La crisi del psu di Vittorio Gorresio

La crisi del psu La crisi del psu II psu non ha reagito bene ai risultati elettorali. Dalla sua lunga esperienza — ha più di settantanni di vita in forma organizzata — e per la sua qualità di decano dei partiti esistenti in Italia, ci si attendeva che sapesse trarre una più serena capacità di giudizio, dimostrando di avere maggiori attitudini a quelle forme di pragmatismo che costituiscono in politica la risorsa maggiore. Una battaglia elettorale che si conclude in senso meno favorevole rispetto a quanto si era sperato, non costituisce una sconfitta grave e tanto meno una condanna irrevocabile: può tutt'al più significare un momento di attesa. L'attesa non giustifica, comunque, mutamenti di rotta. Per tutto il tempo della quarta legislatura ed ancor più durante la campagna elettorale, i socialisti hanno insistito sulla necessità di una politica di centro-sinistra. Se ne erano assunto l'impegno, anzi lo rivendicavano a merito, e ne facevano al Paese la più solenne e più formale delle promesse. Chi ha dato a loro il voto, il 19 maggio, la riteneva credibile, come ci attestano le decine di lettere che ogni giorno la posta ci recapita in redazione. Sono proteste di cittadini elettori che si considerano ingannati. Hanno votato psu per rendere possibile la prosecuzione del centro-sinistra, e si accorgono oggi di aver commesso un errore nello scegliere il simbolo di lista su cui tracciare la croce. Se, per disgrazia, dovessero venire sciolte in anticipo le Camere, buona parte di quanti hanno votato socialista il 19 maggio si orienterebbe diversamente: o verso de e pri nel desiderio di garanzie più serie, o in direzione del pei o dello psiup, quasi a dispetto. Si ha la spiacevole sensazione che i socialisti abbiano perduto il contatto con quello che si chiama il Paese reale, e non ne sappiano cogliere le indicazioni, né riconoscere le aspirazioni. E' ancora più sicuro, in ogni modo, che il cosiddetto Paese reale non capisce i socialisti, e non arriva a darsi conto di che cosa essi vogliano per oggi e per domani. La situazione determinata dalle elezioni rende facile ai partiti dell'alleanza di centrosinistra di proseguire nella loro politica. Qualche modesto spostamento nei rapporti di forza parlamentari, con democristiani e repubblicani in vantaggio e socialisti in lievissima diminuzione, non impedisce quell'azione di governo « più incisiva » che ci era stata propagandata come loro comune impegno programmatico. Lo stesso aumento dell'opposizione di sinistra dovrebbe favorirne l'attuazione da parte di chi volesse correttamente interpretare l'indicazione generale dell'elettorato. Invece è proprio a questo punto, in un momento e in un'occasione scelti malissimo, che i socialisti si ritirano in disparte. Sarebbe stato comprensibile che avessero preteso dalla de una garanzia, programmaticamente concordata come inderogabile condizione a conferma dell'alleanza, per una politica di riforme più avanzata. Né con Leone né con Rumor, viceversa, hanno accettato di parlare di programmi, dichiarando di riservarsi di esaminare e valutare, « con senso di responsabilità », il futuro comportamento della de. E' un'espressione che non significa nulla, e che anzi appare contraddittoria in se stessa. Ogni esame, difatti, presuppone l'esistenza di un programma e ne costituisce la verifica di controllo. Negato il programma si respinge anche l'esame, come è nella pretesa — assurda e logica ad un tempo — degli studenti ribelli di oggi. Una simile contestazione globale non è però ammissibile da parte dei socialisti. Fino a ieri impegnati in quella che per primi essi chiamavano la strategia delle riforme, d'improvviso si atteggiano a disincantati, esprimendo la loro delusione per l'esito del voto col moltiplicare le correnti nell'interno del partito. La proliferazione delle tendenze sta polverizzando il psu, dove ogni giorno si ha notizia della nascita di un gruppo nuovo, ciascuno intitolato al nome di cinque o sei parlamentari o appar¬ tenenti al comitato centrale, in lotta gli uni contro gli altri per la conquista di una certa posizione di potere da esercitare, beninteso, sempre all'interno del partito. Con tutta la comprensione che si può avere per competizioni di questo genere, rimane lecita una deplorazione di carattere generale. Non è per questa via e con questi metodi che si esercita ima funzione politica in un Paese democratico moderno quale è il nostro, capace di sviluppo e di progresso — democratici appunto — ma spesso ostacolato nei suoi sforzi, frustrato nelle sue aspirazioni, dalla sua stessa classe dirigente. Non è vero che l'Italia sia ingovernabile, come non è vero che viva in clima rivoluzionario o prerivoluzionario. Piuttosto pecca, od ha peccato finora, per tolleranza eccessiva, e quindi accade che i partiti siano qualche volta tentati di profittare della remissività nazionale, mancando di rendere i conti dovuti al Paese. Questo potrebbe tuttavia rivelarsi un tragico errore, perché il Paese va facendosi adulto. Vittorio Gorresio : Il sen. Leone, presidente incaricato, al termine delle consultazioni a Palazzo Giustiniani (Telefoto Ansa)

Persone citate: Giustiniani, Rumor

Luoghi citati: Italia