Chi sono i «cinesi» in Italia di Francesco Rosso

Chi sono i «cinesi» in Italia INCHIESTA FRA I GRUPPI CHE PREDICANO LA RIVOLUZIONE Chi sono i «cinesi» in Italia Tre organizzazioni, discordi fra loro, si vantano di rappresentare il vero maoismo - Pechino, attraverso i compagni albanesi, ne sostiene una sola : il Partito comunista d'Italia marxista-leninista - Fondato due anni or sono, diretto da Mario Geymonat, vive dei pensieri di Mao, difende la memoria di Stalin, deplora il castrismo e le barricate studentesche - Ha un nemico dichiarato nel gruppo milanese «Edizioni Oriente», più culturale che militante, maoista con riserve - E' rivale anche della Federazione comunista d'Italia, colpevole di voler conciliare maoismo e castrismo, e quindi sgradita alla Cina «rossa» - I tre organismi hanno in comune un linguaggio da iniziati e l'avversione per il partito comunista ufficiale (Dal nostro inviato speciale) Milano, luglio. Filocinesi, maoisti, sono i termini ricorrenti per definire la posizione di tutti gli estremisti di sinistra, un modo troppo semplicistico per generalizzare l'attività di partiti, movimenti, gruppi politici quasi sempre in netto antagonismo fra di loro. Senza addentrarmi nelle complesse divergenze ideologiche, spesso determinan- ti, che li distinguono, cercherò dì tracciare un panorama della «nuova sinistra», incominciando dai filocinesi autentici, cioè dai movimenti che s'ispirano direttamente, e direi supinamente, al pensiero di Mao Tse-tung. Sono almeno tre le correnti cinesi di un certo peso: il partito comunista d'Italia marxista-leninista, la Federazione dei comunisti d'-Italia marxista-leninista, il gruppo di teorici del maoismo raccolti attorno alle « Edizioni Oriente ». Ciascuno di essi rivendica la più assoluta ortodossia maoista, e cerca l'investitura ufficiale a Pechino. Per il momento, i favori delta Cina sembrano ricadere sul partito comunista d'Italia, grazie ai buoni uffici del confratello partito d'Albania. Le ragioni della scelta sono dovute al coraggio del gruppo minoritario di trasformarsi in partito, con tutte le strutture para-burocratiche saldamente impiantate, perché Mao ha detto: « Senza partito non si può fare la rivoluzione ». In un certo modo, hanno bruciato sul tempo i loro compagni della Federazione e delle « Edizioni Oriente », che ora li combattono per l'eccessivo dogmatismo e la disponibilità elettoralistica apertamente dichiarata. Il partito ha sede a Roma, dove si pubblica il settimanale Nuova Unità, ma il centro direzionale è a Milano, in via Pasteur 25, dove si pubblicano le « Nuove Edizioni Oriente», e dove risiedono alcuni notabili della presidenza. Ho avuto una lunga, cordiale conversazione -con Mario Geymonat, membro della presidenza del partito, conversazione trasformatasi presto in polemica a distanza con gli altri gruppi di estrema sinistra. « L'atto più rivoluzionario compiuto in Italia dopo l'aprile del 1945 — dice Geymonat — è stato la costituzione del nostro partito a Livorno il 15 ottobre 1963 ». Compiaciutosi della primogenitura, Geymonat prosegue: « Il nostro partito è il solo ad avere contatti con le masse operaie e contadi- ne, e l'abbiamo dimostrato con le lotte operaie a Genova nel 1966, e le sommosse contadine nel Crotonese nel 1967. In questo modo ci siamo qualificati dinanzi al partito comunista marxistaleninista internazionale ». Il partito comunista d'Italia ha, in effetti, qualche influenza nell'estremo Meridione, dove si pone come alternativa al partito comunista ufficiale; il precetto maoista che la campagna miserabile finirà con l'assediare la città opulenta, dovrebbe trovare qui una conferma. Le sommosse contadine di Cutro e di Isola Capo Rizzuto in Calabria sono state abilmente strumentalizzate dai comunisti filocinesi, che hanno appreso la tecnica della propaganda e dell'inquadramento delle masse nelle file del partito comunista ufficiale in cui hanno militato in posizioni di prestigio prima di esserne espulsi o di uscirne volontariamente. La disponibilità alle elezioni è apertamente ammessa anche da Mario Geymonat. « Durante la passata campagna elettorale, noi abbiamo fatto propaganda per la scheda bianca; intendevamo provocare una rottura psicologica nell'elettorato. Quando lo riterremo opportuno presenteremo nostri candidati alle elezioni». Sarà quello il momento di calcolare la consistenza numerica del partito; per ora si sa che dispone di cospicui finanziamenti, che certo non gli derivano dalle tessere degli .'iscritti. Obietto che l'operazione « scheda bianca », condotta senza risparmio di mezzi, non ha avuto molto successo, e Geymonat dice: «E' stato il primo esperimento fatto in Italia, e non potevamo attenderci più di quanto abbiamo ottenuto ». Gli domando perché il suo partito ha avuto così scarsa incidenza sul movimento degli studenti rivoluzionari, ed egli risponde: « Non possiamo concordare con lo spirito barricadiero, avventuristico degli studenti, che si ispirano al filosofo borghese e riformista Herbert Marcuse e alle teorie