Il P. M. chiede tre incriminazioni per il delitto di via Gatteschi

Il P. M. chiede tre incriminazioni per il delitto di via Gatteschi (Nostro servizio particolare) Roma, 15 luglio. I rapinatori dei fratelli Menegazzo giunsero in via Gatteschi, la sera del 17 gennaio 1967, a bordo di due vetture: la « Giulia » scura era guidata da Leonardo Cimino; Francesco Mangiavillano pilotava una « Simca ». Il « capo » era quest'ultimo, tutti gli altri avevano compiti precisi e cronometrici. Cimino e Franco Torreggiane con le armi in pugno, dovevano fermare Silvano e Gabriele Menegazzo; Mario Loria avrebbe dovuto portar via dalle mani dei due fratelli le valigie col campionario dei preziosi. II p.m. Carlo Santoloci si è fatto un quadro chiarissimo del sanguinoso assalto di via Gatteschi: nelle richieste di rinvio a giudizio, proposte al giudice istruttore dottor Antonio Alibrandi, ha descritto le fasi della rapina con mi nutezza di particolari motivando anche la spinta psicologica che agì su ciascuno dei quattro partecipanti. Man giavillano, Torreggiani e Lo ria dovrebbero essere incriminati per concorso in du plice omicidio a scopo di ra pina. Il magistrato ha chie sto il rinvio a giudizio anche per altri sette personaggi mi nori, sotto le accuse di favoreggiamento o ricettazione. La morte di Leonardo Cimino, deceduto la notte dello scorso Natale dopo nove mesi di agonia, ha ovviamente provocato l'estinzione di ogni reato a suo carico. Franco Torreggiani: «individuo quanto mai falso — scrive il dottor Santoloci nel motivare le richieste — viscido, untuoso, di una intelligenza più che mediocre ». Si è deciso a confessare soltan to quando le prove erano or mai schiaccianti. Non solo: confessò unicamente per po ter presentare al magistrato una versione dei fatti addo mesticata alle sue esigenze. Egli in sostanza ammette la partecipazione alla rapina, ma tenta di prospettarla come uno scippo, degenerato in un evento criminoso ben più grave per circostanze im prevedibili e a lui in nessun modo imputabili. Torreggia ni — continua il p.m. — ac cusa Cimino, perché lo sa moribondo. Invece, anche lui Il P. M. chiede tre incriminazioni per il delitto di via Gatteschi Mangiavillano, Torreggiarli e Loria dovrebbero rispondere di duplice omicidio a scopo di rapina - Proposto il rinvio a giudizio di altri sette imputati minori L'UCCISIONE BEI rHATBLLl MENEGAZZO era armato; ma si servi della pistola soltanto come corpo contundente, vibrando alcuni colpi col calcio alla fronte di Silvano Menegazzo. Francesco Mangiavillano: « individuo intelligentissimo, orgoglioso, autoritario, la evi forte personalità dominava quella dei tre complici ». Fu il « regista » della rapina, che ideò ed organizzò nei minimi particolari, assegnando a ciascuno compiti precisi. Si incaricò poi di piazzare la maggior parte dei preziosi rapinati, facendo probabilmente « la parte del leone nel la ripartizione degli utili ». Le prove nei suoi confronti sono costituite dalla chiamata di correo di Torreggiani, dalla sua fuga all'estero, dall'opposizione all'estradizione, dall'improvviso arricchimento, dal rifiuto a svelare l'alibi relativo alla sera della ra pina. Mario Loria: « sotto una apparente maschera di timi¬ dezza e sotto un paio di occhi stralunati, nasconde una astuzia non comune e una esperienza criminosa che non sfigura a cospetto della ana Ioga esperienza dei tre complici ». In Torreggiani egli ha trovato il più accanito dei difensori e, di ciò, il p.m. non sa dare una spiegazione. Quanto alle prove di colpevolezza, invece, ve ne sono a sufficienza: riconoscimento operato dalla « supertestimone » Angela Fiorentini, la vecchia amicizia con Cimino e Torreggiani, la sua presenza in via Puoti al momento dell'arresto di Cimino e Torreggiani, la scarsa attendibilità dell'alibi fornito (la sera della rapina « era in gita con un amico »). Leonardo Cimino: « è un bandito spietato, cinico e san guinario: i suoi occhi truci sprizzeranno odio e livore fino all'atto della morte ». Fu lui ad uccidere i fratelli Me negazzo, esplodendo sette col¬ pi di pistola da distanza ravvicinata. Troppe le prove a suo carico per avere il minimo dubbio sulla sua responsabilità: i riconoscimenti di varie persone, la chiamata di correo di Torreggiani, la perizia balistica, l'essersi rifugiato nella casupola di via Puoti insieme con i complici, il ritrovamento di parte del bottino nelle adiacenze del rifugio. r. a.

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