La dilesa dei contadini dalle calamità naturali

La dilesa dei contadini dalle calamità naturali LETTERE AL DIRETTORE La dilesa dei contadini dalle calamità naturali Il Parlamento ha approvato una giusta legge a favore delle aziende (meridionali) colpite da siccità ; si provveda ora a quelle (settentrionali) danneggiate dalla grandine Signor Direttore, nel ringraziarla per l'assiduità con cui « La Stampa », ormai da molti anni, ripropone all'attenzione dei governanti, il problema dei danni causati all'agricoltura dalla grandine e dalle altre calamità atmosferiche, mi preme evidenziare un fatto nuovo. Invero il governo ha proposto e il Parlamento approvato (tramite le Commissioni Agricoltura del Senato e della Camera in sede deliberante) la legge sui provvedimenti a favore delle aziende agricole colpite dalla siccità. Detta legge è praticamente uno stralcio settoriale, a favore di determinate regioni, da quell'insieme di provvedimenti che vengono di consueto invocati sotto il titolo di « Fondo di solidarietà nazionale contro le calamità (o avversità) atmosferiche ». Introduce alcuni motivi di sostanziale novità, quali 11 risarcimento per eventi dannosi pur non recanti pregiudizio alle strutture agrarie e fondiarie (eliminando una limitazione che, in precedenza, aveva sempre escluso le zone grandinate dai benefici dell'art. 1 della legge n. 739) e la sovvenzione per la mancata produzione. Aggiungasi la deroga al principio della alternatività che non consentiva, abitualmente, di acquisire contemporaneamente contributi e crediti; la nuova legge, infatti, all'art. 1 concede prestiti quinquennali, al tasso dello 0,50 per cento, per l'acquisto di foraggi, mangimi e lettimi e per altre occorrenze relative all'allevamento del bestiame per l'intero ammontare del prezzo di acquisto, con addebito ai mutuatari del solo 60 per cento del prezzo stesso. Quanto sopra per un tipo di intervento sulla cui priorità si potrebbe fondatamente disquisire, specie se si considera che lo stesso programma di sviluppo dell'Unione Sovietica (paese di più cospicue possibilità di intervento che non il nostro) prevede prioritariamente, in una proiezione di tempo lungo, estesa fino al 1980, interventi a difesa contro i danni operati da altri agenti naturali, e si propone invece contro la siccità il puro ricorso a misure di natura tecnica, quali la riconversione e la selezione delle culture. I parlamentari settentrionali delle due Commissioni Agricoltura, tra cui lo scrivente, hanno approvato la legge in oggetto in ossequio a un principio di solidarietà verso i contadini meridionali colpiti dalla siccità, confidando però che, nel quadro dei principi innovativi sanciti dal recente provvedimento, venga in termini brevi varata una nuova legge relativa agli agenti atmosferici contro 1 quali, da anni, i nostri agricoltori invocano, invano, tutela. In questa pausa dei lavori parlamentari « La Stampa » farà opera preziosa nell'interesse dei nostri agricoltori se insisterà, anche alla luce dei concetti su esposti, nella campagna intrapresa e tanto lodevolmente perseguita, a difesa dei nostri grandinati. Senatore prof. Giovanni Boano Gli apprendisti nelle aziende Signor Direttore, tramite le rubriche de « La Stampa », « Specchio dei tempi » oppure « Lettere al Direttore », pensando sia la sede più adatta, vorrei fare notar^ ai ministri competenti ed al governo di centro-sinistra che la proposta, e peggio ancora l'approvazione, della legge n. 424 del 2 aprile 1968 sulla cosiddetta « tutela del lavoro minorile e dell'apprendistato », ha ottenuto lo scopo che forse si prefiggeva il presentatore, e cioè far morire le aziende artigiane e le piccole aziende. MI spiego: la legge 424 dispone che per l'assunzione di un apprendista la ditta deve avere un operaio almeno qualificato e così tanti apprendisti tanti operai. Ora vorrei chiedere ai signori ministri Bosco e Andreotti (persone ritenute competenti vista la riconferma nel governo Leone agli stessi dicasteri) di spiegare il perché di questa legge e come può un'azienda artigiana assumere un operaio per ogni apprendista. Le nostre aziende vivono col sacrificio non indifferente del titolare il quale si assume anche l'incarico, oltre a tutti gli altri, di fare da maestro a questi ragazzi quindicenni, paragonabili ai bimbi della prima elementa- re in quanto a capacità lavorativa. Pensano forse che l'operaio abbia voglia d'insegnare il mestiere e non piuttosto di farsi tranquillamente il proprio lavoro? Considerando ancora che la grande e media industria non assume, se non in piccola percentuale per le sue scuole aziendali, 1 giovani che finiscono gli studi d'obbligo, dove andranno a finire queste masse di ragazzi? Per le strade, nei bar o peggio ancora a scippare qualche borsa per procurarsi un po' di denaro? Vedano i ministri interessati di fare modificare questa legge, tenendo presente che quasi tutti gli operai specializzati e qualificati sono usciti dalle nostre aziende a struttura artigianale. N. B. - In caso di pubblicazione Vi prego di omettere il nome, onde evitare che l'Ispettorato invii subito qualche funzionario a fare delle contestazioni. 