Cos'è il «revisionismo» ?

Cos'è il «revisionismo» ? tln termine politico spesso usato come ingiuria Cos'è il «revisionismo» ? La polemica infuria da quando Bernstein, nel 1899, propose ai socialisti una revisione della tattica rivoluzionaria - Egli vide con chiarezza il nuovo corso della storia europea, che negli ultimi anni già Marx aveva intuito - Gli aspetti positivi sono indubbi; si discute sulle probabili conseguenze negative Tutti sanno che anche nelle arroventate controversie politiche e internazionali d'oggi il termine « revisionismo » è usato come arma polemica, quando non diventa addirittura epiteto ingiurioso. Si perpetuano così, negli opposti campi, le interpretazioni passionali. Ma col passare del tempo, e col riproporsi di situazioni e problemi che sembrano riprodurre quelli di un tempo, si fa più sentita l'esigenza di una distaccata visione storiografica. Che cosa è stato, in realtà, il revisionismo? Quale significato ha avuto, nella storia del socialismo, l'opera famosa di Eduard Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, pubblicata nel 1899, dopo alcuni articoli sulla Neue Zeit degli anni precedenti, che tante discussioni aveva- no sollevato, e in particolare la replica di Kautsky? Due libri recentissimi ci consentono questo ripensamento critico: la traduzione italiana dell'opera di Bernstein, con un'ampia e intelligente introduzione di Lucio Colletti, e un altro volume della Storia del pensiero socialista ai G. D. H. Cole, che, oltre a trattare dei movimenti operai in Francia, Inghilterra, Russia negli anni della Seconda Internazionale, ci dà la storia del più grande partito socialista di allora, quello tedesco, e cosi affronta in pieno il tema del revisionismo. Appare chiaro e inconfutabile che taluni scritti dell'ultimo Engels, e perfino alcune pagine di Marx rivelate dall'Engels stesso, costituiscono « l'inconsapevole preambolo e la preparazione » del revisionismo. Certe concezioni sull'imminente rivoluzione sociale si erano rivelate erronee, frutto di illusioni quarantottesche. Si riconosceva la necessità di un lavoro lungo e paziente, dì una nuova tattica — come l'« intelligente utilizzazione » del suffragio universale —, di un accorto sfruttamento della legalità (mentre toccava ai partiti dell'ordine ormai gridare disperatamente: la legante nous tue). Tutto questo, per bocca degli stessi Marx ed Engels, imponeva una « revisione a della vecchia tattica. In-realtà Bernstein, forse senza rendersene neppure conto, convertiva gli errori di tattica in errori di strategia, e finiva- col travisare la stessa dottrina marxista, e col far dire ai suoi autori cose a cui essi non avevano mai pensato. Taluni suoi argomenti polemici intaccavano non tanto il pensiero marxiano, quanto l'interpretazione meccanicistica e scolastica che ne avevano dato la socialdemocrazia tedesca al congresso di Erfurt del 1891, e un po' tutta la Seconda Internazionale. Il nucleo fondamentale di quel pensiero, rettamente interpretato, sembra sopravvivere alle critiche dei revisionisti: come è fatto palese dagli studi più recenti di economisti non marxisti, opportunamente citati dal Colletti. In ogni caso, la lettura dell'opera di Bernstein è quanto mai illuminante. Prima e meglio di altri, egli vide taluni nuovi aspetti del corso storico, come l'azionariato, la dissociazione fra proprietà e controllo delle imprese industriali, il diffondersi, anziché l'estinguersi, della proprietà contadina, l'universale ripresa del capitalismo, dopo la « Grande Depressione », e il suo avviarsi verso nuove forme — i monopoli, i cartelli —, ecc.: tutti fenomeni che mettevano in crisi le concezioni e le aspettazioni troppo facili dei marxisti di allora. Una revisione delle idee tradizionali indubbiamente si imponeva, per quanto discussa e discutibile fosse l'interpretazione data da Bernstein. Soprattutto — e il Cole lo fa vedere assai bene — questa impostazione dottrinale aveva, politicamente, una stretta parentela col socialismo fabiano in Inghilterra e col « possibilismo » d'una parte dei socialisti francesi; e coincideva o anticipava la pratica effettivamente seguita da molti partiti socialisti europei, specialmente da quello tedesco. Nonostante le sconfessioni e le accuse ufficiali, i partiti socialisti della Seconda Internazionale sentirono fortemente l'influsso di questa dottrina, e ne trassero incentivo per appoggiare e promuovere una politica di avanzamento delle condizio¬ ni economiche e sociali dèlie classi lavoratrici. Resta sempre aperto, e controverso anche in sede storica, il problema se questi indubbi aspetti positivi non si accompagnassero a un infiacchimento della volontà politica. Lo stesso finale sfaldarsi della socialdemocrazia tedesca può essere considerato una riprova di quel che di negativo ebbe l'indirizzo revisionista, non solo per quanto riguardava lo spirito combattivo di classe, ma la stessa difesa delle libertà elementari di tutto un popolo. Certo, molte altre, e non lievi, furono le responsabilità della catastrofe; ma non va taciuto il peso che ebbe l'ambiguità del « revisionismo ». A. Galante Garrone G. D. H. COLE: Storia del pensiero socialista. La Seconda Internazionale. 1889-1914. Parte prima - Ed. Laterza, 1968 - pagine 611, lire 6500. E. BERNSTEIN: I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia - Ed. Laterza, 1968 - pagine 292, lire 3200.

Luoghi citati: Francia, Inghilterra, Russia