Come un uomo si salva in cella di isolamento di Guido Piovene

Come un uomo si salva in cella di isolamento UN INGLESE NELLE CARCERI DELLA GESTAPO Come un uomo si salva in cella di isolamento Le tremende esperienze della prigione e del campo di concentramento durante la guerra mondiale continuano a pesare anche su chi non le ha compiute, trasformandosi quasi in un criterio di giudizio su latti posteriori e apparentemente diversi. Si direbbe che il mondo persista a riconoscere nelle tecniche di annientamento portate allora a perfezione ciò che continua ad angustiarlo anche in tempo di pace. Per esempio, nelle polemiche contro la « società industriale avanzata », o la « civiltà tecnologica », o come si vuole chiamarla, ricorre spesso, in maniera aperta o larvata, il tema dell'analogia col campo di concentramento e il carcere, come riscontrando in alcuni aspetti della vita d'oggi gli stessi meccanismi che abbiamo imparato a conoscere dove hanno funzionato nella forma più estrema. Ma il libro di Christopher Burney, Cella d'isolamento, che esce in edizione Adelphi, è un caso inconsueto nella letteratura postbellica carceraria. Non è un libro politico, almeno nel senso corrente. Arrivato in Italia con molti anni di ritardo dalla sua uscita in Inghilterra, sembra però venire al momento giusto, cioè nel momento in cui si . può intenderlo meglio. Burney era un ufficiale inglese lanciato col paracadute in Francia nel 1942. La missione affidatagli era di prendere contatto con la Resistenza francese. Fu invece preso dai tedeschi, e rimase diciotto mesi isolato in una cella a Fresnes. Dopo un paio di interrogatori ed il pericolo imminente della condanna a morte, i tedeschi sembrarono scordarsi della sua esistenza. Da Fresnes fu deportato a Buchenwald, non più isolato ma in un campo di prigionieri, e lì fu liberato al termine della guerra. Tuttavia l'anno e mezzo di solitudine di Fresnes, scrive Burney, costituisce un'esperienza per sé stante e conclusa., che gli ripugna suturare con altre e immettere nella cornice di un'autobiografia. Ogni esperienza vale separatamente, se vale, alcune non valgono nulla, e vana e pretenziosa è la pretesa di comporre il quadro d'insieme di una vita di cui ignoriamo la conclusione. « La solitudine » (così Burney commenta la partenza da Fresnes) « coi suoi misteri e le sue avventure, era passata su di me come un'onda per rifluire nel vasto oceano del passato, mentre il nuovo mare, gelido e rumoreggiante, già stava montando ». L'esperienza della solitudine è quella che interessa a lui; di Buchenwald dice soltanto che «/k il suo affollato, rumoroso e disgustoso opposto ». Non so altro di Burney. Non mi risulta che abbia fatto altri libri. E' il caso, a mio pa rere attualissimo, dello scrit torc-non scrittore, che scrive anche una volta sola, e non per dare relazione di un pre teso « se stesso », ma soltanto di un'avventura degna d'essere comunicata. Da alcuni pas si mi sembra di poter capire che Burney era molto giova ne al tempo della prigionia Per esempio nel modo con cui descrive il suo sgomento quando, rinchiuso nella cella, comprende che il mondo di prima per lui è morto per sempre. Vi è in lui il dolore d aver perso tante persone a cui non aveva prestato, mentre era libero, attenzione bastante, ma anche il dolore di supporre quella folla di ignoti o semi ignoti triste di non avergli dato quanto poteva. L'impressione di diminuire gli altri se ci separiamo da loro, la pietà per un mondo che, essendo noi scomparsi, ci sembra essere colpito da una disgrazia sono tipicamente narcisistiche e giovanili. Burney è chiùso in una cella. Tolto un pestaggio al primo interrogatorio, non sotto sta a torture, né è trattato con crudeltà speciale. Le sofferenze che subisce sono me die e costanti: la fame sempre, il freddo nei mesi invernali, poi crescendo la debolezza anche nei mesi estivi, il deperimento fisico, le speranze deluse, la paura di essere fucilato e, più ancora, col passare del tempo, quella di essere moralmente distrutto. Ha paura anche, all'inizio, di cedere alla violenza degli interrogatori e i tradire i suoi compagni; supera bene questo scoglio; non direi però che sia questa a ragione per cui il suo comportamento è eroico, senza