziale, di pistole e mitra, di cinturoni e abbigliamenti aggressivi, derivati tutti da cinema, televisione e fumetti. II fanciullo, il giovane, mal si sottraggono ad una identificazione con gli eroi di quelle imprese, anche se per un certo pudore ipocrita, nelle storie raccontsfe per immagini, il cattivo incontri sempre il castigo. Crediamo superfluo soffer¬ marci sull'ipotesi che la rappresentazione della violenza possa avere un effetto catartico sugli spettatori; che li scarichi cioè, in modo benefico, di un certo accumulo di aggressività. Non è impossibile che ciò avvenga in qualche caso. Ma assai più sovente si dà che lo spettacolo insegni le tecniche o gli artifizi della violenza, della aggressione, della rapina: e magari in modi allettanti (come nel film Gangster Story, dove violenza e sesso sono presentati, non senza verità, l'uno come sostitutivo dell'altro, in personaggi simpatici, capaci di ispirare imitazione). L'opuscolo consiglia un atteggiamento di autocensura e di selezione nella presentazione delle scene violente: e questa è la raccomandazione conclusiva. Alla quale saremmo lieti di associarci, se avessimo fiducia nelle persone responsabili della produzione e dello spaccio del sesso e della violenza. Questa riserva è legittima, quando si vede, tra l'altro, un certo genere di carta stampata che tappezza le edicole dei giornali. Abusando della libertà di stampa, di quella che si è invocata e sospirata in passato per consent: -> ciascheduno di esprimere le sue opinioni politiche, si diffondono testi e immagini nient'altro che licenziosi. E così, al cinematografo, quanti film densi di problematiche (come si dice), sono poi, a guardar meglio, pretesti per secondare gusti grossi del pubblico. La libertà è diffìcile. C'è chi l'ama e la venera, c'è chi opera o patisce per difenderla o conquistarla (come avviene oggi in circostanze patetiche in Cecoslovacchia, dove tutto un popolo è unito per ripristinare la liberta di stampa); c'è chi con l'abuso la imbratta; e così la rimette in discussione e in pericolo. Dìdimo

Persone citate: Franco Ferracuti, Renato Lazzari

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Torino, Unione Sovietica