Chi sono i giovani pacifisti che hanno scosso l'America di Nicola Caracciolo

Chi sono i giovani pacifisti che hanno scosso l'America Una protesta studentesca diversa da quella europea Chi sono i giovani pacifisti che hanno scosso l'America Erano poche migliaia; ora sono tanto forti da poter sperare di portare il loro candidato (McCarthy) alla Casa Bianca - La loro azione ha dato risultati concreti: hanno suscitato un movimento di opinione pubblica tale da costringere il governo di Washington a porre fine all'«escalaiion» in Vietnam (Dal nostro corrispondente) Washington, 6 luglio. n movimento pacifista negli Stati Uniti ha avuto inizi incerti, quasi clandestini. Oggi rappresenta una forza imponente che ha letteralmente sconvolto, nel giro di pochi mesi, i termini della lotta politica e che può addirittura sperare (benché la cosa non appaia probabile) di portare il proprio leader Eugene McCarthy alla Casa Bianca. In gran parte dei Paesi industrialmente avanzati, gli studenti quest'anno si sono fatti sentire. In Francia, in Italia, nella Germania Occidentale, in Cecoslovacchia, in Polonia, dovunque si sono messi all'opposizione rispetto allo Stato e alla società cosi com'è costituita. In questo gli studenti americani non sono stati diversi dai loro colleghi europei. Negli Stati Uniti, tuttavia, essi hanno mantenuto la loro battaglia all'interno del tradizionale sistema democratico, con risultati molto più positivi. In Francia, dopo un mese di sciopero generale avviato dagli studenti, De Gaulle ottiene alle elezioni per il Parlamento il più grande successo nella storia della Quinta Repubblica. La partecipazione degli studenti con McCarthy alle primarie del Wisconsin e del New Hampshire, obbliga invece Johnson a ritirarsi e impone la fine della politica di «escalation» in Vietnam. Nell'ottobre del '67, circa centomila studenti provenienti da tutti gli Stati Uniti si recarono a Washington, per una manifestazione di massa di fronte al Pentagono, contro la guerra. E' stata questa, vista in retrospettiva, una data decisiva per il movimento studentesco americano. Probabilmente, senza di essa, la candidatura di McCarthy sarebbe stata impossibile. Tra di loro c'erano gruppi di estremisti con fotografie di Ho Ci-min, di Mao Tse-tung o di Che Guevara, c'erano « hippies » con i capelli lunghi che recitavano al suono di « gongs » una serie di incantesimi buddisti per esorcizzare i demoni che secondo loro avevano preso possesso del Pentagono; ma c'era soprattutto una gran massa di studenti, tipici di ciò che oggi è in America il mondo studentesco. Giovani, cioè, che secondo un sondaggio del Gallup Poli non si considerano estraniati dalla società, che lavorano duramente per passare gli esami e che desiderano, a studi terminati, inserirsi in qualche professione. Da un certo punto di vista per i pacifisti era stato uno straordinario successo. Far convergere centomila studenti, ognuno a sue spese, su Washington, dimostrava la straordinaria ampiezza del movimento. Il bilancio aveva tuttavia anche un lato negativo. L'attenzione della stampa e della televisione si era concentrata su « hippies » e gruppetti estremisti, ovviamente più pittoreschi, trascurando gli altri. L'effetto sull'opinione pubblica era stato quindi tutto sommato negativo. Gli studenti se volevano davvero influire sulla situazione dovevano trovare altri sistemi per farlo. La candidatura di McCarthy è stata annunciata cioè — nel novembre scorso — al momento giusto: il movimento studentesco per la pace era al culmine della sua forza e stava cercando metodi nuovi d'azione. La storia della campagna di McCarthy è troppo conosciuta perché valga la pena di tornarci sopra. E' interessante piuttosto cercare di vedere in che consiste il carattere particolare degli studenti americani che da una parte li ha portati in maggioranza dietro al movimento pacifista, quando ancora la maggioranza del Paese appoggiava la guerra, e che ha contemporaneamente consentito loro di porsi degli obbiettivi politici concreti e realizzabili invece di partire come i loro colleghi berlinesi e parigini dietro al sogno di una rivoluzione totale. Il movimento studentesco di protesta ha origini recenti in America. Negli armi intorno al 1955, di problemi politici nelle Università americane non se ne parlava proprio. Era l'epoca in cui i « campus » (le città universitarie cioè) erano celebri perché in essi si organizzavano gare a chi mangiava più pesci rossi (vivi naturalmente) o quanti studenti si potevano stipare in una cabina telefonica senza che si sfasciasse (il record è stato 24). Per il resto gli studenti accettavano il ruolo che la società adulta assegnava loro: se erano all'Università era per studiare e non per altri motivi. Lo studio a sua volta aveva per scopo quello di formare i quadri necessari alla nuova rivoluzione industriale che stava, come sta tuttora, trasformando l'America. Il primo uomo politico americano che si è accorto della riserva di forza non utilizzata che costituiva il desiderio di impegno e l'idealismo degli studenti americani, è stato John Kennedy: il « corpo per la pace » nei Paesi sottosviluppati, il « servizio civile » da compiersi all'interno del Paese a favore delle minoranze diseredate, la partecipazione degli studenti al movimento dei negri per i diritti civili risalgono difatti ai mille giorni della « Nuova frontiera ». Johnson, malgrado il fervore riformista dei primi due anni della sua amministrazione, non è mai riuscito a ottenere lo stesso tipo di .consensi. E la guerra nel Vietnam doveva rendere la rottura insanabile. Oggi gli studenti hanno ritrovato un «leader» in McCarthy, l'uomo politico americano che prima di ogni altro è riuscito a interpretare i vari motivi — e non solo l'opposizione alla guerra in Vietnam — che concorrono a fare del movimento studentesco americano un fatto unico al mondo. Cosa vogliono gli studenti che protestano? In generale studiano e studiano bene, i loro voti sono in generale più alti della media. Una differenza sociologicamente importante rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Gli studenti americani di oggi tendono a considerare la prosperità come scontata. Nella loro infanzia ed adolescenza — tranne rare eccezioni, ovviamente — non hanno mai conosciuto il bisogno. Tendono quindi non già a rifiutare la società industriale, ma a dare, rispetto ai loro genitori, meno importanza al fatto economico. C'è forse, è la tesi d'uno psicologo che ha dedicato un libro all'argomento, Keniston, anche un altro elemento più sottile in tutto questo: i giovani di oggi so no la prima generazione eiiiuiiiiiMiiiiiitiiM iiiiiniiiiiiiNiiiiiiiiiiu educata nella prima infanzia, grosso modo tra il '45 e il '50, secondo i principi della pedagogia moderna, infinitamente più tollerante di quella tradizionale. Il che spiega un atteggiamento collettivo di insofferenza verso l'autorità. E' difficile valutare cosa ci sia di valido nella teoria di Keniston: è certo comunque che il movimento studentesco oggi in America mescola un impegno morale quasi evangelico a mi¬ gliorare il mondo al de¬ siderio di trovare formule politiche nuove. Il potere non deve più venire gestito in forma remota ed impersonale, ogni uomo deve essere in grado di discutere e di influire sulle decisioni che lo riguardano. Un desiderio, cioè, di radicale decentralizzazione. E' quello che la «nuova sinistra» chiama « democrazia partecipatoria». E' una formula di cui, probabilmente, si continuerà a parlare a lungo in America. Nicola Caracciolo

Persone citate: De Gaulle, Eugene Mccarthy, Gallup, Guevara, John Kennedy, Johnson, Mao