Gli studenti pro o contro Tito? di Igor Man

Gli studenti pro o contro Tito? Imsè. Jugoslavia «attx*avgm^ssl vma. crisi difficile Gli studenti pro o contro Tito? L'agitazione degli universitari denuncia un malessere che va oltre i problemi scolastici - Il maresciallo, con due discorsi clamorosi, ha accolto gran parte delle richieste dei giovani, tra cui la loro presenza nella gestione degli Atenei - Ma il movimento continua, come protesta contro « l'involuzione capitalistica » e le «ingiustizie sociali» - Il partito resiste; molti giornalisti e professori sono con gli studenti - Questi, in genere, si dichiarano fedeli al maresciallo, al socialismo, al « vero spirito » del regime - Tuttavia la loro critica mette in discussione i risultati di vent'anni e dà voce a un malcontento che ha radici profonde (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, luglio. « Stiamo vivendo una crisi che potrebbe avere come parametro quella del 1948. Soltanto che, allora, il fatto politico nella sua imponente drammaticità soverchiando tutto il resto, non sfuggiva a nessuno, mentre oggi, mimetizzato, sfumato dal dibattito sulla riforma economica, sfugge ai più, quando non si preferisca ignorarlo o addirittura negarlo ». Mi trovo nella sede dell'Unione degli studenti universitari, al numero 4 della Balkanska, un grigio edificio tìpico della sforzo che caratterizzò la società serba dei primi del secolo di liberarsi, anche architettonicamente, da ogni residuo influsso turco per approdare ad una misura mitteleuropea. In una stanza al -terzo piano discuto con un gruppo di studenti frammezzo una gran confusione: chi va e chi viene, ragazze in minigonna, ragazzi in blue-jeans: alcuni hanno disegnato sul dorso delle casacche il profilo di Guevara, scrivendone il nome in caratteri cirillici. Cosa rappresenta il Che per codesti ragazzi? « E' semplice: il simbolo della rivoluzione permanente, la lotta contro la burocrazia, il ritorno alle pure fonti del marxismo, poiché marxismo altro non è che critica ». A rispondere è lo stesso ad aver parlato per primo, uno studente del terzo anno di Lettere e Filologia, la facoltà più calda dell'Università di Belgrado. Insieme con una decina di giovani, in parte seduti attorno, in parte sul tavolo che occupa quasi tutto l'ambien¬ te, cerco dì fare il punto della protesta universitaria jugoslava, prendendo come coordinate i due discorsi dì Tito: quello pronunciato il 9 giugno dopo gli aspri scontri (s'è anche sparalo) fra gli studenti e la « milizia », culminati nell'occupazione dell'Università ribattezzata Università rossa Carlo Marx; quello tenuto il 26 giugno al VI Congresso dei Sindacati. A vent'anni esatti dalla rottura della Jugoslavia col Cominform. i giovani sembrano rimettere in discussione l'intero « sistema » titino, col rischio di pregiudicare il difficile equilibrio su cui si regge la stessa Federazione: venti milioni di abitanti, sei repubbliche differenti fra loro per lingua, tradizione e livello economico, dove troviamo nove minoranze nazionali. Ven- Vanni fa il cemento dell'unità federativa (la lotta partigiana condotta da Tito) resistette alla scomunica dì Stalin, perché in Jugoslavia il comunismo s'era affermato mediante la vittoriosa guerra di liberazione, e non era giunto, come in altri Paesi dell'Est europeo, con i carri armati sovietici. Appunto in forza di ciò Tito rivendicò allora il diritto di seguire una propria « via al socialismo ». In un ventennio, dal rigido statalismo stalinista, la Jugoslavia è giunta all'autogestione. Essa, in teoria, realizza il principio marxista secondo cui il produttore deve essere il padrone del bene che produce, del quale deve poter disporre liberamente, regolando così tutti i problemi delta comunità; ma in effetti segue la legge del mercato. La Jugoslavia, insomma, pratica il capitalismo, e un capitalismo fermo alla « teoria dei valore » di Marshall. I giovani denunciano « l'ibridismo d'una società che pretende d'essere socialista consentendo una sfrenata corsa al profìtto ». Paradossalmente, a simiglianza dei loro colleghi d'Occidente, gli universitari jugoslavi reclamano maggior giustizia sociale e il diritto a partecipare alla autogestione dell'Università. Nel suo primo discorso, Tito riconosce il « buon diritto » degli studenti a protestare, impegnandosi a soddisfare le loro richieste o dimettersi. Pochi giorni dopo, esce un lungo documento del partito: si ammettono «influenze antisocialiste» nella società jugoslava e si appoggia la piena partecipazione degli studenti all'autogoverno universitario. Il 21 giugno il Parlamento vara una^serie, di leggi: l'aumen-, tó dello stipendio