Johnson dice: Non ordinerò la fine dei bombardamenti di Nicola Caracciolo

Johnson dice: Non ordinerò la fine dei bombardamenti Johnson dice: Non ordinerò la fine dei bombardamenti Il Presidente dichiara contropartite sarebbe dati - Gravi contrasti : Sospendere gli attacchi aerei e le altre azioni di guerra senza precise un « gesto sconsiderato » - Metteremmo in pericolo la vita dei nostri sottra i democratici: le «colombe» chiedono il ripudio dell'attuale politica (Dal nostro corrispondente) Washington, 20 agosto. Il presidente Johnson ha riaffermato in un discorso a Detroit una linea estremamente rigida per il Vietnam. La sua presa di posizione va messa in rapporto con le discussioni che stanno avendo luogo a Washington sempre sul Vietnam nella commis sione per il programma del partito democratico. Le « colombe » chiedono che il partito rompa con la politica passata e faccia uno sforzo deciso per giungere alla pace. Il vicepresidente Humphrey — il favorito per la nomina a candidato — ha lasciato in- tendere di essere disposto in qualche maniera — non ben specificata tuttavia — a cercare un compromesso con i pacifisti. L'intervento di Johnson taglia corto a queste voci. Il Presidente, pur senza citarlo esplicitamente, ha risposto no a tutte le proposte avanzate in questi giorni dal candidato pacifista Eugene Me Carthy. Interrompere i bombardamenti contro il Nord Vietnam, senza ottenere in cambio precise contropartite dagli avversari sarebbe, ha detto, « un gesto sconsiderato». Lo stesso vale per le operazioni militari di <t ricerca e distruzione » (rastrellamenti cioè) all'interno del Sud Vietnam. McCarthy tre giorni fa aveva presentato un piano per la pace che prevede appunto l'interruzione dei bombardamenti contro il Nord Vietnam, la formazione di un governo di coalizione del quale faccia parte anche il Vietcong, ritiro delle truppe americane e nord vietnamite ed elezioni sotto supervisione internazionale. Johnson ha respinto totalmente questa impostazione. Per Humphrey che ha già, sembrerebbe, una maggioran¬ za di delegati alla Convenzione di Chicago che si aprirà la settimana prossima, l'alternativa è drammatica: accettare l'impostazione del Presidente significa rinunciare a ogni possibilità di riunire il partito in vista delle elezioni. D'altra parte, gli è .semplicemente impossibile dissociarsi da un'Amministrazione della quale ha fatto pur parte e con la quale, almeno in pubblico, non ha mai avuto contrasti. Anzi per un certo periodo Humphrey ha trovato modo di difendere la guerra con molto più entusiasmo che non lo stesso Johnson. Il Presidente ad ogni modo ha parlato chiaro. A questo punto, ha sostenuto, tocca al Nord Vietnam rispondere alle iniziative di pace americane. Gli Stati Uniti non hanno l'intenzione di de-escalare ulteriormente la guerra perché in assenza di promesse precise da parte di Hanoi ciò significherebbe mettere in pericolo la vita dei soldati americani. D'altra parte gli scopi di guerra degli Stati Uniti non sono cambiati: gli Stati Uniti vogliono che, secondo prevedono gli accordi di Ginevra del 1954, il Sud e il Nord Vietnam vengano separati dalla zona smilitarizzata sul 17° parallelo. Quindi «il popolo del Nord Vietnam e il popolo del Sud Vietnam » devono autonomamente decidere del loro futuro, per mezzo di libere elezioni. E' questo il centro del dissenso tra Johnson e le « colombe ». I pacifisti sostengono che nel Vietnam non ci sono mai state elezioni libere e che sperare che i guerriglieri depongano le armi per partecipare ad elezioni organizzate dall'attuale governo è totalmente assurdo. Non è possibile, secondo il loro punto di vista, giungere alla pace se non con un compromesso che in sostanza significa spartizione del potere. E' un argomento che ha una certa logica: infatti il principale degli avversari del generale Thieu alle elezioni presidenziali nel Sud Vietnam, Dsu — che era neutralista e non filocomunista — sta ora in prigione dopo essere stato condannato a cinque anni di lavori forzati e alla confisca di tutti i beni. Non si vede cioè per quali ragioni Johnson si ostina a definire democratico il regime dei generali di Saigon. Comunque a questa impostazione il Presidente non rinuncia. E' tornato infatti a insistere sulla teoria del domino. Se gli americani accetteranno una pace non onorevole, ha detto, i comunisti si impadronirebbero rapidamente del Laos, della Cambogia, della Malesia, dell'Indonesia e forse anche delle Filippine costringendo gli Stati Uniti a ritirarsi « fino a Honolulu ». A tutte le iniziative di pace americane (l'ultima interruzione parziale dei bombardamenti, le precedenti tregue aeree) il Nord Vietnam, secondo Johnson, ha sempre risposto negativamente. In questa situazione gli Stati Uniti non possono fare altro, è stata la conclusione del discorso, che continuare a combattere. Nicola Caracciolo

Persone citate: Carthy, Johnson, Thieu