di Fidel Castro. La guerriglia come la intendeva Che Guevara, anziché colpire l'imperialismo, lo favorisce. Soltanto la guerra di popolo, come afferma il compagno Mao, e come l'abbiamo impostata noi nel Vietnam, in Indocina, in Tailandia, ha possibilità di successo. Quelli della Federazione e 1 ghevaristi non hanno contatti con le masse, si propongono come élite ideologica e sono destinati a finire come è finito Che Guevara in Bolivia. Che Guevara era un bravo combattente, nessuno lo nega, ma non poteva finire diversamente, perché ha voluto ignorare i precetti di Mao». Il dogmatismo del partito comunista d'Italia consiste nel citare sempre, ed in ogni occasione, il pensiero di Mao, e nello stesso tempo insistere sulla riabilitazione di Stalin. Ciò può sembrare una contraddizione, se si tiene conto che in Cina il mito di Stalin è in netto declino, ma l'ostinazione ad accettare monoliticamente il verbo del defunto dittatore russo è determinata . dalla necessità di critica ai comunisti che si sono piegati al « revisionismo » di Mosca contro la « purezza » del marxismo-leninismo di Pechino, e al desiderio di agganciare gli stalinisti italiani frustrati dall'integrazionismo dei comunisti ufficiali e del psiup. Nel momento in cui tutto era occupabile, dalle sedi universitarie alla Triennale di Milano, i comunisti cinesi hanno tentato a loro volta di occupare le « Edizioni Oriente », in via della Guastalla 5. Ne parlo con Mario Geymonat, che si limita ad una battuta: « La linea nera delle "Edizioni Oriente" si è frantumata; è nata la linea rossa, con le "Nuove Edizioni Oriente ", che ha aderito al partito ». Di questo episodio mi parlano più diffusamente in via della Guastalla 5, nella sede delle « Edizioni Oriente ». E' uno scantinato, avvolto in un'atmosfera da congiura carbonara. Suono, e sento di essere esaminato attraverso lo spioncino. « Non la stupisca tanta cautela — mi dicono dopo aver fatto scattare i catenacci —; il tentativo dl quelli del partito di occuparci con la forza ci costringe alla vigilanza ». Mi raccontano come fu tentata l'occupazione; con la scusa di acquistare delle opere cinesi tradotte, alcuni esponenti del partito entrarono nei locali, decisi ad impadronirsene. Ma scattarono i compartimenti stagni della sede, e gli invasori rimasero bloccati nella sala d'accesso. L'assedio durò qualche ora; poi gli assalitori se ne andarono. Le « Edizioni Oriente » non rappresentano un movimento politico vero e proprio; praticamente si limitano a tradurre e pubblicare opere di Mao Tse-tung, di Lin Piao, ed anche di Lu Shao Chi, il presidente della Repubblica popolare cinese, definito revisionista dalla rivoluzione culturale. Gravitano attorno alle « Edizioni Oriente» ed al periodico Vento dell'Est, diretto da Maria Regis e pubblicato dalla stessa Casa, un certo numero di teorici marxisti di ispirazione maoìsta, ma poi autonomi nella loro attività di gruppo, come Vittorio Rieser, che dirige i torinesi Quaderni rossi. Una differente dimensione politica, antagonista al partito comunista d'Italia, ha la Federazione del comunisti d'Italia marxista - leninista. Anche la federazione, come il partito, si ispira al pensiero dì Mao, però con maggior duttilità di quanto faccia il partito, accusato di eccessivo « sloganìsmo± ». Oci corre, abituarsi a questa terminologia, se si vuol capire un po' lo spirito di questi movimenti e gruppi. Avven¬ turista, ad esempio, è colui che, come Fidel Castro e Che Guevara, crede possibile la rivoluzione attraverso la guerriglia, e non con la guerra di popolo, come afferma Mao. Sloganistì sono coloro, come quelli del partito comunista d'Italia, che credono di poter mobilitare le masse ripetendo all'infinito: « Viva l'immortale pensiero del compagno Mao! ». Entristi sono quelli convinti di riportare il partito comunista ufficiale su posizioni rivoluzionarie agendo all'interno del partito stesso; ma Longo e compagni li espellono appena si avvedono delle loro intenzioni eversive. La Federazione dei comunisti d'Italia marxista-leninista, con sede a Milano in via Monte Grappa 10, dove pubblica il periodico Rivoluzione proletaria, accetta il pensiero di Mao, ma con atteggiamenti critici, ed è forse per questo che i favori di Pechino sono andati al partito. Alla Federazione, ad esempio, non si nasconde il pericolo che si instauri per Mao (o sì è già instaurato?) un culto della personalità identico a quello nutrito per Stalin, e non intendono rinnegare (come avviene oggi in Cina, con severi richiami a Fidel Castro di tornare alla ortodossia marxista) la tt terza vìa » della lotta proletaria, quella di Cuba. Attorno ai tre pilastri della «via maoista» italiana agiscono altri movimenti: trotzkisti, anarchici, ghevaristi, o castristi, che hanno in comune con i cinesi un odio risentito per Mosca, ma altrettanto risentito per la Cina, già considerata potenza internazionale integrata. Benché questi gruppi e movimenti abbiano una dimensione quasi esclusivamente dottrinària, sarà opportuno parlarne. Francesco Rosso