minimo da quindicimila dinari (7500 lire) a trentamila; l'aumento delle borse di studio agli universitari; l'inclusione degli stessi nell'autogestione col diritto a eleggere rettore, presidi di facoltà ecc., l'obbligo delle imprese ad assumere laureati. . Ma gli studenti non si dichiarano soddisfatti, poiché « è l'aspetto immorale della società » a preoccuparli. I giornali pubblicano note redazionali accusando i professori della cosiddetta « Nuova sinistra » di volere in nome della utopia marcusiana, strumentalizzare gli studenti per sostituirsi alla classe operaia in modo da affossare l'autogestione, « in combutta con la destra, con i nostalgici del centralismo stalinista ». Student — organo degli universitari — reagisce e il procuratore generale lo fa sequestrare « per aver pubblicato scritti suscettibili di turbare l'opinione pubblica e provocare disordini », sennonché il Tribunale revoca il sequestro. La Gazzetta Letteraria (il cui direttore, espulso dal p.c, rimane in carica per voto unanime della redazione) scrive: « I giovani ci hanno dimostrato che non esiste progresso sociale senza il sogno di una utopia sociale... Noi rinfacciamo ai giovani d'esser rivoluzionari, radicali, di inseguir l'utopia, in una parola noi rinfacciamo loro di non esser vecchi! Non sarebbe più onesto chiederci: cos'è che non va più in noi? ». I comitati universitari seggono in permanenza, indirizzando a Tito memoriali, studi, rapporti, inchieste volti a denunciare « le contraddizioni del sistema che portano a facili e smodati arricchimenti e, nel contempo, all'aumento dei disoccupati (circa un milione) ed alla vergogna dell'emigrazione; il diminuito potere di acquisto; la miopia dei dirigenti economici spesso corrotti ». II 26 giugno parla di nuovo Tito. Dopo aver quasi parafrasato gli studenti, tuona: « Essi ci hanno dato una grande lezione, chi non l'ha compresa è indegno di occupare posti di responsabilità nel governo e nel partito ». Tuttavia, subito dopo, il maresciallo attacca « certi professori che vorrebbero sostituirsi al partito del popolo, lasciando che gli operai lavorino per loro e cercando di convincere i nostri giovani sulla validi¬ tà del pluralismo politico! ». Attacca pure i « dogmatici » di destra, nemici della riforma, ed elogia infine la classe operaia che « pur avendone seri motivi non è scesa in piazza, consapevole che ciò avrebbe nociuto irreparabilmente al paese ». Diverse e contraddittorie, le reazioni degli studenti ci confermano la gravità della crisi jugoslava, lungi dall'esser risolta, aperta ad ogni soluzione. Petar Ignjatovic, presidente dell'Unione studenti — iscritto al partito, laureando in storia dell'arte, duro, dissidente — nega l'accusa di tendenze egualitariste in seno al movimento studentesco. « Non siamo cinesi, però socialisti in modo radicale e quindi respingiamo ogni degenerazione capitalista. Siamo soddisfatti per l'accoglimento delle nostre rivendicazioni, ma abbiamo obiettivi politici, più vasti del campus universitario, che perseguiremo appoggiandoci alle forze progressiste in seno alla Lega, per restituire alla stessa il suo ruolo di partito guida ». Interviene un giovane, quasi un adolescente: « Il discorso di Tito ci incita a continuare nella nostra azione, l'unica capace di restituire al riformismo jugoslavo la sua validità storica ». Un altro gli dà sulta voce: « Illuso, quanti non ne ho sentiti farneticare come te: non vi accorgete del tranello, si finge di darvi ragione per integrarvi nel sistema ». Ora è una ragazza a parlare, bionda, alta, gli occhi accesi. Grida: «-Il nostro è il solo sistema possibile nell'attuale momento storico. Dobbiamo sforzarci di perfezionarlo ». Pallido, corrucciato, Petar Ignjatovic se n'è andato da un pezzo, seguito a mano a mano dalla maggior parte dei presenti. Infine rimango con uno studente dall'aria gentile, studente in legge. « Certo — conclude — ha ragione il mio compagno che paragona la crisi odierna a quella del 1948. Oggi come allora dobbiamo operare scelte decisive, radicali. Non ci rimane pertanto che applicare i principi della Comune di Parigi del '70 se vogliamo realizzare i diritti democratici del popolo, come ha postulato Tito. La storia ci insegna che se non si provoca una grande rivoluzione culturale proletaria, la dittatura del proletariato si snatura, il capitalismo ricompare e le classi sfruttatrici opprimono il popolo ». Ma questo non è quel che ha detto Lin Piao alle « guardie rosse » convenute in Pechino nel novembre 1966? « Proprio cosi ». Igor Man *

Persone citate: Balkanska, Carlo Marx, Guevara, Lin Piao, Stalin

Luoghi citati: Belgrado, Jugoslavia, Pechino