Era forse l'ultimo corridore-gentleman

Era forse l'ultimo corridore-gentleman Era forse l'ultimo corridore-gentleman Ludovico Scarfiotti, torinese, aveva 35 anni - Risiedeva con la famiglia nelle Marche - Il nonno era stato uno dei fondatori della Fiat - La 24 ore di Le Mans, la 1000 chilometri del Nlirburgring e il Gran Premio d'Italia erano stati tra i suoi maggiori trionfi - Nel 1965 e 1966 conquistò anche il titolo di campione europeo della montagna - Aveva già avuto alcuni incidenti, uno dei quali al principio di quest'anno in Sud Africa « Adesso non corro più, non posso continuare a fare il figlio di famiglia che ha l'hobby delle corse » aveva detto un giorno Ludovico Scarfiotti. Era il luglio del 1963, pochi giorni prima il ragazzo aveva avuto un grave incidente durante gli allenamenti per il Gran Premio di Francia, a Reims, e lo stavano curando per una frattura al ginocchio. Il mese precedente aveva vinto la celebre 24 ore di Le Mans in coppia con un altro giovane pilota italiano, Lorenzo Bandini (e la sorte ha voluto nel giro di un anno accumunare l'uno e l'altro in una tragica fine, risparmiando tuttavia a Scarfiotti la straziante agonia dell'amico), e questa affermazione che ne aveva rivelato in modo completo le doti era stato il difficile lasciapassare per arrivare al volante delle potenti macchine di Formula 1, traguardo e aspirazione supremi di ogni pilota d'auto. Tanti altri, prima di lui, all'indomani di un incidente di corsa avevano avanzato gli stessi propositi di rinuncia; ma pochi erano riusciti a prestar fede al proponimento. Sembra che questo sport così spesso drammatico per il suo contenuto di rischio immanente sia, come una specie di droga da cui è impossibile disassuefarsi. Una volta guarito, anche Scarfiotti era stato ripreso da questa passione le cui componenti non sono di facile individuazione. Benestante, proprietario a Porto Recanati, dove risiedeva, di un florido cementificio, Ludovico Scarfiotti non era corridore professionista nel senso stretto del termine, ma aveva di questo sport la concezione vagamente romantica dei tempi eroici dell'automobilismo; era insomma uno dei pochi pìloH-gentlemen facenti parte di quel ristretto ambiente che di domenica in domenica si sposta da un capo all'altro del mondo per dar vita alle grandi corse automobilitiche. Ludovico Scarfiotti era nato a Torino il 1S ottobre 1933: se le tradizioni familiari contano qualcosa nella formazione spirituale e morale di ciascuno, ricordiamo che il cavaliere Ludovico Scarfiotti, nonno dello scoinparso, fu nel 1899 uno dei fondatori della Fiat, e anzi il primo pre¬ sidente del consiglio di amministrazione, accanto a Giovanni Agnelli, Roberto Biscaretti, Emanuele di Bricherasio, Cesare Goria-Gatti e altri. E a quei tempi, costruzioni automobilistiche e sport praticamente si identificavano. Trent'anni dopo un altro Scarfiotti, l'on. Luigi, fu un ottimo pilota dilettante, fino alla nascita di Ludovico. Poi | la famiglia Scarfiotti si trasferì nelle Marche, ma rimane il fatto che il ragazzo visse la propria infanzia in un determinato clima, che forse ne ha influenzato idealità e aspirazioni. A vent'anni, Ludovico Scarfiotti ha le sue prime esperienze nellp sport del volante, prima con vetture da turismo, poi pian piano su macchine sempre più potenti, la Fiat « 8V », la Osca, con le quali si rivela particolarmente dotato nelle corse in salita. Nel 1960 è alla guida di una Ferrari sport, si piazza quarto assolulo alla Targa Florio: sale metodicamente gli scalini della notorietà, fino ad essere chiamato nella squadra ufficiale della Ferrari. Vince nel 1963 la 12 ore di Sebrìng e la 24 ore di Le Mans, e per due anni consecutivi la 1000 km del Nùrburgring. Con la Ferrari Dino è campione d'Europa delle corse in salita nel 1965 e nel 1966. Quasi a furor di popolo il costruttore modenese torna nuovamente ad affidargli — dopo il lontano incidente di Reims — una vettura di Formula 1, e il 4 settembre 1966 conosce a Monza la sua più grande giornata di gloria, vincendo il 37' Gran Premio d'Italia. Scarfiotti è ormai lanciatissimo, ma il mondo delle corse è pieno di contraddizioni, alla Ferrari non si ritrova più; gareggia ancora nella scorsa stagione a Le Mans (dove nel '66 era stato protagonista di un altro pauroso incidente — con conseguenze lievi — mentre teneva testa alle poderose Ford), poi lascia la marca di Maranello. Quest'anno trova le porte spalancate alla Cooper per i grandi premi di Formula, e alla Porsche per le gare sport. Esordisce con la prima a Città del Capo, ma doveva essere una stagione segnata: la rottura di una tubazione dell'acqua gli procura gravi ustioni. Guarisce in due mesi, gareggia con la Porsche a Daytona e alla Targa Florio, senza fortuna; poi riprende con le monoposto quindici giorni fa a Montecarlo e si piazza al quarto posto. E' la sua ultima gara: cade provando le serpentine in salita della prima prova stanionale per il titolo europeo della montagna, il terreno che più gli era congeniale. E così anche Ludovico Scarfiotti se ne è andato. E' il terzo, quest'anno, dopo Jim Clark e Mike Spence. Una catena senza fine, l'implacabile destino falcia senza pietà questi uomini che sembrano fare parte del rischio una ragione di vita. Forse Scarfiotti era diverso: « Corro soltanto perché mi piace» diceva con quel suo sorriso un po' malinconico tra gli occhi chiari, senza ricorrere a quei luoghi comuni che talvolta fanno apparire aridi coloro che l'effimera gloria sportiva accoglie tra le sue braccia. Ferruccio Bernabò