La missione "religiosa,, del Papa in un mondo politico tormentato

La missione "religiosa,, del Papa in un mondo politico tormentato SAHA9 iL PIV DIFFICILE VIAGGIO APOSTOLICO DI PAOLO VI La missione "religiosa,, del Papa in un mondo politico tormentato Il Vaticano ha fatto capire che il Pontefice non indicherà scelte politiche e sociali, non prenderà posizione né prò né contro i governi sudamericani - I preti « del dissenso», che accertano la rivoluzione, e nemmeno i dittatori che li combattono, potranno trovare appoggio nella sua visita - In uno scrupolo di neutralità, «L'Osservatore Romano» ha persino censurato l'omelia del card. Lercaro - Ma tutti i problemi scottanti dell'America Latina saranno affrontati nella conferenza dei seicento vescovi - Il documento di lavoro preparato da novanta sacerdoti è esplicito: contro intollerabili ingiustizie, la violenza può essere «giusta» Roma, 20 agosto. Ha perfettamente ragione L'Osservatore Romano che oggi pubblica un editoriale del suo direttore Raimondo Manzini, ispirato a disperdere ogni attesa, o illusione, che Paolo VI a Bogotà non si limiti a pronunciare parole di fede, di infervoramento religioso, di carità, di pace e di giustizia, ma silasci andare ad impartire diiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiniiiii rettìve o a parteggiare nel campo degli ordinamenti terreni, così inserendosi nei problemi profani che affliggono le popolazioni della America Latina: « Si direbbe — nota Manzini con sorpresa — che ciò che si attende dal Papa pellegrino ad un altare eucaristico è il verdetto sulle scelte politiche e sociali ». Nulla di tutto questo c'è da attendersi. Il Papa parlerà, come è solito, tanto dal suo seggio romano quanto in occasione di viaggi all'estero, di cose trascendenti la condizione umana, e nei contingenti rapporti che gli toccherà di avere con le autorità del continente sudamericano egli si atterrà al comportamento protocollare che è solito seguire in circostanze simili, cioè « di deferenza quanto di indipendenza, in un senso e nell'altro ». Si vuole insomma impedire che da una parte e dall'altra si cerchi di strumentalizzare il viaggio del Papa. Né i sacerdoti del dissenso, tanto numerosi nell'America Latina, dovranno annettersi Paolo VI; né i dittatori, i tiranni e tutti i gorillas di quel povero subcontinente trarre pretesto dal suo viaggio per rafforzare le loro posizioni di dominio. Può darsi che risulti più difficile evitare questo secondo rischio, anziché il primo. Per ovvie ragioni di protocollo, oltre che di deferenza, Paolo VI difattì dovrà « accettare l'omaggio di governanti al servizio del capitalismo che ci rende schiavi e ci mantiene sottomessi in condizioni di abbi ezio ne », ha scrìtto, mesi or sono, monsignor German Guzman Campos, un sacerdote sociologo, erede spirituale di don Camilo Torres, il prete guerrigliero colombiano. « Verrà in terre — proseguiva la lettera — dove la violenza ha versato il sangue di milioni di uomini, per colpa di dirigenti ipocriti ed egoisti, dai quali il nostro fratello Paolo riceverà manifestazioni di adesione e lealtà a una credenza religiosa da essi sfruttata con abominevole cinismo. Verrà a conversare con chi imprigiona e perseguita ì sacerdoti di Cristo, rei di essersi impegnati nella contestazione dell'ingiustizia e di essersi ribellati a favore degli umili, mentre i pastori e i diplomatici sfileranno con fasto e ostentazione fra soldati addestrati ad uccidere i poveri ». Comunque santi e pasto- rali siano i propositi del Papa, è scarso il margine di dubbio circa le intenzioni di uno sfruttamento bene orchestrato da parte dei potenti e dei gorillas. Sull'altro fronte, del resto, le moltitudini dei noveri e le élites dei sacerdoti progressisti sono schierate su posizioni che nessun Papa può condividere, e che da Paolo VI sono state apertamente condannate. Sono posizioni rivoluzionarie da dove si pratica la violenza e la si predica, e anzi si cerca di elaborare, con impegno approfondito di una larga parte del clero cattolico sudamericano, addirittura una « teologia della violenza ». « Violenza o non violenza? Evoluzione o rivoluzione? », si domanda preoccupato L'Osservatore nomano, rispondendo che i più solenni documenti della Chiesa hanno già risolto il quesito, nel senso immaginabile. Di Paolo VI, per chi avesse alcun dubbio sulle sue disposizioni personali, sì ricorda che fin dal 25 novembre 1965, in un discorso indirizzato appunto ai Vescovi dell'America Latina, deplorò che tra le forze disgregatrici dell'unità religiosa, morale e sociale, la più dannosa resta quella del « marxismo ateo che con il suo messianesimo fa del progresso umano un mito, e sui beni economici e temporali fonda ogni speranza, determina un ateismo dottrinale e pratico; propugna e prepara la rivoluzione violenta quale unico mezzo per la soluzione dei problemi ». Anche la Civiltà Cattolica nel suo ultimo numero (Quad. 2835-2836 del 3-17 agosto) ha scritto che purtroppo si fa strada « la fallace prospettiva » che per superare le difficoltà dell'America Latina « non resti che la rivoluzione violenta, e qua e là si vanno organizzando nuclei di guerriglieri, decisi a far ricorso alla forza. L'idea della rivoluzione tenta anche molti cattolici, i quali non esitano a porsi sulla scia di Camilo Torres e di " Che " Guevara, nella convinzione che oggi la carità cristiana nell'America Latina passi per la rivoluzione violenta ». Ciò non può essere ovviamente condiviso da Paolo VI, e non è senza significato che L'Osservatore Romano abbia oggi espurgato l'omelia, pronunciata dal card. Lercaro al suo arrivo a Bogotà l'altro ieri, di tutti quei passi in cui egli parlava di una prepotenza degli ingiusti che grida vendetta al cospetto di Dio. In tre colonne dell'Osservatore, di Lercaro è citata solo la prosa di ispirazione edificante, eucaristica e mistica. Mancano invece le sue appassionate citazioni dal Vangelo di Luca sulla necessità della giustizia distributiva (« Chi ha due vesti ne dia una a chi non ne ha, e similmente faccia chi ha da mangiare », 3/9) e da quello di Matteo, contro l'egoismo di Farisei e Sadducei <« Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire dall'ira futura?... Imperocché la scure è posta alla radice degli alberi; ogni Ibero, dunque, che non dà buon frutto, sta per essere tagliato e gittato nel fuoco», 10/7 e 10). Come aveva promesso in partenza da Roma, facendone anzi la condizione per accettare l'incarico di legato a latere, Lercaro ha dunque « parlato » il giorno stesso del suo arrivo, e precisamente nel senso che il clero progressista si attendeva. E' il senso presagito, fino dal 25 maggio 1968, dall'arcivescovo brasiliano di Olindo e Recife, monsignor Helder Camera, il quale ammetteva che « si possa parlare e si possa agire in termini di violenza liberatrice, di violenza redentrice. Io rispetto coloro che, in coscienza, si sono sentiti in obbligo di optare per la violenza: non la troppo facile violenza dei guerriglieri da salotto, ma di quelli che hanno sacrificato la vita. Ma io vi dico — concludeva amaramente — che se si avrà un'esplosione di violenza in America Latina, potete star sicuri che 1 grandi arriveranno, anche senza dichiarazione di guerra, e noi avremo un altro Vietnam ». Presumibilmente, è così che si spiega la cautela vaticana e dello stesso Papa, che per suo conto si limiterà in Colombia a parlare di fede, speranza e carità, le virtù teologali che in un mondo realmente cristiano basterebbero alla soluzione di tutti i problemi e che nel quadro di un congresso eucaristico sono di fatto ì temi più appropriati. L'ultimo giorno della sua permanenza, sabato 24, egli comunque insedierà solennemente la seconda conferenza generale dell'episcopato latino americano, destinata ad aprirsi lunedì 26 a Medellin, capitale dello Stato di Antioquia, orgogliosamente chiamata « la Milano della Colombia ». I presuli vi converranno a bordo di molti jets (Paolo VI frattanto sarà tornato a Roma) e vi dibatteranno l'argomento proibito della teologia della violenza. L'avvenimento grosso e forse decisivo per le sorti della Chiesa nell'America Latina è atteso dunque a Medellin, in sede di « Consejo episcopal» e non a Bogotà nell'occasione del Congresso eucaristico, che sarà ritualmente solenne e edificante, e del quale è fin d'ora assicurato « il successo esteriore, la pompa tonante, la sontuosa conclusione », come ha già scritto al Papa mons. Guzman. L'ordine sarà garantito da 14.000 uomini di truppa, al comando del generale Jaime Fajardo Pinzon, nominato « governatore del terreno eucaristico ». Ma a Medellin sarà diverso, tra seicento vescovi che si affronteranno in libertà, con indubbia passione. Un «documento di lavoro», che reca già novanta firme, è stato elaborato da sacerdoti di diciannove Paesi. Intitolato «La realtà latino-americana», è denso di massime, fitto di cifre, sociologicamente ragionato, statisticamente corredato. Il conservatore arcivescovo di Bogotà, monsignor Allibai Munoz Duque, lo ha definito una « eresia marxista »: Quello di Medellin, Tulio Boterò Salazar, « profondamente realistico ». Per il presidente del Consiglio episcopale, il brasiliano Avelar Brandao Vilela, vescovo di Teresina, è un testo che è « lungi dall'essere perfetto » ma buona base di discussione. Essenzialmente vi si legge: « Non c'è alternativa tra conservazione « cambiamento, ma fra cambiamento violento e cambiamento pacifico ». Alla possibilità di quest'ultimo, gli estensori del documento mostrano di credere poco: « Non c'è da meravigliarsi che l'America Latina sia esposta alla tentazione della violenza. Di fronte a tante ingiustizie sociali, diventano sempre più numerosi coloro che non sono più disposti ad accettarle e che, se necessario, sono pronti a ricorrere alla violenza per eliminarle ». Se qualcosa stupisce è che la violenza non sia ancora scoppiata, e quindi i presuli propongono una solenne affermazione collegiale che distingua « la violenza ingiusta degli oppressori, che difendono un sistema nefasto, dalla violenza alla quale gli oppressi sono costretti a fare ricorso in difesa della propria libertà ». La cosiddetta teologia della violenza sarebbe dunque tutta qui, diretta a riconoscere una «violenza giusta» per legittima difesa, come per secoli la Chiesa ha fatto distinzione fra guerre giuste e guerre ingiuste. Si immaginava che la questione fosse stata risolta o superata dai documenti conciliari e varie enciclk che fMater et Magistra, Pa> cem in Terris, Populorum progressioj ed invece in America Latina essa torna a proporsi in maniera drammatica. Vittorio Gorresl© La Paz =7 (ri