atti clamorosi ne fuori del comune. I francesi, i polacchi, gli italiani, i tedeschi, dice Burney, hanno nel sangue la violenza politica, e la politica li accompagna nel carcere. L'inglese medio non ha queste passioni; quando è aggredito, va tranquillamente a combattere; se è preso, cerca soprattutto di organizzarsi, rendendosi sufficiente a se stesso per sopravvivere. Non so quanto possa valere questa teoria sui popoli, ma il motivo per cui Burney mi sembra un tipico eroe moderno (l'uomo che si difende per la propria preservazione dagli orrori che lo sorastaho) è la lotta ch'egli conduce per non essere sgretolato da uno stillicidio di offese materiali e morali. E' una continua disciplina, un gioco di diplomazia col mondo esterno e con se stesso, un abile uso delle stesse cause di sofferenza e insieme d'ogni minima causa di consolazione. Impiegare almeno mezz'ora per inghiottire la brodaglia di cavoli, non mangiare fino alla sera i trecento grammi di pane, magari nascondendolo e facendosi credere d'avere dimenticato dov'è nascosto; la ginnastica, la passeggiata in uno spazio di tre metri. Meditare prendendo spunto da un foglio di carta stampata, qualunque sia, fornito per motivi igienici; impartirsi dosati e spartiti nel tempo, i conforti della memoria; fantasticare lungamente su cibi succulenti. Farsi un gilè con la stoffa d'una coperta adoperando due chiodi del letto come aghi: avuta in ultimo una Bibbia, leggerla interamente due volte. Così quel mondo, gravitante sul letto, sul pane, sulla perdita dei molari, diventa ogni giorno più vasto,'e la vita di Burney si fa interamente mentale. La filosofia di Burney potrebbe essere questa: l'uomo è come una nave che, grazie alla propria struttura, galleggia e naviga su un mare senza conoscerlo; bisogna impedire ch'essa si sfasci, essere pronti a turarne le falle. Sa di non essere gran che; ma la difesa ch'egli compie per tenersi insieme, e il successo raggiunto, in una situazione che pare congegnata apposta perché la verità sia portata interamente a nudo, Io consola mostrandogli che però è qualche cosa. E' la scoperta principale, e si attacca ad essa, dopo una prova persuasiva. Scopre la libertà nel carcere e, quando Io portano via, gli sembra di « allontanarsi dalla libertà ». La solitudine gli è così congeniale che Io urtano i tentativi degli altri detenuti per entrare in rapporto clandestino con lui e per dargli notizie. Li paragona alla « gente che non la smette di bisbigliare durante i concerti-»; il concerto per lui è l'ascolto della sua vita che resiste, il pensiero. L'amore per la solitudine è però esente da qualsiasi ascetismo. Anzi il piacere di vivere è così ambito da cercarlo, oltreché nelle fantasie e nei ricordi, anche nella razione giornaliera di cattivo pane. Le stesse riflessioni sui testi sacri rimangono quelle di chi, navigando tra affermazioni e figure contraddittorie, ritiene necessario l'accontentarsi di verità relative e parziali. L'esperienza della solitudine è una « incisione netta e duratura » nella vita di Burney; del dopo, non sappiamo nulla, e poco del prima; Burney, come ho detto, rifiuta di inserirla tra altre esperienze più deboli o nella cornice arbitraria di un'autobiografia. Quell'esperienza è il suo contributo alla vita. Così, qui tutto ha un suono vero, e lo scrittore, in ogni punto, quando descrive e quan¬ do medita, è sempre teso, esatto, netto. Verso la fine immagina di contemplare il panorama della Francia disteso intorno alla cella, ma dice di vederlo « dal suo cieco nido d'aquila ». Nido d'aquila cieco; potrebbe essere la divisa del destino della poesia nel mondo. Per un motivo specialmente un libro così misurato ha oggi per me più attrattiva di ieri, portando proprio il genere di medicina che più occorre. E' interamente dedicato ai mezzi e alle risorse individuali di ognuno per resistere alle pressioni dell'ambiente: ci dimostra che esistono; benché siano individuali, hanno poi una portata ed un potere di contagio che va ben oltre i confini dell'individuo. Niente v'è di meno egoistico della difesa di se stessi. Difendere l'umanità significa anzitutto preservarne, in ciascuno, la realtà e le radici. Guido Piovene

Luoghi citati: Francia, Inghilterra, Italia