La politica di Tito vent'anni dopo la rottura con Stalin di Igor Man

La politica di Tito vent'anni dopo la rottura con Stalin Intervista con il ministro degli Esteri jugoslavo La politica di Tito vent'anni dopo la rottura con Stalin li 29 giugno 1948 la Jugoslavia respingeva la «scomunica» del Cominform - Da allora Belgrado ha seguito la stessa linea: «Siamo per il rispetto dell'indipendenza di tutti gli Stati e per il non allineamento», dice il ministro - I fermenti nei paesi comunisti sono seguiti con interesse: «E' prevedibile in tutti un processo dì consolidamento democratico» - Con l'Italia esistono «relazioni molto importanti» economiche e politiche; il governo titoista desidera una maggiore collaborazione in campo industriale (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, giugno. Intervista con Marko Nikezic, ministro degli Esteri jugoslavo. Comunista fin dal 1939, combattente della guerra di liberazione, laureato in ingegneria e tecnologia, membro del Comitato Centrale del partito, il quarantasettenne ministro è fra gli uomini più rappresentativi del regime jugoslavo: un intellettuale che ha fatto il partigiano con gli operai e i contadini; un uomo d'azione che ha svolto delicate missioni diplomatiche, come ambasciatore in Egitto, Cecoslovacchia e negli Stati Uniti. Dopo gli amari « casi » di Gilas e Rankovic, Tito non vuole più delfini, ma Nikezic fa parte di quel ristretto gruppo di dirigenti che contano. Pur considerandosi un sincero amico e ammiratore dell'Urss, dei « compagni sovietici », egli guarda con interesse e simpatia all'Occidente. Il ministero degli Esteri è allogato nell'antica sede del governo serbo, un palazzotto con torre neo-asburgica. L'intervista mi è stata concessa proprio nel ventennale dell'uscita della Jugoslavia dal Cominform, a poche ore dal discorso del maresciallo, vivacemente polemico con l'Urss. Esattamente vent'anni so no trascorsi dalla rottura col Cominform. Il 21 giugno 1948 si riuniva in Bucarest, con un solo punto all'o.d.g.: « Situazione in Jugoslavia e del pc jugoslavo », presenti tutti i partiti comunisti del blocco sovietico, più quello italiano e francese, ma assente la Jugoslavia. Il 28 giugno una risoluzione unanime bollava di tradimento e revisionismo Tito ed il suo partito. Radio Belgrado trasmise subito il testo integrale della «condanna» del Cominform. Il 29 giugno una dichiarazione ufficiale respingeva la « condanna »; i giornali e la radio cominciavano a rivelarne il retroscena pubblicando il carteggio (marzomaggio 1948) russo-jugoslavo, si apprendeva d'una drammatica telefonata fra Stalin e Tito; le ragioni della rottura venivano infine alla luce. Nella divisione dei compiti per la grande integrazione economica dell'impero stalinista, la Jugoslavia (con , la Bulgaria) era relegata nel I ruolo di fornitrice di prò-1 dotti agricoli, mentre, con I « società miste » di comodo, i sovietici avrebbero sfruttato a proprio beneficio le notevoli risorse minerarie jugoslave. Più tardi, quando la « sco-1 munica » si appalesò irreversibile, dopo un periodo contrassegnato da purghe e da controaccuse di deviazionismo alla Russia, la Jugosla- i via prospettò le tesi (legittimità della via nazionale al socialismo, non identificazione tra i fini del socialismo e quelli dell'Urss), che rimangono le basi dell'ideologia jugoslava, come il ministro Nikezic mi ripete: «In questi vent'anni la politica estera della Jugoslavia s'è basata sul rispetto dell'indipendenza di tutti, sulla non ingereiiza negli affari interni altrui e lo sviluppo su d'un piede d'assoluta eguaglianza con tutti i paesi disposti a cooperare sulla stessa base. La Jugoslavia continua la sua j politica di non allineamelito e si impegna in tutti i problemi importanti per la \ pace del mondo ». La Jugoslavia si adopera j cosi per la distensione e per ' una coesistenza pacifica, che vada oltre la « pace armata » tra l'America e l'Urss. Lo stesso discorso vale per la Germania: non può non turbarla la « mossa » di Ulbricht, poiché la crisi di Berlino è un elemento di pressione sovietica sull'America; ma la disturba anche l'approvazione delle « leggi speciali » a Bonn, perché rilancia la destra tedesca. Come guarda la Jugoslavia al processo di evoluzione, o maturazione, in corso nei paesi dell'Est, e agli ultimi sviluppi politici in certi paesi occidentali? «Lei — risponde il ministro Nikezic — parla di processo di maturazione nei paesi socialisti ma forse, per essere più precisi, si dovrebbe variare d'un processo di consolidamento democratico della società socialista nei paesi dell'Est europeo. E' ovvio che le vie, le forme, il ritmo di questi cambiamenti in atto variano, ma la tendenza sulla lunga distanza (che si traduce poi nella riforma economica e nella democratizzazione dei rapporti sociali) penso che finisca con l'esser comune a tutti. «Per ciò che concerne V Europa occidentale, mi sembra trattarsi di rivendicazioni miranti a una mo- difica sostanziale della si- tuazione delle* classi lavoratrici nella società capitalista, con la richiesta di maggiori aperture democratiche e di una più vasta partecipazione al potere decisionale. Een inteso, in ogni paese secondo le condizioni che vi regnano ». L'ultima domanda, di rito, è sulle relazioni italo-jugoslave e con gli altri paesi non socialisti, sullo sfondo delle due grandi crisi mondiali: Vietnam e Medio Oriente. «Abbiamo rapporti normali con l'Occidente e una utile cooperazione. Vietnam e Medio Oriente non pos¬ sono non occupare un posto primario nella nostra politica estera, ma costituiscono per noi un problema particolare solo nei liguardi di alcuni paesi occidentali. « Da quindici anni intratteniamo con l'Italia relazioni sul piano economico, politico e culturale che son divenute un fattore molto importante della nostra politica estera. Il fatto che la nostra cooperazione si evolva favorevolmente, nonostante certe differenze in fatto di politica estera e qualche questione in sospeso, testimonia come siano in prevalenza gli interessi nazionali a orientarci verso questa cooperazione. Ci sono anche interessi bilaterali, economici e non, ma soprattutto ci è comune un più alto interesse: il mantenimento della pace e della stabilità in Europa». Il ministro Nikezic ha accuratamente evitato di toccare il tasto delle barriere protezionistiche, alzate dall'Italia nei riguardi della importazione di bovini jugoslavi, giusto il meccanismo del Ivlcc. Silenzio non casuale: in Jugoslavia c'è molta sim- patia, a tutti i livelli, perl'Italia, si vorrebbe una collaborazione più intensa soprattutto sul piano industriale. Igor Man

Persone citate: Gilas, Marko Nikezic, Stalin, Ulbricht