0 Come difendere Lanzo Torinese Signor Direttore, più volte « La Stampa » si è occupata negli scorsi anni della difesa paesistica di Lanzo Torinese, accogliendo anche gli appelli di autorevoli architetti e urbanisti e del Sindaco stesso il quale, con rara ed ammirevole iniziativa, chiedeva l'aiuto ed il consiglio di personalità competenti per salvare il bellissimo Comune da lui amministrato dalla speculazione edilizia e per un illuminato assetto programmatico del territorio in vista della formulazione del Piano regolatore. Ricordo che l'eminente critico Marziano Bernardi scrisse un ampio elogio dell'iniziativa del Sindaco, alla quale anch'io avevo aderito con entusiasmo. Purtroppo, come sovente accade in Italia alle belle imprese, dopo un festoso banchetto inaugurale con illustri invitati, il Comitato che doveva scaturirne non fu mai costituito. Apprendo ora-che, mentre Lanzo è ancora sprovvista di Piano regolatore, si sta dando inizio, ai limiti del perimetro vincolato dalla Soprintendenza, ad una nuova costruzione che, con la sua mole di cinque piani, deturperà gravemente il profilo del vecchio nucleo e di quello antico, innalzandosi su quello che era un parco privato con grandi alberi secolari, molti dei quali sono già stati abbattuti. Il caso di Lanzo Torinese è uno dei tanti di cui dovranno occuparsi gli storici delle prossime generazioni, allorché si farà il consuntivo critico delle vicende della nostra epoca: buoni propositi sfumati sotto le pressioni più disparate, visibili e occulte; intelligenti anche se tardive determinazioni (vedasi la legge 765, meglio nota col nome di « legge ponte », nel campo dell'urbanistica), frustrate dalla incapacità di renderle operanti e dall'opposta volontà di eluderle da parte delle pubbliche autorità e dei privati interessati; paura di fare torti, più presunti che reali, e di perdere le simpatie dei cosiddetti benpensanti; disordine e confusione in settori delicati e importantissimi quali quelli, appunto, dell'assetto territoriale, che riguardano indistintamente la totalità dei cittadini. I risultati sono nelle cose che tutti vedono, soffrendone, fuorché — sembra — coloro che hanno responsabilità di potere. La legge 765, ad esempio, imponeva ai Comuni di perimetrare i centri abitati e, in particolare, di definire gli agglomerati urbani antichi, ivi comprese le aree limitrofe, essenziali a salvaguardare i valori ambientali e paesaggistici degli agglomerati stessi. Quest'ultimo disposto diventava subito operante, non appena deliberato dal Comune; comportava la tutela integrale delle zone perimetrale e la inedificabilità delle aree libere in esse esistenti fino alla approvazione del Piano regolatore. Pareva, insomma, che si fosse finalmente capito che era giunto il momento di fare sul serio in tema di salvaguardia dei nostri antichi centri, soprattutto minori. Orbene, dacché è venuta quella legge è successo esattamente il contrario di ciò che. essa si proponeva; c'è stata anzi una spinta in avanti per accelerare il processo di distruzione avviato negli anni trascorsi. A Lanzo è il condominio di cinque piani; a Chivasso una grande casa di sette piani nella centralissima via maestra, a due passi dal Duomo quattrocentesco e tutta una cortina di altri condomini eretti sulle aree delle fortificazioni meridionali; a Bistagno (1000 abitanti) un edificio di dieci piani di fronte alla singolare struttura triangolare del centro antico. L'elenco potrebbe continuare a lungo e vi si dovrebbe comprendere la maggior parte dei Comuni italiani. E' certo penoso e sconcertante constatare tanta improvvidenza e così sicura e cieca decisione nello strozzare con le nostre mani quelle testimonianze che ci sono state date in consegna dalle generazioni che ci hanno preceduti: patrimonio irripetibile che ci ha procurato notorietà nel mondo e che va in sfacelo a causa dell'Incoscienza, della ignoranza e, spesso, del disprezzo in cui è tenuto da parte di chi più avrebbe il dovere di tutelarlo. Rimane tuttavia la speranza, e l'attesa, che si muovano finalmente nel verso giusto i nostri reggitori, rispettando le leggi (che ci sono) e facendole rispettare. Grazie per l'ospitalità e vive cordialità. Prog. Giampiero Vigliano (Presidente della Sezione Torinese di Italia Nostra) Torino, 29 luglio 1968.

Persone citate: Andreotti, Giampiero Vigliano, Giovanni Boano, Marziano Bernardi