I bambini non sono protetti da abusi e maltrattamenti

I bambini non sono protetti da abusi e maltrattamenti GLI «ECCESSI» IME! «MEZZI DI CORREZIONE» I bambini non sono protetti da abusi e maltrattamenti Il nostro Codice si fonda su concezioni ormai respinte dagli psicologi, dagli educatori, dalla coscienza internazionale - Ammette mezzi punitivi, che possono umiliare e danneggiare la personalità infantile interviene solo contro le sevizie, ma le punisce con una indulgenza intollerabile - Tutta la legge è da rifare Un recente convegno a Roma sulla situazione del bambino in famiglia e in istituto con particolare riguardo alla liceità, o no, delle punizioni corporali, ha dimostrato la concezione anacronistica, del tutto superata alla luce delle moderne conquiste pedagogiche, che pervade tuttora il nostro codice penale. E' una concezione ancorata a una triste- storia di atrocità e di orrori, risalente a epoche fortunatamente scomparse, nelle quali i poteri di coercizione del pater familias giungevano fino al diritto di vita e di morte. L'art. 571 contempla l'abuso dei mezzi di correzione o di disciplina e sancisce che chiunque abusa di tali mezzi in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza, o custodia, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi; se deriva una lesione personale grave o gravissima, è punito con le pene previste per tali lesioni (rispettivamente da tre a sette anni, o da sei a dodici anni), ma ridotte a un terzo; se deriva la morte, si applica la reclusione da tre ad otto anni. Dunque, la morte inflitta dal genitore o dal cosiddetto educatore al fanciullo è considerata dalla nostra legge reato molto meno grave di un omicidio preterintenzionale, e desta meraviglia che cosi aberrante norma e sì importante problema non siano stati ancora oggetto di attente considerazioni per una sollecita riforma. La legge ammette, in buona sostanza, da parte di chi esercita una autorità disciplinare sul fanciullo la liceità dei mezzi di coercizione, anche se concretantisi in manifestazioni di violenza (compressione fisica, morale, psichica), purché non ne derivi il pericolo (la probabilità) di una malattia nel corpo o nella mente. E' reato, infatti, solo l'abuso di tali mezzi, cioè l'eccesso nell'uso di un mezzo di correzione inizialmente lecito, consentito per legge; se il mezzo non è lecito, se esiste un espresso divieto della legge (ad es. il regolamento scolastico non contempla le percosse come specie di punizione), se la finalità non e di correggere, se i mezzi usati sono per loro natura diretti ad altro scopo (non destinati alla correzione), se vengono attuati con modalità non ammesse che ne snaturino l'essenza, si ha il reato di lesioni comuni. Ma se l'uso dei mezzi di correzione viene attuato nei casi in cui è giuridicamente consentito, se si estrinseca con mezzi per loro natura a ciò destinati — sempreché l'azione dell'educatore - si ispiri a finalità di correzione, e purché contenuta nei limiti di non insorgenza del pericolo di malattia — tale uso è lecito. Pertanto, le lievi violenze, le ingiurie sono lecite; l'eventuale eccesso diventa reato solo se sfocia in una situazione di pericolo di malattia o, peggio, se procura una lesione o la morte, ma tali funeste conseguenze sono punite con pene irrisorie, inidonee a reprimere efficacemente gli eccessi, a scoraggiare i violenti che scaricano sui deboli, soli, indifesi bambini, i proprii bassi istinti. Lo stesso limite della non insorgenza di una malattia non tutela affatto il diritto del bambino alla sua integrità e lascia impunita tutta una serie di violenze fisiche e morali. Cioè son leciti tutti quei mezzi di coercizione che comprimono il corpo e la psiche del bambino, senza assurgere a pericolo di malattia, ma che pongono in essere stupide crudeltà e cattiverie e si traducono in unp sfruttamento od in una umiliazione del bambino e ne ledono l'umana dignità. Riforme, dunque, si impongono. Anzitutto, il nostro Paese deve porsi al livello dei principii fondamentali della dichiarazione dei dirit¬ ti del fanciullo, approvata dall'Onu e alla quale si è data pure da noi piena adesione, principii che proclamano l'esigenza dello sviluppo armonioso della personalità del fanciullo, il suo bisogno di amore e di comprensione, di vivere in una atmosfera di sicurezza materiale e morale, e soprattutto il diritto di essere protetto da ogni forma di sfruttamento o crudeltà. In secondo luogo, il nostro Paese deve adeguarsi alle moderne concezioni scientifiche socio-pedagogiche, universalmente accettate, che non solo hanno dimostrato l'assoluta inutilità della violenza come mezzo di educazione o strumento di correzione, ma hanno bandito i castighi corporali, insistendo sul principio che ogni azione disciplinare deve tendere esclusivamente a finalità educative. Ripetute inchieste hanno dimostrato le gravi conseguenze che si producono nell'animo dei fanciulli sottoposti a violenze. La violenza non può mai essere fonte di bene, non corregge, ma deprime, umilia, fa sorgere sentimenti di ribellione e di astio verso le persone che avrebbero dovuto dimostrarsi degne del nostro amore, determina quindi effetti deleteri. In terzo luogo, dovrebbero essere severamente colpiti gli eccessi punitivi. Né si opponga che la delinquenza precoce minorile, che troppo sovente si manifesta, costituisce una smentita a questa presa di posizione. La delinquenza minorile, infatti, è frutto di una mancata educazione, e contro i genitori dimentichi dei loro doveri dovrebbero in primo luogo indirizzarsi le sanzioni punitive, talché, giustamente, in alcuni Paesi americani, ad es., i genitori sono chiamati corresponsa¬ bili delle malefatte dèi figli che per incoscienza hanno lasciati privi di cure e di assistenza. Considerare il bene del fanciullo quale primo bene da salvaguardare, questo deve essere il preminente scopo del legislatore a tutela dell'infanzia e della società stessa. Emilio Germano

Persone citate: Emilio Germano

Luoghi citati: Roma